Ancora una volta, la Cassazione, con la sentenza 21132 del 13 ottobre, torna a occuparsi della legittimità dell’accertamento fiscale fondato sulle presunzioni connesse alle movimentazioni – in entrata e in uscita – sui conti correnti bancari e/o postali (articoli 51 del Dpr 633/1972 e 32 del Dpr 600/1973) intestati non solo al soggetto accertato ma anche a persone a quest’ultimo in qualche modo legate, familiari e/o terzi (cfr Cassazione, sentenza 20449/2011).

La vicenda ha origine da una serie di accertamenti Iva, emessi da un ufficio finanziario nei confronti di una contribuente, anche a seguito di verifiche bancarie, con i quali le veniva contestata l’omessa fatturazione di operazioni imponibili e omessa dichiarazione, nonché la mancata istituzione delle scritture contabili.

La contribuente impugna gli atti impositivi nella competente Commissione tributaria provinciale, sostenendo di non aver svolto attività di lavoro autonomo, come affermato dall’Erario, bensì di lavoro subordinato, in qualità di dipendente del coniuge professionista.
I giudici di primo grado accolgono il ricorso, nella considerazione che non era stata dimostrata, da parte dell’Amministrazione finanziaria, l’attività di lavoro autonomo svolta dalla ricorrente.

Il successivo appello proposto dall’ufficio viene respinto, sempre con l’argomentazione per cui non erano applicabili, al caso di specie, le presunzioni di cui all’articolo 51 del Dpr Iva, non essendo stata dimostrata l’attività di lavoro autonomo svolta dalla ricorrente.

L’Amministrazione finanziaria propone ricorso per Cassazione deducendo, come unico motivo, la violazione e la falsa applicazione del citato articolo 51 del Dpr Iva e contestando l’esattezza del presupposto assunto dal giudice di merito – circa la necessità di una previa prova della sussistenza di un lavoro autonomo, affinché operi la presunzione di cui alla richiamata norma – il quale non ha posto a carico del contribuente l’onere di dimostrare che le operazioni registrate nei conti correnti bancari non afferiscono a operazioni imponibili.
La Corte suprema accoglie il ricorso.

Al riguardo, i giudici di legittimità richiamano precedenti pronunce nelle quali hanno avuto modo di affermare che l’utilizzo “…dei dati acquisiti presso le aziende di credito, non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa; infatti, se non viene contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di una eventuale attività occulta (impresa, arte o professione) sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, essendo onere del contribuente dimostrare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti (Cass. 2435/01)” (Cassazione, sentenza 9573/2007).

In ordine all’onere della prova, la Cassazione ricorda che, per consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di accertamento Iva, “… la presunzione, stabilita dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal successivo art. 54, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime IVA, eventualmente dalla persona fisica, e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti; essa può essere vinta dal contribuente che offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili (così, ex plurimis, 3929/2002)” (Cassazione, sentenza n. 26692 del 2005).

Riflessioni finali
La pronuncia in commento contiene argomentazioni già fatte proprie dalla giurisprudenza di legittimità, a sostegno di due rilevanti principi di diritto in materia di presunzioni reddituali su movimentazioni finanziarie.Il primo (cfr Cassazione, sentenze 10578/2011, 587, 18081 e 23873 del 2010 e 7766/2008) statuisce che quando l’accertamento, effettuato dall’ufficio finanziario, si fonda su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto attraverso i soli dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, e si determina un’inversione dell’onere della prova, a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili a operazioni imponibili.

Il secondo, invece, (cfr Cassazione, sentenze 10578/2011, 13807/2010, 18111/2009 e 9573/2007) si fonda sulla considerazione per cui, quando sussistono flussi finanziari che non trovano corrispondenza nella dichiarazione dei redditi, il recupero fiscale non è subordinato alla prova preventiva – da parte dell’Amministrazione – che il contribuente eserciti una specifica attività.

In altri termini, in assenza di contestazione sulla legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, gli stessi dati possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione) sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l’onere di dimostrare la non rilevanza fiscale dei movimenti bancari, che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni.

Ne consegue, per un verso, che, sulla base dell’esistenza di una presunzione legale, l’Amministrazione finanziaria è sempre dispensata dal dover dimostrare la sua pretesa (cfr Cassazione, sentenza 11750/2008), dall’altro, che la prova contraria fornita dal contribuente deve essere circostanziata (cfr Cassazione, sentenza 14847/2008), nel senso che non può essere solo generica e cioè relativa all’attività esercitata, ma deve essere altresì, specifica, ciò soprattutto quando il contribuente utilizza il conto corrente a lui personalmente intestato anche per maneggio di danaro altrui (cfr Cassazione, sentenza 13818/2007).

In quest’ultima ipotesi, il contribuente deve fornire la prova analitica della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di gestione di danaro di altri soggetti, diversamente la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato.


Fonte. Agenzia Entrate

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