Anteriormente al D.L. n. 1/2012 la disciplina IVA precludeva espressamente al cedente/prestatore il diritto di rivalersi dell'imposta pagata in conseguenza d'accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o committenti servizi.
Tale disposizione (art. 60, Decreto IVA) era stata giustificata, nella relazione di accompagnamento del decreto istitutivo dell'imposta sul valore aggiunto, oltre che da intenti sanzionatori, da valutazioni pratiche, data l'impossibilità e, comunque, l'inopportunità di porre le premesse legislative per una riapertura dei rapporti contrattuali allo scopo di recuperare, a posteriori, l'imposta a suo tempo non addebitata.
Recentemente, la questione era stata sollevata anche dall’Associazione italiana dottori commercialisti di Milano, che nella Norma n. 179, facendo leva sull’obbligo di fatturazione integrativa imposto dalle norme in materia (art. 26, c. 1, Decreto IVA), aveva espresso il parere che l’IVA ‘‘dovuta sulle operazioni imponibili, oggetto di rettifica in aumento da parte dell’Amministrazione finanziaria, può essere addebitata in via di rivalsa nei confronti del destinatario dell’operazione sotto la condizione che l’operazione sia stata oggetto di rilevazione contabile nel momento della sua effettuazione e sempre che l’IVA non sia stata già corrisposta direttamente all’Erario, in dipendenza degli atti impositivi derivanti da accertamento o rettifica’’.

Obbligo di rivalsa

Le regole fiscali in materia (art. 18, c. 1, Decreto IVA) prevedono l’obbligatorietà della rivalsa, ossia dell’esercizio del diritto di credito da parte del soggetto attivo IVA dell’operazione (cedente del bene o prestatore del servizio) nei confronti del proprio cessionario o committente.

In sostanza, il soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi imponibile deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente.


Fonte: IPSOA

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