In caso di omessa presentazione della dichiarazione è il contribuente che ha l'onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa tributaria: la circostanza di non essere formalmente in possesso della documentazione contabile perché trattenuta dall'ufficio, seppur renda più gravoso l'assolvimento dell'onere probatorio, non può essere considerata un esimente, ben potendo il contribuente ricorrere ad altri mezzi di prova per sostenere le proprie ragioni.
Questa la conclusione a cui è giunta la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 5213 del 30 marzo.


Il fatto
La controversia scaturisce dal ricorso presentato contro l'Agenzia delle Entrate avverso un avviso di accertamento ai fini Iva, Irpef e Irap, notificato per omessa presentazione della dichiarazione relativa all'anno 2001.
Il ricorso del contribuente era stato parzialmente accolto in sede di Commissione tributaria provinciale.
L'ufficio impugnava la pronuncia di prime cure proponendo appello, accolto in toto dalla competente Ctr, cui il contribuente si opponeva in Cassazione.

Il ricorrente lamentava il vizio di contraddittorietà della sentenza impugnata, laddove i giudici di secondo grado, confermando il principio che, in caso di omessa dichiarazione, gravi sul contribuente l'onere probatorio della dimostrazione di un minor reddito effettivo rispetto a quello accertato, avrebbero accolto l'appello nonostante il contribuente non fosse "formalmente" in possesso delle scritture contabili in quanto trattenute dall'Agenzia delle Entrate: tale circostanza avrebbe reso impossibile l'esercizio del proprio diritto di difesa.
I giudici della Suprema corte, ritenendo infondate le censure di parte, rigettavano il ricorso.

La decisione
I giudici di legittimità si sono espressi in merito al potere, riconosciuto dal legislatore tributario agli uffici finanziari, di accertare il reddito in caso di mancata presentazione della dichiarazione, analizzando, al contempo, la portata dell'onere probatorio gravante sul contribuente di dedurre i fatti connessi alla pretesa impositiva.

In tale ipostesi, spetta unicamente al contribuente contrastare l'operato dell'ufficio e ciò è possibile soltanto adducendo fatti ed elementi tali da asseverare il convincimento che il reddito presuntivamente determinato a proprio carico di fatto non è stato prodotto o perlomeno è stato prodotto in misura inferiore a quella accertata: la mancanza di documentazione non costituisce un fatto rilevante ai fini dell'assolvimento dell'onere di legge, perché opinare diversamente significherebbe, di fatto, eludere tale gravame a carico del contribuente.
La Suprema corte non ha ravvisato nella sentenza della Commissione tributaria regionale il vizio di contraddittorietà della motivazione lamentato dal ricorrente, dichiarando invece che i giudici del merito abbiano ben individuato il procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione adottata.

Invero, la Ctr ha argomentato partendo dal principio che, in caso di omessa presentazione della dichiarazione, l'ufficio impositore è legittimato a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini della determinazione del reddito, gravando sul contribuente l'onere di dimostrare l'infondatezza della pretesa impositiva.
A tal riguardo, i giudici di merito hanno ribadito che l'Agenzia delle Entrate, nell'alveo dei propri poteri, può accertare il reddito utilizzando anche metodi di tipo induttivo, avvalendosi eventualmente di presunzioni semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in deroga alla regola generale sancita dall'articolo 38, comma 3, del Dpr 600/1973: "a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall'ufficio, incombe sul contribuente l'onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa" (Cassazione, sentenza 20708/2007).

Confermando le argomentazioni dei giudici di merito, la Cassazione ha ribadito il principio per cui, una volta constatata l'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, l'Amministrazione finanziaria assume la legittimazione a utilizzare qualsiasi metodo di determinazione del reddito per far valere le proprie ragioni, sulla base di tutti i dati e notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza; di contro, al contribuente spetta l'onere di provare che il reddito, anche presuntivamente determinato, non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quello indicato dall'ufficio (Cassazione, sentenze 3115/2006, 19174/2003 e 2605/2000).

Tale principio è stato applicato nel caso di specie, con l'aggiunta di importanti precisazioni da parte dei giudici della Suprema corte.
Il contribuente lamentava di non essere stato messo nelle condizioni di difendersi adeguatamente dall'accertamento induttivo emesso ai propri danni, in quanto l'ufficio aveva trattenuto gli originali dei registri Iva relativi al periodo d'imposta accertato: tale circostanza, a dire della controparte, costituiva appunto una violazione del proprio diritto di difesa.
A parere dei giudici della Suprema Corte, il fatto che il soggetto non fosse "formalmente" in possesso della richiamata documentazione contabile non costituiva un fatto impeditivo ai fini dell'assolvimento dell'onere probatorio: infatti, il contribuente avrebbe potuto ben assolvere a tale gravame "anche in mancanza dell'originale dei registri Iva, potendo tale circostanza, al più, rendere maggiormente gravosa l'acquisizione di materiale probatorio a sostegno delle proprie ragioni".


Fonte: Agenzia Entrate

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