Con la sentenza n. 9216 depositata il 21 aprile 2011 la Corte di Cassazione stabilisce che nella determinazione della quota di capitale sottoscritta dal socio accomandante, che costituisce il limite massimo entro il quale quest’ultimo può dedurre le perdite derivanti dalla partecipazione nella società, non possono essere computati i versamenti in conto capitale.
È stata, in questo modo, ribaltata la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, che aveva ritenuto legittima la scelta del contribuente di dedurre perdite da partecipazione per un ammontare di 18.015.000 lire a fronte di una quota di capitale di competenza di soli 2.000.000 di lire, in presenza però di versamenti in conto capitale effettuati per 42.000.000.
L’interesse della sentenza è da ricercarsi nel rapporto tra la disposizione contenuta nell’art. 8, comma 2, del TUIR, secondo cui le perdite dell’accomandante si deducono sino a concorrenza della quota di partecipazione al capitale sociale, e la presunzione attualmente contenuta nell’art. 46, che stabilisce la natura di finanziamento (e non, quindi, di posta assimilata al capitale) delle somme che dai bilanci non risultino essere state concesse alla società ad altro titolo.
Sul punto, la Cassazione stabilisce che, vista la natura di posta rimborsabile al socio dei versamenti in conto capitale, questi non possono essere assimilabili al capitale sociale, per definizione vincolato

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