È legittimo l'avviso di accertamento, per maggior reddito non dichiarato, basato sul rapporto fra il tariffario a prestazione e le ore lavorate, anche se le scritture contabili sono regolari.
Con l'ordinanza 12346/2011, la Cassazione ha ritenuto regolare la metodologia di ricostruzione indiretta dei ricavi adottata dall'ufficio.

Il fatto
La vicenda, di per sé molto lineare, ha origine dalla notifica da parte dell'ente impositore a una società di persone, una Snc, e relativi soci, di un avviso di accertamento unificato in materia di Iva, Irap e Irpef, calcolando il maggior reddito sul rapporto incongruente fra il tariffario a prestazione e le ore effettivamente lavorate.

L'impugnazione dei contribuenti ha trovato positivo riscontro sia davanti la Commissione tributaria provinciale sia davanti quella regionale, ma le cose sono notevolmente cambiate nel giudizio di legittimità attivato dall'Amministrazione finanziaria soccombente sulla scorta di censure concernenti violazione di legge e insufficiente motivazione.

A parte la questione di rito addotta per violazione di legge (risolta positivamente dalla Cassazione nei riguardi della ricorrente alla luce dei principi affermati in proposito dalla sentenza 12067/2007), l'oggetto principale della contesa concerne vizi di motivazione in quanto la sentenza impugnata - sostiene l'ufficio - si basa su due rationes decidendi, le quali hanno dapprima riconosciuto legittimo il ricorso all'accertamento induttivo, ma successivamente il Collegio giudicante ha affermato la regolarità formale delle scritture contabili della società e disatteso anche la metodologia di ricostruzione indiretta dei ricavi adottata dall'ufficio.

Motivi della decisione
La Cassazione sostiene che la sentenza impugnata contrasta con i criteri cui deve rispondere un provvedimento giurisdizionale, cioè l'obbligo di motivazione (sancito dall'articolo 3 della legge 241/1990), atteso che dalla trama argomentativa della sentenza non viene sufficientemente esplicitato l'iter logico seguito dal giudice, il quale ha ritenuto errato il calcolo dell'ufficio in relazione alle dichiarazioni della parte. Ciò considerando che il tariffario implica necessariamente "la valutazione del tempo necessario a espletare le varie prestazioni".

Peraltro, torna utile ricordare, con riguardo al motivo concernente la violazione di legge, ma con implicazioni che influenzano anche la carenza di motivazione, che la Suprema corte ha affermato che "... l'accertamento dei presupposti per procedere ad accertamento sintetico è questione preliminare rispetto alla ricostruzione dei ricavi e del reddito, con natura autonoma, onde la pronunzia della Ctp che riteneva corretto il ricorso all'accertamento induttivo andava gravata d'appello incidentale induttivo (i contribuenti non potevano essere ritenuti totalmente vittoriosi) pena il formarsi del giudicato sul punto, come è avvenuto nel caso in esame".

Nella specie, il giudice d'appello non ha esposto compiutamente le ragioni e le fonti del proprio convincimento mediante il richiamo alla completezza e attendibilità dell'indagine fiscale (basata, cioè, sulla pluralità di elementi indiziari provenienti da fonti diverse e indipendenti, aventi il carattere della certezza e della credibilità) e all'assenza di qualsiasi prova delle circostanze di fatto addotte dalla contribuente per dimostrare l'erroneità dell'accertamento (cfr Cassazione 798/2003).

Al riguardo, occorre considerare che, in base ai principi generali che governano l'azione di accertamento tributario (cfr Cassazione 13692/2005), l'articolo 39 del Dpr 600/1973 fa salva la possibilità di desumere l'esistenza di attività non dichiarate facendo ricorso a presunzioni semplici, assistite dalla connotazione civilistica di cui agli articoli 2727 - 2729 codice civile (Cassazione 7931/1996).

E' pertanto ammesso l'accertamento induttivo del reddito, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente e essenzialmente inattendibile, in quanto contrastante con le regole fondamentali di ragionevolezza.

Qualora l'ufficio abbia sufficientemente motivato l'accertamento sintetico, sia specificando gli indici di ricchezza sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, il provvedimento di rettifica del reddito è di per sé legittimo, non essendo necessario che sia stato preceduto dal riscontro analitico della congruenza e della verosimiglianza dei singoli cespiti di reddito dichiarati dal contribuente (Cassazione 13976/2000 e 10821/1995).

La tenuta della contabilità in maniera formalmente regolare non è quindi di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni (Cassazione 2315/2001, 2168/2001 e 15089/2000).

In ultima analisi, nel caso in esame appare sostanzialmente corretto l'operato dell'ufficio volto a ricondurre la rideterminazione induttiva dei compensi e la conseguente attendibilità dei ricavi accertati e inattendibilità del reddito dichiarato, in relazione alla dimostrata sottofatturazione delle prestazioni professionali rese dai contribuenti nelle operazioni oggetto della propria attività.

Da ultimo, occorre evidenziare, in linea generale, che la giurisprudenza di legittimità ha sancito la nullità dell'accordo con il quale l'avvocato e il cliente pattuiscono l'onorario spettante al professionista in deroga ai minimi della tariffa forense (Cassazione 20269/2010 e 3432/2003).


Fonte: Agenzia Entrate

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