La Corte suprema, con la sentenza 8623 del 30 maggio, in linea con il proprio consolidato orientamento, (cfr Cassazione, sentenze 16032/2005, 22598/2006 e 11456/2010) ha ribadito la necessità di appurare, in concreto, la natura non commerciale dell’attività esplicata dagli enti associativi, quale condizione preliminare per il riconoscimento delle relative agevolazioni fiscali.

L’articolo 111, primo comma, del Dpr 917/1986 (nel testo applicabile al caso, ratione temporis), esclude la natura commerciale delle attività svolte dagli enti associativi in favore dei propri associati e l’imponibilità delle somme da questi versate a titolo di quote associative (ora vige l’articolo 148 Tuir), introducendo una deroga alla disciplina generale fissata dagli articoli 86 e 87 dello stesso Dpr, che assoggettano a imposta tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche.

Il caso analizzato dai giudici di legittimità riguardava più avvisi di accertamento emessi per le annualità 2001-2003, ai fini Irpeg e Irap, nei confronti di un’associazione sportiva dilettantistica, a cui l’Amministrazione finanziaria aveva negato la configurazione di “ente non commerciale”.

La Ctp di Roma rigettava il ricorso, escludendo la natura di ente non commerciale della ricorrente, in quanto era stata rilevata l’esistenza di un’attività commerciale caratterizzata “… da una cerchia ristretta di soci gestori e da un proliferare di altri soci, oltre ad avventori esterni, concretamente trattati come clienti, paganti servizi a prezzi di mercato”.

Sull’appello dell’associazione, la Ctr Lazio riformava la decisione di primo grado, argomentando che “… la stessa si fondava su una sorta di sospetto di commercialità”.
Invero, i giudici di appello, nel riconoscere le agevolazioni fiscali, si erano limitati a rilevare, sotto il profilo formale, la natura della ricorrente di “ente non commerciale” e la conformità dello statuto associativo alle norme stabilite per il riconoscimento della relativa qualifica, omettendo di accertare la natura dell’attività di fatto svolta.

Successivamente i giudici di legittimità, in riferimento alle associazioni sportive dilettantistiche, confermando la posizione assunta con la sentenza 11456/2010, hanno chiarito che “Gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato previsto dagli art. 111 del D.P.R. n. 917 del 1986 (in materia di IRPEG) e 4 del D.P.R. n. 633 del 1972 (in materia di IVA) - come modificati, con evidente finalità antielusiva, dall'art. 5 del d.lgs. n. 460 del 1997 - a condizione non solo dell'inserimento, negli loro atti costitutivi e negli statuti, di tutte le clausole dettagliatamente indicate nell'art. 5 del d.lgs. n. 460 cit., ma anche dell'accertamento - effettuato dal giudice di merito con congrua motivazione - che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse”. Di rilevo le conseguenze sul piano probatorio.

Viene, infatti, ribadita la necessità, per gli enti non commerciali che invocano il beneficio fiscale, di provare le condizioni di legge, o meglio, i presupposti di fatto che legittimano la relativa esenzione, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’articolo 2697 del codice civile.

Si registra, sul punto, un’altra pronuncia di legittimità, la 22598/2006, con cui la Corte suprema, in riferimento agli enti associativi, aveva già chiarito come gli stessi “… non godono di uno "status" di "extrafiscalità", che li esenta, per definizione, da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro - come si evince dall'art. 111, comma secondo, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile nella specie, "ratione temporis") - svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale….con la conseguenza che l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 cod. civ.” (in tal senso anche la sentenza della Cassazione 16032/2005).

La stessa Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 141/2009, nel delimitare, ai fini fiscali, la natura commerciale o non commerciale dell’ente associativo, ha osservato che “… non incide la circostanza che lo stesso effettui soltanto le prestazioni individuate nello statuto, né assume rilievo il fatto che l’ente svolga la propria attività esclusivamente a favore dei propri associati e non anche dei soggetti terzi”.

In sostanza, la qualificazione ai fini fiscali dell’attività deve essere operata verificando in concreto “… se la stessa possa ricondursi fra quelle previste dall’art.2195 del codice civile o, qualora essa consista nella prestazione di servizi non riconducibili nel menzionato articolo se venga svolta con i connotati dell’organizzazione, della professionalità e abitualità” (Agenzia delle Entrate, circolare 12/2009).
In merito a tale profilo, si segnala altresì che la Cassazione, con la sentenza 2849/2012, in materia di cooperative a mutualità prevalente, nel ribadire “… la facoltà della Amministrazione di disconoscere le agevolazioni, per ogni singolo periodo d'imposta, sulla base di dati concreti”, che escludano in toto la finalità mutualistica dell’attività esplicata, è addivenuta alle stesse conclusioni.

In definitiva, alla luce delle considerazioni su esposte, preso anche atto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il riconoscimento di possibili agevolazioni fiscali non può limitarsi a un’indagine di tipo formale, di conformità degli atti costitutivi e degli statuti alle prescrizioni di legge. Rileva, infatti, l’importanza, di un’attività d’indagine, da parte degli stessi giudici, più articolata, che si concretizzi in un esame dell’attività di fatto svolta dall’ente collettivo che invochi il beneficio fiscale, con onere della prova a carico di quest’ultimo.


Fonte: Agenzia Entrate

0 commenti:

 
Top