La dichiarazione Iva presentata, a fronte di omesso versamento, è sufficiente a far condannare l’imprenditore che non ha pagato l’imposta risultante dalla liquidazione annuale. Né rileva, a tal fine, la denuncia di furto della contabilità. Sono le conclusioni a cui è giunta la Cassazione con la sentenza 24987 del 21 giugno.

Vicenda processuale
Il fatto narrato dalla sentenza n. 24987/2012 concerne la condanna in prima istanza alla reclusione del liquidatore di una società a responsabilità limitata per non avere versato l’imposta sul valore aggiunto risultante dalla liquidazione annuale, ai sensi dell’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, nonostante avesse presentato la dichiarazione. L’imputato aveva chiesto l’assoluzione per questo reato in quanto era stato prosciolto da altro tribunale per il reato di bancarotta fraudolenta di cui all’articolo 223 della legge fallimentare (regio decreto 267/1942), essendo stato accertato il furto della contabilità aziendale. Tale circostanza non aveva però avuto alcun effetto esimente sul reato contestato, tanto che la condanna venne poi confermata dalla Corte di appello, che ha ritenuto non ricorressero gli estremi per la revisione (ex articolo 630, comma 1, lettera a), codice procedura penale) della sentenza impugnata.

L’intimato ricorre per cassazione per contrasto dei due pronunciati penali (di assoluzione per bancarotta fraudolenta e di condanna per omesso versamento Iva), sostenendo che il giudice del riesame non avrebbe preso in considerazione il furto dei documenti contabili della società, circostanza che doveva escludere la colpevolezza per l’omesso versamento dell’Iva annuale perché senza il furto di quei documenti non sarebbe esistito il relativo reato perché l’imposta dovuta sarebbe stata versata nei termini.

La decisione
Ma la circostanza del furto della contabilità su cui ha fatto leva l’imputato non ha convinto la Cassazione, che ha confermato la condanna inflitta.
Infatti, secondo il Collegio giudicante, l’ordinanza impugnata non può ritenersi affetta da alcun vizio rilevabile in sede di legittimità, atteso che il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non deve essere inteso, in genere, in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni, ma con riferimento a un’oggettiva incompatibilità tra i fatti su cui si fondano le diverse sentenze (Cassazione 8135/2001 e 40819/2005), che non è ravvisabile nel caso di specie.
In tema di revisione, ciò che è emendabile è l’errore di fatto e non la valutazione del fatto, sicché non è ammissibile l’istanza di revisione che fa perno sulla circostanza che lo stesso quadro probatorio sia stato diversamente apprezzato per assolvere un imputato e condannare un concorrente nello stesso reato in due diversi procedimenti (Cassazione 4225/2009). Del resto, gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve esser prosciolto, ma non possono consistere nel mero rilievo di un contrasto di principio tra due sentenze, che abbiano a fondamento gli stessi fatti (Cassazione 8462/1997).

Inoltre, la Suprema corte condivide anche il confermato operato del tribunale, che a proposito del reato di cui all’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, ha osservato che la dichiarazione Iva prodotta dall’imputato, nella veste di liquidatore dell’impresa, costituisce “una confessione stragiudiziale nella parte in cui espone fatti e circostanze a sé sfavorevoli, della cui attendibilità non v'è ragione di dubitare, attesa la norma di esperienza che insegna come nessuno abbia ragione di esporre fatti a sé sfavorevoli” (Cassazione 7294/2012). Sicché, qualora il contribuente indichi come dovute, a titolo di Iva, determinate somme, non vi è ragione, in mancanza di concreti elementi di segno contrario, di ritenere la stessa dichiarazione inaffidabile, atteso che da essa discende una corrispondente obbligazione tributaria (l’omesso versamento dell’Iva era stato, infatti, accertato dall’ente impositore in forza della dichiarazione presentata dallo stesso imputato).
Ne deriva quindi che il furto della documentazione contabile non può avere alcuna influenza, né determinare alcuna inconciliabilità con i fatti accertati nei gradi di merito.

Peraltro, occorre considerare che, come la sottrazione della documentazione contabile non aveva impedito all’imputato di presentare la dichiarazione Iva, lo stesso liquidatore avrebbe potuto sulla scorta dei dati in suo possesso (anche in supporto elettronico) adempiere all’obbligo di versamento (articolo 30 del Dpr 633//1972), atteso che, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, Dpr 322/1998, nella dichiarazione sono indicati i dati necessari per la determinazione dell’ammontare delle operazioni e dell'imposta e per l'effettuazione dei controlli, nonché gli altri elementi richiesti nel modello di dichiarazione.


Fonte: Agenzia Entrate

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