Con la sentenza 16642 del 29 luglio, la Corte di cassazione ha ribadito che il contribuente deve fornire un'adeguata giustificazione della sproporzione fra ricavi ridotti e costi molto elevati. Né il giudice tributario può respingere la pretesa dell'Amministrazione senza spiegare le ragioni del trasferimento di costi.

Il fatto
La vicenda processuale riguarda un accertamento analitico-induttivo mediante il quale l'ente impositore recuperava a tassazione Irpeg/Ilor un maggior reddito imponibile nei confronti di una società controllata. La contestazione dipendeva dalla ingiustificata riduzione, in un solo esercizio d'imposta, della percentuale di ricarico dall'89,34% al 27,49% sui costi dei beni prodotti e ceduti subito dopo alla controllante a prezzo di acquisto.

Contrariamente alle motivazioni del contribuente (difficile situazione di mercato, sopravvenuta necessità di integrare le forniture alla controllante con beni accessori per l'installazione dei manufatti prodotti), l'Ufficio, invece, ipotizza un'elusione degli obblighi fiscali (precostituiti accordi di gruppo tra controllante e controllata), vista l'irragionevole e antieconomica gestione societaria. Ipotesi che, però, non erano state ravvisate nelle successive fasi del giudizio, né dalla Commissione tributaria provinciale, né tantomeno dalla Commissione regionale, che aveva confermato il primo giudicato sfavorevole. Secondo la Ctr, infatti, sussistono elementi sufficienti ad escludere i maggiori ricavi accertati (la regolarità formale della contabilità, la qualità della clientela "finale" che avrebbe impedito la produzione di ricavi extracontabili e l'esistenza di ragioni idonee a giustificare la contrazione della predetta percentuale di ricarico).

Col successivo ricorso per Cassazione, l'Amministrazione finanziaria denunciava, tra l'altro:
•la violazione dell'articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, atteso che il giudice di merito aveva ritenuto tout court assolto l'onere probatorio da parte del contribuente, nonostante l'evidente antieconomicità della gestione aziendale non adeguatamente giustificata dalla parte
•l'insufficiente motivazione in quanto il giudice di merito aveva sorvolato sui plurimi indizi versati in atti, dai quali era desumibile che l'obiettivo della strategia di gruppo non fosse quello di favorire le vendite tra le due società, ma di dirottare i ricavi dalla controllata verso la controllante al fine di creare un effetto "discorsivo" sulla determinazione dei propri redditi.

Motivi della decisione
Il giudizio della Suprema corte su questi aspetti non poteva che portare all'accoglimento del ricorso, considerato che erano troppo eclatanti le "sfumature" evasive incomprensibilmente ritenute legittime (anche) dal giudice del riesame.
In particolare, valorizzato il ricorso all'accertamento analitico-induttivo (articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973), che è sempre legittimo - spiega la Corte - "quando l'esposizione dei ricavi è talmente ridotta rispetto ai costi da indurre a ritenere antieconomica la gestione", la motivazione della sentenza in esame si sofferma, poi, diffusamente a far rilevare le errate valutazioni del giudice di secondo grado, al quale non doveva sfuggire la strategia diretta a evadere le imposte sotto forma di un'apparente vendita sottocosto di beni prodotti, dalla controllata alla controllante. Necessariamente, mancando un reale tornaconto economico in termini di ricavi alle fittizie operazioni poste in essere, non ne poteva che discendere un "sospetto" abbassamento della percentuale di ricarico, tanto più che tale vicenda contabile non è stata seguita da un altrettanto significativo calo del monte acquisti. Dopo pochi mesi, infatti, la controllata è stata messa in liquidazione.

Né la descritta interpretazione del giudice di legittimità può trovare ostacolo nella tenuta di una contabilità regolare, in quanto costituisce principio consolidato (Cassazione 21265/2005, 951/2009 e 1647/2010) che in tema di accertamento induttivo dei redditi d'impresa (articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr 600/1973), sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l'atto di rettifica, qualora l'Ufficio abbia sufficientemente motivato - sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata - è assistito da presunzione di legittimità sull'operato degli accertatori (Cassazione 1442872005, 11559/2007 e 24532/2007).

Infine, per la valutazione a fini fiscali delle varie prestazioni che costituiscono le componenti attive e passive del reddito, il giudice d'appello ha mancato anche di applicare il principio stabilito dall'articolo 9 del Dpr 917/1986 che, al comma 3, impone quale criterio valutativo, il riferimento al normale valore di mercato per i corrispettivi, proventi, spese e oneri in natura, presi in considerazione dal contribuente (Cassazione 10802/2002).


Fonte: Agenzia Entrate

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