Le due controversie, trattate congiuntamente, riguardano il rifiuto dell’Amministrazione fiscale ungherese di riconoscere il diritto a detrazione Iva assolta a monte su operazioni considerate sospette. L’articolo 178 della direttiva n. 2006/112, stabilisce che per esercitare il diritto a detrazione, relativa alla cessione di beni e alle prestazioni di servizi, il soggetto passivo deve essere in possesso di una fattura redatta in conformità a quanto previsto dagli articoli da 220 a 236 e degli articoli 238, 239 e 240.
L’articolo 273 prevede poi che gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi ritenuti necessari per assicurare l’esatta riscossione dell’Iva ed evitare  il rischio di evasioni. A condizione, però, che gli obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera.

L'oggetto delle controversie
Nella prima fattispecie (causa C-80/11) una società ungherese stipulava con un’altra società un contratto relativo alla fornitura di tronchi di acacia non lavorati; la seconda società emetteva, a nome della prima, sedici fatture per la cessione di diverse quantità di tronchi, menzionando tutte le fatture nella propria dichiarazione fiscale ed affermando che le cessioni erano state effettuate  corrispondendo l’Iva a seguito della cessione. Anche la prima società includeva tali fatture nella sua dichiarazione fiscale esercitando il diritto a detrazione. Le quantità di tronchi acquistate venivano rivendute dalla società acquirente ad altre imprese.

La posizione del Fisco magiaro
Ciò posto, l’Amministrazione fiscale ungherese, ravvisando la presenza di irregolarità nell’operazione, dichiarava l’esistenza di un debito fiscale a carico della società acquirente con pagamento di relative sanzioni e interessi, ritenendo  insussistente il diritto della società alla detrazione in base alle fatture, che non potevano, secondo gli esiti del controllo effettuato, essere considerate rispondenti.
Nella seconda fattispecie, l’Amministrazione fiscale ungherese ravvisava irregolarità in relazione a una operazione riguardante un contratto di appalto che prevedeva lavori di costruzione, anche ricorrendo all’apporto di subappaltatori. Al riguardo, l’ente impositore ungherese dichiarava che le fatture emesse dall’ultimo subappaltatore non potevano provare l’esistenza dell’operazione economica indicata.
Pertanto, benchè non fosse confutabile la circostanza che i lavori fossero stati effettivamente eseguiti, non  era possibile accertare compiutamente quale imprenditore avesse realizzato i lavori e pertanto le fatture non avrebbero rappresentato una reale operazione economica e sarebbero quindi state fittizie.
L’amministrazione fiscale rifiutava il diritto alla detrazione che risultava dalle operazioni controverse, dichiarando l’esistenza di un debito fiscale a carico del primo appaltatore a titolo di Iva  e provvedeva ad applicare sanzioni e interessi di mora.
Le questioni pregiudiziali sollevate    
Ciò premesso, le autorità giurisdizionali adite per impugnare le decisioni adottate dall’Amministrazione fiscale ungherese, hanno deciso di sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
se un soggetto passivo che soddisfi tutte le condizioni sostanziali per la detrazione dell’Iva, possa essere privato del suo diritto alla detrazione da una normativa o prassi nazionale che vieta la detrazione dell’Iva pagata in occasione dell’acquisto di beni. E questo nel caso in cui l’unica prova idonea a dimostrare che la cessione dei beni è stata realizzata è la fattura, ma il soggetto passivo non dispone di documenti provenienti dall’emittente della fattura idonei a dimostrare che quest’ultimo disponeva di tali beni;
se lo Stato membro può imporre, per garantire l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare le evasioni, che il destinatario della fattura disponga di altri documenti idonei a provare che l’emittente della fattura disponeva dei beni e che questi ultimi sono stati forniti o trasportati a favore del destinatario della fattura;
se le disposizioni della direttiva consentono all’Amministrazione fiscale di privare il soggetto passivo del diritto alla detrazione, qualora l’emittente della fattura non sia in grado di dimostrare di aver fatto ricorso ad altri subappaltatori in modo conforme al diritto;
se, sia consentito all'Amministrazione fiscale, laddove  non contesti l’effettiva esecuzione dell’operazione economica indicata nella fattura e quest’ultima sia formalmente conforme al diritto, escludere il recupero dell’Iva in quanto i subappaltatori di cui l’emittente della fattura si è avvalso non sono identificabili o l’emissione di fatture da parte dei subappaltatori non è conforme alla disciplina vigente.
Le valutazioni della Corte di giustizia  
La Corte rileva che il diritto dei soggetti passivi di detrarre, dall’Iva di cui sono debitori, la parte dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi prestati è un principio fondamentale dell’imposta. Tuttavia, compete pur sempre alle autorità e ai giudici nazionali, negare il beneficio del diritto alla detrazione, ove sia dimostrato, in base ad elementi oggettivi, che il diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo.
Nei casi in esame, le operazioni invocate a fondamento del diritto alla detrazione sono state effettuate e le fatture contengono le informazioni richieste dalla direttiva 2006/112, per cui sussistono le condizioni di forma e sostanza richieste per far valere l’esercizio del diritto alla  detrazione. In base a consolidata giurisprudenza comunitaria, per negare il diritto alla detrazione, occorre dimostrare, sulla base di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, a cui sono stati forniti beni e servizi posti a fondamento del diritto alla detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore o da altro operatore a monte. Difatti, un soggetto che avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava a una operazione che si iscriveva nell’ambito di una evasione Iva, deve ritenersi partecipante a tale evasione. E questo a prescindere dalla circostanza che egli tragga beneficio dalla rivendita di beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette ad imposta da lui effettuate  a valle.
Non si può invece sanzionare, negando il diritto alla detrazione, il soggetto passivo che non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in una evasione commessa dal fornitore, o che un’altra operazione nell’ambito della catena della fornitura, era viziata dall’evasione dell’Iva.

I compiti dell'Amministrazione fiscale
La Corte precisa poi che spetta all’Amministrazione fiscale competente dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi in base ai quali è possibile concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a sostegno del diritto alla detrazione si iscriveva in una evasione commessa dal fornitore o da altro operatore intervenuta a monte nella catena di fornitura. L’Amministrazione fiscale, per assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni a livello degli operatori a monte, non può esigere, che il soggetto passivo, a cui spetta esercitare il diritto alla detrazione dell’Iva, verifichi che:
l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi in nome dei quali viene richiesto l’esercizio di tale diritto abbia la qualità di soggetto passivo;
disponga dei beni di cui si tratta, e sia in grado di fornirli;
abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e pagamento dell’Iva o che tale soggetto passivo disponga di documenti a tale riguardo.
Spetta infatti, in linea di principio, alle autorità fiscali, effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi al fine di rilevare irregolarità e evasioni in materia di Iva nonché infliggere sanzioni al soggetto passivo che ha commesso irregolarità o evasioni.

La sentenza della Corte
Le conclusioni a cui pervengono gli eurogiudici nella sentenza sono le seguenti:
le disposizioni della direttiva 2006/112 non consentono a una prassi nazionale di negare a un soggetto passivo il diritto di detrarre, dall’importo dell’Iva dovuta, l’importo dell’imposta dovuta o versata per i servizi che gli sono stati forniti. E questo adducendo la motivazione che chi ha emesso la fattura correlata a detti servizi, o uno dei subfornitori, ha commesso irregolarità. E questo senza che  l'Amministrazione fiscale dimostri, sulla base di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto alla detrazione si inscriveva in una evasione, intervenuta a monte nella catena di prestazioni, e commessa dal soggetto emittente o da altro operatore;
le stesse disposizioni non consentono a una prassi nazionale di negare il diritto a detrazione al soggetto passivo che non si è assicurato di verificare che l’emittente della fattura, correlata ai beni per i quali si chiede il diritto a detrazione, è soggetto passivo, dispone dei beni ed è in grado di fornirli, ha soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’Iva. Inoltre non vale addurre la motivazione per cui il soggetto passivo non dispone, oltre che di tale fattura, di altri documenti idonei a dimostrare la sussistenza delle circostanze menzionate. E questo sebbene ricorrano le condizioni di forma e sostanza previste dalla direttiva 2006/112 per l’esercizio del diritto alla detrazione e il soggetto passivo non disponga di indizi che giustificano il sospetto dell’esistenza di irregolarità o evasioni nella sfera del soggetto emittente.


Fonte: Agenzia Entrate

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