Non sono deducibili, perché violano il principio fiscale dell’inerenza, le spese sostenute da una società per la pubblicizzazione di un’altra, come spesso accade nel caso di aziende che effettuano attività di ricerche di mercato, a meno che non venga dimostrato dal contribuente l’esistenza di un vantaggio mediatico ed economico anche in favore di quest’ultima (pubblicizzante).
Questo è il principio della Cassazione contenuto nella sentenza 24065 del 16 novembre.

Il fatto
A seguito della notifica di un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una Srl per il recupero a tassazione di maggiori imposte Irpeg e Ilor, la società ricorre alla Ctp, che, accogliendo il ricorso, provvede all’annullamento dell’atto impositivo.
Dello stesso parere i giudici di rango superiore: la Commissione regionale tributaria, infatti, ribadisce quanto deciso in prime cure, riconoscendo alla società il requisito dell’inerenza delle spese di sponsorizzazione sostenute. I giudici di merito, dunque, riconoscono il sostenimento delle spese per finalità di promozione, anche se queste produrranno benefici (ricavi) nel prossimo futuro.
Conseguentemente, la Ctr ha ritenuto non sufficientemente provato quanto sostenuto nell’atto di accertamento del Fisco che, invece, dal canto suo, aveva dichiarato incongrue e non deducibili le spese sostenute dalla società per pubblicizzare un’altra azienda.

Contro la sentenza della Ctr, ha proposto ricorso in Cassazione l’Amministrazione finanziaria, motivando l’istanza su due punti: violazione di norme e vizi di motivazione.
La società, di converso, ha resistito in giudizio presentando apposito controricorso.

Le motivazioni della sentenza
La Corte di cassazione è stata chiamata a giudicare sul riconoscimento del principio di inerenza alle spese sostenute da una società per la pubblicizzazione di un’altra società, sua migliore cliente, al fine di aumentarne il prestigio dell’immagine. I giudici di legittimità hanno chiarito che la giurisprudenza ha ricondotto sotto il nome di “contratto di sponsorizzazione” il frequentissimo fenomeno secondo il quale un prodotto o la denominazione di un’impresa vengono accostati, dietro congruo corrispettivo, a beni o persone particolarmente noti ovvero a enti e manifestazioni che hanno numeroso seguito di pubblico (Cassazione, sentenza 18218/2009), escludendo in tal modo che potesse rientrarvi “la mera prestazione pubblicitaria richiesta dalla contribuente in favore di un terzo soggetto”. In tale circostanza, dunque, non si configurerebbe l’ipotesi di contratto stipulato per conto terzi, con conseguente mancanza del requisito dell’inerenza della spesa e indiscussa indeducibilità della stessa.

Come primo punto della motivazione del ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate all’esame dei giudici di legittimità, è stato dedotto il collegamento del principio di inerenza con i costi sostenuti dalla società contribuente. E’ la stessa normativa che non consente un generico riferimento al sostenimento di spese da cui deriveranno, in futuro, i relativi ricavi, ma richiede “una ineludibile correlazione” tra di essi.
L’Amministrazione finanziaria non riconosce la deducibilità dei costi sostenuti per le attività pubblicitarie svolte da terzi evidenziando che, in effetti, la società A avrebbe portato in deduzione, impropriamente, le spese relative ai corrispettivi versati alla società B che si era impegnata a incrementare il prestigio della società C migliore cliente di A, venendo a creare una forma di pubblicità indiretta.

Col secondo motivo, l’Amministrazione finanziaria deduce l’insufficiente motivazione della sentenza della Ctr impugnata, in quanto, la giurisprudenza della Corte di cassazione già si era espressa in merito alla deducibilità delle spese per pubblicità sostenute per una futura utilità economica, non ritenendola applicabile alla fattispecie concreta.
Infatti, la contribuente è una società che opera nel settore delle ricerche e studi di mercato che aveva sostenuto costi per un’impresa attiva nel campo della commercializzazione di prodotti, pertanto i due settori economici non sono affatto riconducibili al marchio o all’immagine della contribuente.

Il Fisco, inoltre, aveva evidenziato una sproporzione tra la spesa dedotta e l’ammontare dei ricavi conseguiti nel medesimo periodo d’imposta.
La controdeduzione presentata dalla società resistente si basava sul fatto che le spese da lei sostenute dovevano essere considerate come spese pubblicitarie, in quanto la contribuente “pagando la sponsorizzazione…rendeva omaggio alla … del beneficio di immagine conseguente, intendendo così sopportare un costo promozionale mirato al rafforzamento del rapporto commerciale con il cliente più importante”, affermando, altresì, che l’Amministrazione finanziaria non può sindacare sulle strategie societarie e sull’utilità degli effetti della promozione pubblicitaria.

La Cassazione, nell’esaminare i motivi che hanno portato l’Agenzia delle Entrate a impugnare la sentenza della Ctr, hanno preferito dare maggior rilievo al secondo punto, che a parer loro, assorbirebbe completamente il primo.
Non viene condiviso l’operato della Ctp che, rigettando il ricorso, non aveva rilevato l’incongruità tra le spese effettuate a carico della società contribuente e i relativi ricavi nel periodo d’imposta oggetto di verifica.
Secondo la Cassazione, i giudici di merito non erano stati chiamati a pronunciarsi sull’astratta proporzionalità tra costi e ricavi nel contratto di sponsorizzazione ma sulla sussistenza, o meno, dell’inerenza del costo, presupposto essenziale per la deduzione delle spese sostenute dalla contribuente. Il Collegio evince una certa “incongruità logica della spesa sostenuta a favore di un terzo, non avendo ad oggetto la pubblicità di marchi, prodotti, denominazioni ovvero qualità od aspetti della attività commerciale comunque riferibile alla società contribuente”.

I giudici di legittimità, come è ovvio, non prescindono affatto dal requisito essenziale dell’inerenza (articolo 74, comma 2, del Tuir), ai fini della deduzione dei costi sostenuti per la spese di pubblicità e propaganda, riferiti ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cassazione, sentenze 11240/2002, 11205/2007, 4554/2010 e 26480/2010).
In particolare, la sentenza di merito non ha fornito nessun elemento per la verifica della correttezza dell’iter logico sistematico seguito dai giudici per addivenire alla sentenza di rigetto del ricorso, come se l’ampliamento del settore di mercato e della clientela siano effetti riconducibili direttamente alla sponsorizzazione dell’azienda terza.

La Suprema corte, nel rinviare la decisione alla Ctr competente, pone il seguente dubbio: la società contribuente che ha sostenuto le spese di sponsorizzazione è indifferente agli effetti dei servizi pubblicitari? In tal caso, verrebbe meno la correlazione tra le spese di pubblicità e l’incremento dei ricavi ottenuto dall’attività di sponsorizzazione. Oppure la società ha agito per conto proprio, ponendo in essere un atto negoziale al fine di ampliare il proprio segmento di mercato e la propria clientela? In questo caso, il costo risulta essere pacificamente deducibile dall’imposta lorda che la Srl deve versare all’erario.
La Cassazione ricorda poi il principio secondo cui spetta al contribuente l’onere di provare l’inerenza della spesa sostenuta, per poi portarla in deduzione in sede di dichiarazione dei redditi.

Alla luce di tali considerazioni, il Collegio ha dichiarato fondato il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassando, con rinvio alla Ctr del Lazio, la sentenza impugnata.


Fonte: Agenzia Entrate

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