Utilizzabili contro il contribuente le dichiarazioni spontanee rese in assenza del difensore.
E’ quanto emerge dalla sentenza 21855 del 1° giugno della Corte di cassazione, la quale ha così stabilito che le dichiarazioni spontanee rese dall’imprenditore durante un’ispezione della Guardia di finanza possono essere utilizzate, anche se il difensore non era presente in quel momento.

Il fatto
Il rappresentante legale di una società in accomandita semplice utilizzava per spese personali una rilevante somma, per sua stessa ammissione prelevata dagli utili della società, senza però che la stessa transitasse né nella propria dichiarazione delle persone fisiche né in quella della società, come prescritto dall’articolo 5 del Tuir.
L’omissione, constatata in sede di verifica fiscale, determinava un’evasione superiore al 10% degli elementi attivi indicati in dichiarazione, quali somme conseguite nell’attività d’impresa, e a carico del socio il reato di infedele dichiarazione previsto dall’articolo 4 del Dlgs 74/2000, in base al quale è punito con la reclusione chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’Iva, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente, l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a quattro miliardi di lire.

Il giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni mobili e immobili di proprietà del socio, come voluto dall’articolo 1, comma 143, della legge 244/2007, nel rinvio operato all’articolo 322-ter del codice penale, ma l’imputato, opponendosi, otteneva dal Tribunale del riesame l’annullamento del decreto preventivo. In particolare, il dissequestro veniva adottato dal giudice sia per aver ritenuto inutilizzabili, ai fini della confisca per equivalente, le dichiarazioni rese dall’imprenditore nel corso dell’ispezione della Guardia di finanza in assenza del difensore (in violazione dell’articolo 63 cp) sia perché non era stata provata la riconducibilità delle somme utilizzate dall’imputato al reddito di impresa.

Contro l’ordinanza di annullamento della misura cautelare il pubblico ministero proponeva opposizione in Cassazione, denunciando violazione dell’articolo 606, lettera b), codice di procedura penale, atteso che:
le dichiarazioni dell’imputato erano legittimamente utilizzabili nel procedimento penale in quanto rese spontaneamente ai sensi dell’articolo 350, comma 7, cpp, il quale dispone che la polizia giudiziaria può ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ancorché non utilizzabili nel dibattimento
il provvedimento impugnato non era sufficientemente motivato quanto alla negata sussistenza del delitto di cui all’articolo 4 del Dlgs 74/2000, mentre invece il Gip aveva ravvisato l’esistenza del fumus di reato, la fondatezza dei presupposti del provvedimento, nonché la legittimità del sequestro dei beni riconducibili alla persona dell’indagato.

Motivi della decisione
Con la prodotta impugnazione, la Cassazione si è trovata investita della verifica della sussistenza nel caso di specie del fumus commissi delicti relativo all’ipotizzato reato di dichiarazione infedele previsto (articolo 4 Dlgs 74/2000).
La Suprema corte accoglie il ricorso della Procura individuando proprio nella contestata ordinanza del tribunale del riesame la carenza dei presupposti per il dissequestro in quanto le dichiarazioni rese dall’imputato in istruttoria in assenza del difensore erano dichiarazioni spontanee, potendo, secondo la legge penale, essere legittimamente utilizzate sia nella fase delle indagini preliminari sia ai fini dell’applicazione delle misure cautelari.

Il principio non è nuovo nella giurisprudenza di legittimità, atteso che è ormai consolidato l’assunto secondo cui le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato alla polizia giudiziaria, disciplinate dall’articolo 350, comma 7, cpp, sono pienamente utilizzabili nella fase delle indagini preliminari (Cassazione 1150/2009 e 15437/2010).

Invero, sussiste al riguardo un diverso regime delle dichiarazioni dell’indagato risultante dalla lettura della norma contenuta nel richiamato articolo 350 cpp, cioè quelle previste dal comma 5 (dichiarazioni non spontanee assunte dagli ufficiali di polizia giudiziaria) e quelle previste dal comma 7 (dette dichiarazioni spontanee):
1. le prime sono inutilizzabili anche nella fase delle indagini preliminari
2. le seconde sono inutilizzabili, per espressa previsione di legge, soltanto nella fase dibattimentale.

Ciò significa che tali ultime dichiarazioni possono essere apprezzate non solo nella fase delle indagini preliminari ma anche nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza occorrenti per l’adozione di un provvedimento cautelare (Cassazione 24679/2006 e 1770/1997).

La giurisprudenza della Suprema corte ha anche chiarito che, alle dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria, non è applicabile la disciplina dell’articolo 63, comma 2, cpp (“Se la persona doveva essere sentita sin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate”), ma esclusivamente quella di cui all’articolo 350, comma 7, cpp (Cassazione 4152/2005). In quest’ultima ipotesi si richiede solo che le dichiarazioni dell’indagato debbano avere il carattere dell’assoluta spontaneità, mentre la loro “inutilizzabilità patologica” concerne esclusivamente gli atti assunti contra legem, ravvisabili soltanto riguardo a quegli atti la cui assunzione sia avvenuta in modo contrastante con i principi fondamentali dell’ordinamento o tali da pregiudicare in modo grave e insuperabile il diritto di difesa dell’imputato (Cassazione 6757/2006).

In ultima analisi, le dichiarazioni rese dal contribuente alla Guardia di finanza in assenza del difensore possono essere utilizzate dalla procura e dal Gip per provare l’effettiva consumazione del reato di infedele dichiarazione, considerato che le stesse non erano state sollecitate da alcuna domanda degli inquirenti.

Conclusioni
Resta da osservare in conclusione che la semplicistica asserzione giustificatoria fornita dall’imprenditore per discolparsi dall’accusa di dichiarazione infedele e scongiurare il sequestro preventivo dei suoi beni si è rivelata comunque un boomerang, anche perché – nonostante il possibile superamento della dichiarazione confessoria spontanea – il contribuente non ha minimamente provato, alla stregua delle regole generali (articolo 2697 codice civile), l’assunto contrario alle contestazioni dell’Amministrazione finanziaria, ossia che le somme utilizzate e non dichiarate fossero estranee a proventi conseguiti nell’esercizio dell’impresa collettiva (cfr Cassazione 23359/2006, 20870/2010 e 3946/2011).


Fonte: Agenzia Entrate

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