È legittima la trattenuta alla fonte effettuata dal datore di lavoro sull’indennità supplementare erogata al dipendente a seguito di una transazione giudiziale scaturita dal licenziamento senza giusta causa del lavoratore.
Lo ha precisato la Corte di cassazione con la sentenza 2196 del 16 febbraio.

Il caso
A seguito del silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria in merito all’istanza presentata da un contribuente che richiedeva il rimborso della trattenuta Irpef effettuata dal datore di lavoro sulla somma versatagli a causa di una transazione per risarcimento danni a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro, il contribuente ricorre al giudice tributario che, in prime cure, accoglie le doglianze, mentre nel giudizio d’appello la Ctr riforma la decisione della Ctp, ritenendo legittimo l’assoggettamento a tassazione della somma versata.

I giudici di merito, in particolare, hanno ritenuto che la somma era stata erogata “in dipendenza del rapporto di lavoro” escludendo, dunque, quanto sostenuto dal contribuente che riteneva essere di natura risarcitoria del danno emergente da questi subito a seguito del licenziamento senza giusta causa. Il lavoratore, avverso la sentenza di secondo grado, si è rivolto alla Corte di cassazione, chiamando in causa sia il ministero delle Finanze che l’Agenzia delle Entrate.
Nel ricorso è stato denunciato come, a parere del contribuente, la Ctr abbia erroneamente ritenuto imponibili le somme versate dal datore di lavoro, non tenendo conto dell’accordo transattivo intercorso tra le parti, la cui natura escluderebbe che l’indennizzo fosse stato erogato al sol fine risarcitorio del lucro cessante.

Il lavoratore, nell’appello, ha richiamato quanto disposto dall’articolo 19 del contratto collettivo di categoria, in forza del quale “solo, in ipotesi di licenziamento ingiustificato, incombendo al datore di lavoro di provare la sussistenza della giustificazione (meno stringente della giusta causa o del giustificato motivo), e pertanto l'indennità supplementare va equiparata alla penale contrattuale, volta a compensare il dirigente della perdita dello status professionale, e, cioè, a risarcirgli un vero e proprio danno emergente”. Ne consegue che, essendo l’indennità supplementare di natura risarcitoria, l’onere della prova dell’imponibilità della stessa spetterebbe all’Amministrazione finanziaria.

Considerazioni sulla sentenza della Corte
Il Collegio, in via preliminare, ha escluso dal giudizio il ministero delle Finanze perché, a seguito dell’istituzione delle Agenzie fiscali dall’1 gennaio 2001, la legittimazione “ad causam” e “ad processum” spetta esclusivamente alle Entrate. Perciò, per le cause di appello successive a detta data, non dovendo essere più esplicitato l’ufficio che era parte in origine, il ministero viene conseguente estromesso.

La norma che regolamenta il reddito di lavoro dipendente - ricorda la Corte - è contenuta nell’articolo 48 del Tuir; è individuato dalle “somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”, comprese le somme percepite a titolo di rimborso di spese inerenti alla produzione del reddito e le erogazioni liberali. Il comma 2 dell’articolo 6 del Tuir, poi, aggiunge che i “proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti”.

In forza dell’introduzione del Dl 41/1995, la Cassazione ha chiarito che l’imposta viene applicata separatamente sulle indennità e sulle somme percepite dal dipendente in relazione alla cessazione del rapporto di lavoro, nonché sulle somme ricevute a titolo risarcitorio a seguito di una transazione giudiziale per la risoluzione del rapporto di lavoro.
Pertanto, alla luce di quanto imposto dalla vigente normativa, il Collegio chiarisce che “vanno considerati redditi da lavoro dipendente, assoggettati ad IRPEF tutti i "proventi" e le "indennità" derivanti da un rapporto di lavoro, pur se conseguiti "in sostituzione" di redditi od "a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte" (cfr. Cass. 16014/04), ciò anche quando tali somme vengano percepite a seguito di transazione”.

Nel caso di specie, il ricorrente aveva richiesto la restituzione dell’imposta trattenuta alla fonte dal datore di lavoro, come previsto dall’articolo 19 del contratto collettivo, che impone al dante causa il versamento dell’indennità sostitutiva in relazione all’ingiustificata risoluzione del rapporto di lavoro o di rifiuto, da parte dello stesso, di provare giusta motivazione che ha poi causato lo scioglimento del rapporto di lavoro. L’indennità sostitutiva va comunque parametrata all’età del dipendente, in relazione alla difficoltà di reinserimento nel mondo del lavoro.
La Corte di cassazione, dunque, con la sentenza 2196/2012, ha disposto la legittimazione della trattenuta alla fonte dell’imposta sull’indennità sostitutiva, ai fini Irpef, essendo la stessa obbligatoria, perché scaturita dalla non giustificata risoluzione del contratto di lavoro subordinato.


Fonte: Agenzia Entrate

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