In materia di reati di riciclaggio, deve ritenersi legittimo il sequestro finalizzato alla confisca anche quando l’imputato ha aderito, per lo stesso patrimonio, a precedenti sanatorie fiscali. E’ questo, in sintesi, l’importante chiarimento, di nuova matrice, fornito dalla Corte di cassazione, seconda sezione penale, con la sentenza 36913 del 13 ottobre.

Il fatto
Nello specifico, un indagato era stato condannato dal giudice per l’udienza preliminare alla pena della reclusione e alla multa per il reato di riciclaggio (articolo 648-bis del codice penale), la cui sentenza venne confermata dalla Corte d’appello.

Con il conseguente ricorso per Cassazione, l’imputato denunciava la sentenza impugnata per erronea applicazione della legge penale con riferimento ai beni sequestrabili ai sensi dell’articolo 12-sexies del Dl 306/1992, contenente provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa, oltre che vizi di motivazione relativi al sequestro.

Poiché questa norma pone il criterio della sproporzione rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, il ricorrente sosteneva che, nella specie, tale sproporzione dipendeva “dall’esistenza di redditi non dichiarati e fiscalmente elusi”, ma non sicuramente dalla provenienza illecita dei suoi guadagni. Erroneamente, quindi, la Corte territoriale avrebbe affermato che gli importi derivanti da evasione fiscale non potessero essere computati ai fini della giustificazione della consistenza patrimoniale dei beni sottoposti a sequestro. La riprova della veridicità di questa lettura sarebbe nell’adesione del preposto ai condoni fiscali succedutisi nel tempo nonché nella circostanza che non sono stati considerati nella valutazione della disponibilità economica complessiva i rilevanti utili in nero conseguiti nella gestione di una società di fatto con sua moglie.

Ciò posto, occorre chiarire che l’articolo 12-sexies del Dl 306/1992, ai fini della confisca e, quindi, del sequestro a essa sottesa, prende in considerazione i beni o le altre utilità economiche di cui l’imputato/condannato per determinati delitti “non può giustificare la provenienza e di cui (...) risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica” (cfr Cassazione 2818/2006).
Perché sia evitato il provvedimento ablativo, non basta perciò che il soggetto giustifichi la provenienza di tali risorse economiche, occorrendo anche che il valore di queste non sia sproporzionato rispetto, alternativamente, al reddito dichiarato a fini fiscali o all’attività economica esercitata (Cassazione 29926/2011).

La decisone
La tesi secondo cui il patrimonio non poteva essere confiscato dal momento che l’imputato, evasore fiscale dichiarato, aveva aderito al condono tombale, non ha però convinto la Suprema corte, che ha respinto il ricorso, argomentando innanzitutto che, ai fini del sequestro, non va mai dimenticata la provenienza illecita del denaro.

In particolare, il Collegio ha tenuto a sottolineare come, ai fini del sequestro e della confisca, l’adesione a un condono, anche nella forma “tombale” (articolo 9, legge 289/2002), non fa venir meno l’illiceità originaria della condotta di chi si è procurato le somme poi oggetto anche di evasione fiscale.

“In sostanza – precisa incisivamente la sentenza –, l’adesione al condono fiscale non esclude di per sé la provenienza illecita del patrimonio, potendo oltretutto consistere tale illiceità (che non necessariamente deve essere di rilievo penale) proprio nell’evasione fiscale, né elide ex post la ‘illiceità originaria’”.
Poiché il giudizio di proporzionalità deve essere effettuato fra la consistenza patrimoniale dell’interessato e i suoi profitti leciti, il condono fiscale non ha alcuna incidenza in termini giustificativi dell’eventuale sproporzione fra patrimonio e reddito.

D’altronde, la finalità delle disposizioni sulla confisca, quale misura di prevenzione patrimoniale, è intesa a sottrarre alla disponibilità dell’indiziato di appartenenza a sodalizi di tipo mafioso tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso, né rileva, nel provvedimento ablativo, l’assenza di motivazione in ordine al nesso causale fra presunta condotta mafiosa e illecito profitto, essendo sufficiente la dimostrazione della illecita provenienza dei beni confiscati, qualunque essa sia (Cassazione, 2181/1999, 36762/2003, 8699/2007; Corte costituzionale 18/1996).

In conclusione, la stretta della Cassazione appare giustificata ove si consideri che riciclaggio ed evasione fiscale sono due complesse realtà criminali strettamente interconnesse che riguardano l’economia e colpiscono lo Stato, inquinando e manipolando il sistema dei redditi e dei flussi finanziari.


Fonte: Agenzia Entrate

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