Con una sentenza dello scorso 12 aprile 2011, la Corte di Giustizia dell'UE affronta il dubbio del giudice francese, il quale si interroga sulla portata delle decisioni adottate dai Tribunali dei marchi comunitari.
Una nota società operante nel settore dei servizi di logistica viene condannata per aver utilizzato un marchio registrato (sia in Francia che in ambito comunitario) da una società concorrente.

La Corte d’Appello di Parigi, adita in qualità di “Tribunale dei marchi comunitari” di secondo grado, conferma la sentenza di primo grado, prevedendo un divieto di prosecuzione nell’utilizzo dei marchi contraffatti, ed una penalità coercitiva.

La Cour de Cassation francese si domanda se una misura coercitiva disposta da un Tribunale nazionale dei marchi comunitari produca effetti sull’intero territorio dell’UE.

Prima di analizzare le conclusioni cui giunge la Corte di Giustizia, occorre ricordare che i “Tribunali dei marchi comunitari” vengono designati da ciascuno Stato membro ai sensi dell’art. 91 del regolamento (CE) n. 40/94 sul marchio comunitario.

Essi hanno una competenza esclusiva per tutti gli atti di contraffazione, per le azioni di accertamento di non contraffazione, per le domande riconvenzionali di decadenza o di nullità del marchio comunitario. In caso di contraffazione, il Tribunale dei marchi comunitari emette un'ordinanza che vieta al convenuto di continuare gli atti illeciti, adottando, se del caso, anche le misure atte a garantire il rispetto di questo divieto.

Il Tribunale dei marchi comunitari applica le disposizioni contenute nel regolamento sul marchio comunitario, mentre, per le questioni che non rientrano nell’ambito del regolamento, applica la legge nazionale. In virtù delle previsioni del regolamento, in Italia sono state istituite le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale. Dal sito dell’UAMI (Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno, competente per la registrazione di marchi, disegni e modelli validi in tutti i 27 Paesi della UE) è possibile prendere visione delle decisioni adottate dai vari Tribunali dei marchi comunitari esistenti nei diversi Paesi membri (http://oami.europa.eu/ows/rw/pages/CTM/caseLaw/judgementsCTMCourtsList.it.do).

Ciò posto, nel caso in esame la Corte dichiara che ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 93 e 94 del citato regolamento sul marchio comunitario, la competenza territoriale dei Tribunali dei marchi comunitari ha carattere esclusivo e riguarda tutte le azioni di contraffazione o di minaccia di contraffazione commesse nel territorio di qualunque Stato membro.

Inoltre, anche la tutela che il regolamento conferisce al titolare di un marchio comunitario si estende all’intero territorio dell’Unione. Infatti, la ratio del regolamento è proprio quella di conferire un carattere unitario al marchio comunitario, il quale gode di una protezione uniforme e produce i propri effetti in tutta l’UE.

A tal fine, è necessario che gli effetti delle decisioni sulla validità e sulle contraffazioni dei marchi comunitari si estendano a tutte l’UE, onde evitare decisioni contrastanti lesive del carattere unitario del marchio comunitario. In virtù di tali considerazioni, svolte analizzando le norme ed i considerando del regolamento, la Corte giunge alla conclusione che la portata di un divieto di prosecuzione di atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione di un marchio comunitario, emesso da un Tribunale dei marchi comunitari (…), si estende, in linea di principio, all’intero territorio dell’Unione Europea.

Da ciò ne deriva che anche le eventuali misure coercitive conseguenti al divieto, produrranno effetti negli Stati diversi da quello che ha adottato la decisione.

A tal proposito, i giudici di Lussemburgo ricordano che in virtù del principio di leale cooperazione, gli Stati membri sono obbligati ad adottare qualunque misura generale o particolare, necessaria a dare esecuzione agli obblighi comunitari. In virtù di tale principio, se la legislazione dello Stato in cui la misura coercitiva deve essere eseguita non contiene una misura analoga, lo Stato in questione dovrà fare ricorso alle pertinenti disposizioni nazionali affinché il divieto venga eseguito in maniera equivalente.

(Corte Giust. CE Sentenza 12/04/2011, n. C-235/09)


Fonte: IPSOA

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