Con l’ordinanza 244 del 21 luglio, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000 – introdotto dall’articolo 35, comma 7, del Dl 223/2006 – sollevata in riferimento all’articolo 3 della Costituzione.
Prima di esaminare nel dettaglio l’ordinanza, ricordiamo brevemente la normativa in questione.

Il quadro normativo di riferimento
L’articolo 35, comma 7, del Dl 223/2006 ha introdotto, a decorrere dal 4 luglio 2006, nell’ambito del Dlgs 74/2000, gli articoli 10-ter e 10-quater, ossia due nuove fattispecie delittuose riferite, rispettivamente, all’omesso versamento dell’Iva e all’utilizzazione in compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, ove l’ammontare ecceda 50mila euro per ciascun periodo d’imposta.
In particolare, la fattispecie delittuosa prevista nell’articolo 10-ter - il cui testo prevede “la disposizione di cui all’articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo” - rinvia alla sanzione penale stabilita, dal precedente articolo 10-bis, per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate (per un ammontare superiore a 50mila euro), ossia la reclusione da sei mesi a due anni.
In altri termini, per il legislatore, il comportamento del contribuente che non versa l’Iva dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale è assimilabile, sotto il profilo sanzionatorio, a quello del sostituto d’imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti.

A tal proposito, si ricorda che l’articolo 6, comma 2, della legge 405/1990 stabilisce che l’acconto Iva deve essere versato entro il giorno 27 del mese di dicembre, pertanto, per la consumazione del reato di cui all’articolo 10-ter, non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste, ma occorre che l’omissione del versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento (quindi, il reato in parola si configura allorquando, ad esempio, il debito Iva risultante dalla dichiarazione relativa all’anno 2006 non venga versato entro il 27 dicembre 2007).
Ne consegue che il momento consumativo del reato di cui al citato articolo 10-ter è determinato dallo spirare del termine per il versamento dell’acconto (ossia, il 27 dicembre dell’anno solare) per il periodo d’imposta successivo (cfr, Cassazione 6293/2010).

Ora, considerato che la disposizione in esame è entrata in vigore il 4 luglio 2006 e che la fattispecie delittuosa si perfeziona alla data del 27 dicembre di ciascun anno per l’Iva relativa alla dichiarazione dell’anno precedente, la previsione sanzionatoria trova applicazione a partire dai reati di omesso versamento consumati entro il 27 dicembre 2006, ovvero quelli riguardanti l’Iva risultante dalla dichiarazione relativa all’anno 2005 (cfr, circolare 28/2006).

L’ordinanza di rimessione
Con ordinanza del 22 ottobre 2010, il Tribunale di Torino ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, per violazione dell’articolo 3 della Costituzione, relativamente agli omessi versamenti per il periodo di imposta 2005, in quanto - solo per l’annualità 2005 - il termine per versare le imposte risultava inferiore a quello normalmente concesso per i successivi periodi di imposta.
Secondo i giudici piemontesi, infatti, poiché la fattispecie delittuosa in parola si consuma - in ragione della disciplina relativa all’Iva - nel mese di dicembre dell’anno successivo a quello rispetto al quale l’imposta è dovuta, il soggetto che sulla base della dichiarazione annuale è debitore di imposta, nella misura superiore a 50mila euro, ha un termine di dodici mesi per corrispondere il tributo onde non incorrere in responsabilità penale.
Invece, con riferimento all’imposta dovuta per l’anno 2005, appare evidente, essendo la norma incriminatrice entrata in vigore il 4 luglio 2006, che il termine per effettuare il versamento dell’imposta - al fine di non incorrere in omissione penalmente rilevante - è, in concreto stato, di molto inferiore a quello di dodici mesi, avendo avuto il contribuente minor tempo per sanare la sua posizione debitoria (dal 4 luglio al 27 dicembre 2006).

In buona sostanza, la norma incriminata ha un contenuto precettivo differente a seconda dell’anno per il quale è dovuta l’imposta, sicché è fatto obbligo a chi era debitore Iva per l’anno 2005 di effettuare il versamento in un termine inferiore rispetto a chi lo è stato per gli anni successivi e a chi lo sarà in futuro.
Pertanto, concludono i giudici torinesi, vi è “…una disparità di trattamento, punendo la norma in ugual modo condotte differenti, tra chi ha omesso il versamento IVA per l’anno 2005 e chi lo ha omesso o lo ometterà negli anni successivi, con conseguente violazione dell’art. 3 della Costituzione”.

La sentenza della Corte costituzionale
Secondo la Consulta, la doglianza è infondata e va rigettata.
Infatti, per costante giurisprudenza della stessa Corte, “…non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo costituisce un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche (ex plurimis, sentenza n. 94 del 2009, ordinanze n. 61 del 2010, n. 170 del 2009 e n. 212 del 2008; nonché, con particolare riguardo alla disciplina dei termini, sentenze n. 342 del 2006, n. 489 del 1989 e n. 367 del 1987)…”.

La circostanza poi, che, per ragioni collegate alle meccaniche di entrata in vigore della norma incriminatrice, il debitore di Iva per l’anno 2005 dispone, al fine di eseguire il versamento – o, meglio, per decidere se effettuarlo o meno con la consapevolezza che la sua omissione avrà conseguenze penali – di un termine minore di quello accordato ai contribuenti per gli anni successivi, non può ritenersi, di per sé, lesiva del parametro costituzionale evocato.

Oltretutto, continua la Corte, il termine di oltre cinque mesi e mezzo (dal 4 luglio al 27 dicembre 2006), riconosciuto al soggetto in questione, in luogo dei quasi dodici mesi ordinari, “…non può ritenersi intrinsecamente incongruo, ossia talmente breve da pregiudicare o da rappresentare, di per sé, un serio ostacolo all’adempimento (per analoga considerazione, con riguardo ad altra fattispecie, sentenza n. 342 del 2006)…correlativamente, neppure può considerarsi lesivo del principio di eguaglianza il fatto che la norma censurata sottoponga allo stesso trattamento sanzionatorio soggetti che fruiscono di termini comunque differenti per il versamento idoneo ad evitare la responsabilità penale…”.

Ciò in quanto, “…al legislatore è consentito includere in uno stesso paradigma punitivo una pluralità di fattispecie diverse per struttura e disvalore, spettando, in tali casi, al giudice far emergere la differenza tra le varie condotte tramite la graduazione della pena tra il minimo e il massimo edittale (ex plurimis, sentenze n. 250 e n. 47 del 2010; ordinanze n. 213 del 2000 e n. 145 del 1998)…”.

Tanto premesso, chiosa infine la Consulta, la particolare situazione in cui “…sono venuti a trovarsi i contribuenti per l’anno 2005 rispetto ai destinatari del precetto per gli anni successivi, potrà essere eventualmente apprezzata e valorizzata dal giudice in sede di determinazione della pena nell’ambito della forbice edittale, sufficientemente ampia a tal fine (da sei mesi a due anni di reclusione)…”.


Fonte: Agenzia Entrate

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