Con la sentenza 62/36/11, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha dichiarato legittimo l’accertamento di maggiori ricavi determinati con il metodo induttivo nei confronti di una società operante nel campo della vendita al dettaglio di mobili e articoli di arredo nel territorio brianzolo.
Ad avviso dei giudici lombardi, infatti, gli indicatori economico-aziendali rilevati dall’ufficio, quali l’incoerenza della percentuale di ricarico calcolata sulla base dei dati contabili, l’incongruenza del volume dei ricavi dichiarati rispetto a quelli stimati dallo specifico studio di settore, l’incoerenza sia dell’indice di rotazione del magazzino sia del valore aggiunto per addetto, l’assenza della documentazione tanto delle vendite quanto della movimentazione del magazzino unitamente alla presenza di saldi negativi del conto cassa, costituiscono elementi idonei a dimostrare l’inattendibilità della contabilità della società e a fondare l’accertamento analitico induttivo.

Il fatto
Una verifica fiscale condotta da funzionari dell’Agenzia delle Entrate evidenziava la grave incongruenza tra il reddito d’impresa (negativo) dichiarato per l’anno 2004 – perdita fiscale – e l’imponibile ragionevolmente desumibile dalle caratteristiche dell’attività svolta. I rilievi dei verificatori sono stati totalmente condivisi nell’avviso di accertamento successivamente impugnato.

La determinazione induttiva dei ricavi ha seguito la seguente logica:
individuazione di un campione significativo di fornitori
calcolo del costo del venduto (Cdv) della merce di ciascun fornitore sulla base dei dati contabili resi noti dalla società
determinazione dell’incidenza del Cdv di ciascun fornitore sul Cdv totale del campione (peso)
determinazione della percentuale di ricarico applicata sulla merce venduta da ogni fornitore campionato sulla base dei listini di vendita e delle altre informazioni date dalla società
calcolo della percentuale di ricarico media ponderata in ragione dei pesi come sopra determinati
determinazione dei ricavi presuntivamente conseguiti applicando al costo del venduto (globale) del 2004 la percentuale media di ricarico e deducendo lo sconto applicabile in base alla prassi commerciale seguita dall’azienda.

Dal confronto tra i ricavi calcolati induttivamente e quelli contabilizzati, si è giunti a quantificare la materia imponibile sottratta a imposizione.

La sentenza
La Commissione del riesame ha valorizzato il metodo di accertamento utilizzato dall’ufficio per giungere al risultato univoco di contestare il maggiore reddito rispetto a quello dichiarato, con ciò ribaltando le conclusioni della sentenza appellata.
I giudici di prime cure, infatti, avevano censurato l’operato dell’Amministrazione finanziaria dopo aver disconosciuto la validità degli indici rilevatori dell’inattendibilità della contabilità aziendale, sostenendo, al contrario, la non modificabilità del risultato economico dichiarato dalla società.

La sentenza in esame si inserisce nel solco tracciato dall’interpretazione resa dalla Corte di cassazione (cfr sentenza 2876/2009, articolo su FiscoOggi del 23 febbraio 2009) secondo cui è legittima la determinazione presuntiva – o induttiva – di maggiori ricavi fondata sulle caratteristiche o condizioni specifiche di svolgimento dell’attività del contribuente (ai sensi del combinato disposto degli articoli 39, comma 1, lettera d), Dpr 600/1973 e 62-sexies, coma 3, Dl 331/1993), pure in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto confliggente con regole fondamentali di ragionevolezza, potendo il giudizio di non affidabilità della documentazione fiscale essere determinato dall’abnormità dell’espressione finale.

Ad avviso della Corte suprema, infatti, ove l’ufficio motivi sufficientemente l’accertamento eseguito secondo i criteri stabiliti da tale disposizione con la rettifica del reddito, specificando sia gli indici d’inattendibilità dei dati relativi ai ricavi sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, il provvedimento è di per sé legittimo, non essendo necessario il riscontro analitico della congruenza e della verosimiglianza dei singoli cespiti dichiarati dal contribuente (cfr Cassazione, sentenza 22695/2008, vedi articolo FiscoOggi del 23 settembre 2008, e Cassazione, sentenze 24532/2007 e 26919/2006).

In questo senso, la ricostruzione dei ricavi adoperata dall’ufficio secondo canoni conformi a quelli richiesti dai supremi giudici, ha potuto prevalere sui risultati forniti dalla contabilità considerati non modificabili “in alcun modo” dalla Ctp. D’altronde, la Corte di cassazione aveva già confermato l’importante principio, secondo cui la tenuta di una contabilità formalmente regolare, da parte del contribuente, non impedisce una ricostruzione indiretta dei ricavi e del volume d’affari sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti (Cassazione, sentenza 13952/2008, articolo di FiscoOggi del 18 giugno 2008 e sentenza 21697/2010).


Fonte: Agenzia Entrate

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