Con la risoluzione 77/E del 27 luglio, l’Agenzia delle Entrate interviene per chiarire gli effetti della cancellazione delle società dal registro delle imprese a seguito della riforma del diritto societario.
In particolare, sull’argomento, il Dlgs 6/2003 ha modificato l’articolo 2456 cc, poi trasfuso nell’articolo 2495 dello stesso codice, inserendovi l’inciso “ferma restando l’estinzione della società”.
Secondo, quindi, il nuovo testo della norma, “Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l'ultima sede della società”.

La precisazione del legislatore ha imposto una riconsiderazione della natura degli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, dalla quale discendono alcune conseguenze sull’attività operativa degli uffici, in particolare, relativamente all’attribuzione delle cosiddette sopravvenienze attive emergenti a seguito dell’estinzione, e in materia di rimborsi d’imposta.

La questione preliminare della natura giuridica della cancellazione
A proposito della natura giuridica della cancellazione delle società dal registro delle imprese, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha manifestato, nel tempo, diversi orientamenti.

Quando era ancora in vigore l’articolo 2456, cioè prima dell’inciso “ferma restando l’estinzione della società” introdotto dal legislatore della riforma del diritto societario, la Suprema corte aveva prevalentemente optato per la natura dichiarativa della cancellazione. Secondo tale orientamento, l’estinzione della società si verificava solo quando fossero esauriti tutti i rapporti giuridici a essa facenti capo a seguito della procedura di liquidazione, compresi i contenziosi in corso con i terzi.
Nell’ipotesi di sopravvenienze attive o passive, ovvero in caso di giudizi pendenti, doveva, dunque, riconoscersi alla società una limitata soggettività e capacità giuridica (cfr Cassazione, sentenze 10065/1996, 4953/2000, 15691/2003, 10555/2001, 9917/2005, 19732/2005, 12114/2006, 20377/2006, 646/2007, 29464/2008 e 25819/2008).
In altri termini, la società cancellata non perdeva la propria capacità processuale né, i suoi organi, la rappresentanza.

Con pronunce in massima parte successive alla riforma del diritto societario, la Cassazione ha mutato orientamento, affermando la natura costitutiva della cancellazione dal registro delle imprese e la conseguente estinzione irreversibile della società, anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti (cfr Cassazione, sentenze 18618/2006, 25192/2008, 29242/2008 e 25563/2009).
Restava, tuttavia, aperto il problema relativamente alle società di persone.

Di recente, ben quattro sentenze a sezioni unite della Suprema corte hanno attribuito natura costitutiva alla cancellazione delle società dal registro delle imprese, esprimendo definitivamente il principio della irreversibile estinzione di quest’ultima, anche in presenza di rapporti non definiti.
Alla stessa conclusione la Cassazione è giunta con riferimento alle società di persone, riconoscendo al novellato articolo 2495 cc “un effetto espansivo”, nonostante, in questo caso, la natura dichiarativa della cancellazione. A questa tesi si è adeguata la risoluzione in esame.

Il problema delle sopravvenienze attive
Uno dei problemi affrontati dal documento di prassi è quello delle cosiddette sopravvenienze attive, ossia degli elementi patrimoniali attivi, non compresi nel bilancio di liquidazione in quanto non conoscibili a quella data. Si tratta, infatti, di un nodo che non viene disciplinato dal legislatore né affrontato dalla Corte di cassazione, al quale ha tentato di dare soluzione la dottrina.

In particolare, da taluni si è ipotizzata la necessità della nomina di un curatore speciale, deputato al completamento delle attività non ultimate dal liquidatore prima della cancellazione, venendosi a creare una situazione simile a quella dell’eredità giacente. Da parte di altri si è invocato, invece, il potere del giudice del registro di “cancellare la cancellazione”, dato che questa sarebbe stata effettuata in difetto delle condizioni richieste dalla legge.
Altri ancora, infine, hanno configurato un meccanismo successorio dal quale scaturirebbe una situazione di comunione tra gli ex soci, avente a oggetto i beni non liquidati o comunque una contitolarità, in capo a costoro, dei diritti della società prima della cancellazione.
A tale ultima tesi si allinea l’Agenzia delle Entrate, affermando che le sopravvenienze attive devono essere attribuite “proporzionalmente ai soci, tra i quali si instaura un rapporto di comunione ordinaria ai sensi dell’art. 1100 del c. c., simile, in linea generale, a quello degli eredi”.

… e quello dei rimborsi d’imposta
A tal proposito, la risoluzione ricorda che, ai sensi dell’articolo 5 del Dm 26 febbraio 1992, il rimborso Iva, spettante alla società cancellata dal registro delle imprese, può essere eseguito al liquidatore “nella sua qualità di rappresentante legale della società in fase di estinzione”, se il credito di imposta è stato evidenziato nel bilancio finale di liquidazione, depositato nella cancelleria del tribunale. Tuttavia, tale disposizione si inserisce nel contesto normativo precedente la modifica della disciplina degli effetti della cancellazione della società e l’interpretazione successivamente fornita dalle sezioni unite della Cassazione.

Considerato, infatti, che la società cancellata è estinta irreversibilmente, il rimborso non può più essere eseguito al rappresentante legale, ai sensi del citato articolo 5, non potendosi configurare un rappresentante legale di un soggetto estinto. Pertanto, la risoluzione trova una soluzione sulla base delle medesime premesse accolte per la gestione delle sopravvenienze attive: come avviene per le società di persone, la titolarità del diritto al rimborso delle imposte viene riconosciuta direttamente ai soci, pro quota.

Riguardo a chi materialmente eseguire i rimborsi, la risoluzione suggerisce ai soci titolari del diritto di delegare uno di loro o un terzo (ad esempio l’ex liquidatore) alla riscossione dello stesso. Si tratta, evidentemente, di una semplice raccomandazione, volta a evitare l’erogazione del rimborso a ciascun socio in proporzione alle quote sociali, tanto complessa quanto lo è, generalmente, la compagine sociale delle società di capitali. Un obbligo in tal senso, infatti, potrebbe essere previsto solo da un’apposita norma.

La stessa Amministrazione fiscale, con la circolare 255/2000, aveva chiarito, con riferimento ai soci di società di persone cessate, che il conferimento di una delega a un solo socio per la riscossione del rimborso non costituisce un obbligo, bensì una mera facoltà.


Fonte: Agenzia Entrate

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