Il singolo condomino non può autonomamente installare un impianto di videosorveglianza che riprenda parti comuni dell'edificio, neppure a scopo di tutela della sua sicurezza, messa in pericolo da atti vandalici e/o tentativi di effrazione, così ha deciso il Tribunale di Varese con la sentenza n. 1273 del 16 giugno 2011, ritenendo che perché possa installarsi legittimamente detto impianto è necessario il consenso espresso di tutti i condomini
A seguito di alcuni tentativi di effrazione e di atti vandalici subiti, un condomino, di propria iniziativa, aveva fatto installare un impianto di videosorveglianza con tre telecamere: la prima montata sul pianerottolo del primo piano che inquadrava parzialmente la porta di ingresso di altri condomini, la seconda che puntava sul portone di accesso al fabbricato e sul garage e l’ultima che riprendeva una vecchia serra. A tale iniziativa reagivano gli altri condomini, sottoponendo al Tribunale di Varese la descritta situazione e chiedendo di dichiararne l’illegittimità con conseguente rimozione dell’impianto stesso, in via cautelare, sul presupposto che il sistema era destinato a riprendere immagini degli spazi comuni con conseguente violazione della privacy e della riservatezza dei condomini.

La questione giuridica affrontata concerne, in sostanza, la liceità del comportamento di un singolo condomino che, senza previa delibera assembleare, installi, al fine di tutelare la propria personale sicurezza, un impianto di videosorveglianza che riprenda anche aree condominiali comuni, con conseguente sacrificio del diritto alla riservatezza degli altri condomini e di terzi tutelato direttamente dall’art. 2 Cost..

E’ ormai orientamento consolidato che il siffatto comportamento, anche se assunto contro la volontà degli altri comproprietari, non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all’art. 615 bis c.p. in quanto la tutela penale del domicilio è limitata a ciò che avviene in luoghi di provata dimora, non visibili ad estranei.

Ciò soprattutto se gli altri condomini siano a conoscenza dell'esistenza delle telecamere e possano visionarne in ogni momento le riprese: “l’esposizione alla vista di terzi di un'area che costituisce pertinenza domiciliare e che non è destinata a manifestazioni di vita privata esclusive è incompatibile con una tutela penale della riservatezza, anche ove risultasse che manifestazioni di vita privata in quell'area siano state in concreto, inaspettatamente, realizzate” (Cass. pen. 21 ottobre – 26 novembre 2008, n. 44156, Cass. pen.

30.10.2008, n. 40577, Cass. SS. UU. pen. 28 marzo 2006 n. 26795, Corte costituzionale n. 149/2008).

Non così pacifica è, invece, la valutazione della liceità del descritto comportamento dal punto di vista civile.

La materia sottoposta al vaglio del Tribunale si presenta alquanto spinosa e controversa. Di certo vi è che, nonostante i solleciti provenienti da più parti, manca una disciplina normativa che attui la riserva di legge prevista dall’art. 14 Cost..

In attesa che venga colmata questa lacuna, il Garante per la Privacy è intervenuto più volte per stabilire alcuni punti fermi.

In primo luogo vi è da precisare che l'installazione di tali impianti, se effettuata nei pressi di immobili privati e all'interno di condominii e loro pertinenze, non è soggetta al Codice in materia di dati personali (D. Lgs. 196/2003) quando i dati non sono comunicati sistematicamente o diffusi. Nonostante ciò, richiede comunque l'adozione di cautele a tutela dei terzi (art. 5, comma 3, del Codice).

In particolare le riprese devono essere limitate esclusivamente agli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio quelli antistanti l'accesso alla propria abitazione) escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relative ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) o antistanti l'abitazione di altri condomini.

Quando invece la ripresa delle aree condominiali è effettuata da più condomini o dal condominio trova applicazione il citato Codice.

L'installazione di questi impianti è ammissibile esclusivamente per assicurare la sicurezza di persone e la tutela di beni da concrete situazioni di pericolo, di regola costituite da illeciti già verificatisi, oppure nel caso di attività che comportano, ad esempio, la custodia di denaro, valori o altri beni (recupero crediti, commercio di preziosi o di monete aventi valore numismatico).

Poiché, ad ogni modo, comporta l'introduzione di una limitazione e comunque di un condizionamento per i cittadini, deve essere rifiutato ogni uso superfluo nonchè ogni utilizzazione eccessiva rispetto allo scopo da raggiungere. Scopo che deve essere determinato, esplicito e legittimo e, soprattutto, di pertinenza del titolare dell’impianto.

Per questo motivo possono essere attivati soltanto quando altre misure (ad esempio: controlli da parte di addetti, sistemi di allarme, misure di protezione degli ingressi, abilitazioni agli ingressi) siano insufficienti o inattuabili e, per questo motivo, anche l'installazione meramente dimostrativa o artefatta di telecamere non funzionanti o per finzione, anche se non comporta trattamento di dati personali, può essere legittimamente oggetto di contestazione.

Sulla scorta di tale quadro si è formata una giurisprudenza di merito, non essendovi ancora sul punto pronunce della Suprema Corte, compattamente orientata nel senso che non esiste un potere spettante a ciascun condomino di installare impianti di videosorveglianza, soprattutto se orientati su parti condominiali, in quanto ciò comporta una evidente compressione e lesione del diritto all’altrui riservatezza, non giustificata da un interesse altrettanto forte e ampio, considerando che l’esigenza di tutela possa far capo ad uno solo dei condomini, mentre il diritto alla riservatezza riguarda tutti gli altri (in tal senso Trib. Nola, sez. II civ., ord. 3 febbraio 2009, Trib. Milano, 6 aprile 1992).

Condividendo tali assunti, la sentenza in esame, tenuto conto che, nel caso concreto, le telecamere erano state “puntate” non soltanto sulla proprietà esclusiva del condomino installatore ma anche su aree comuni e ritenendo che “il condomino non abbia alcun potere di installare, per sua sola decisione, delle telecamere in ambito condominiale idonee a riprendere spazi comuni o addirittura spazi esclusivi degli altri condomini”, ha qualificato illecito tale comportamento con il conseguente ordine di eliminare le telecamere posizionate.

Ma il Tribunale di Varese si spinge oltre statuendo che neppure l’assemblea condominiale può deliberare l’installazione dell’impianto di videosorveglianza, in quanto lo scopo della tutela dell'incolumità delle persone e delle cose dei condomini, non essendo finalizzata a servire i beni comuni e concretandosi in una lesione di un diritto fondamentale della persona tutelato direttamente dall’art. 2 Cost., esula dalle attribuzioni dell'assemblea stessa (conforme Tribunale di Salerno ordinanza del 14 dicembre 2010).

Ed infatti “i singoli condomini non possono giammai sopportare, senza il loro consenso, una ingerenza nella loro riservatezza seppur per il fine di sicurezza di chi video-riprende. Né l’assemblea può sottoporre un condomino ad una rinuncia a spazi di riservatezza solo perché abitante del comune immobile, non avendo il condominio alcuna potestà limitativa dei diritti inviolabili della persona.

Peraltro, nell’ottica del cd. balancing costituzionale, la videoripresa di sorveglianza può ben essere sostituita da altri sistemi di protezione e tutela che non compromettono i diritti degli altri condomini, offrendo quindi un baricentro in cui i contrapposti interessi possono convivere”.

Pertanto, il sistema di videosorveglianza può essere installato soltanto nel caso in cui la decisione sia deliberata all’unanimità dai condomini, perfezionandosi in questo caso un comune consenso idoneo a fondare effetti tipici di un negozio dispositivo dei diritti coinvolti e, quindi, con il consenso espresso, libero e documentabile per iscritto come prescritto dall’art. 23 del Codice in materia di protezione dei dati personali.

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