L'e-commerce, uno strumento sempre più utilizzato per effettuare attività commerciali, è ancora alla ricerca di regole IVA di semplificazione. La riforma operata dalla direttiva 2008/8/CE e il Regolamento n. 282/2011 si limitano a qualificare meglio le operazioni incluse ed escluse dalla specifica nozione ed estendono il regime speciale dal 2015 anche agli operatori comunitari.


La crescita esponenziale di internet e l’utilizzo della rete da parte di un numero di soggetti sempre più elevato hanno favorito lo sviluppo di una forma di commercio, definita «commercio elettronico» (e-commerce). La tecnologia multimediale, infatti, permette ai provider (i soggetti fornitori del servizio) di servire clienti in qualsiasi parte del mondo senza necessità di mezzi di comunicazione fisica. Ed è proprio questa mancanza di «fisicità» che da un lato costituisce una grande opportunità per lo sviluppo economico e sociale dei Paesi che, attraverso internet, hanno potuto eliminare virtualmente le barriere geografiche, ma che dall’altro ha comportato una serie di dubbi riguardo la fiscalità applicabile a dette transazioni. Basta pensare allo scontro fra la tesi delle autorità americane e quella della Commissione europea: i primi sostenevano che la fornitura di prodotti virtuali costituisse sempre e comunque una cessione di beni, mentre la Commissione europea si opponeva affermando che la fornitura suddetta rientrasse nella categoria della prestazione di servizi. L’intenso lavorio dei consessi sovranazionali ha prodotto le diverse normative UE, nonché l’individuazione di alcuni principi-guida (1) da parte dell’OCSE (2). Oltre i principi guida, l’OCSE, nella conferenza di Ottawa del 1998, ha fissato i princìpi, di fatto ripresi dalla direttiva 2002/38/CE del 7 maggio 2002 sul commercio elettronico, quali:
- nessuna nuova tassa per il commercio elettronico, ma applicazione delle norme IVA esistenti;
- le operazioni di commercio elettronico diretto costituiscono sempre, ai fini IVA, prestazioni di servizi;
- tassazione solo delle prestazioni di servizi destinati al mercato unico dell’Unione europea, qualunque sia il luogo di origine, ed esenzione dei servizi forniti da operatori UE ai Paesi terzi (3).
L’obiettivo che è stato posto, sia a livello nazionale che internazionale, è quello di creare un sistema fiscale dinamico ed elastico, che consenta di seguire il ritmo dell’evoluzione tecnica ed economica delle transazioni on-line (4). Negli ultimi anni, con l’adozione dei provvedimenti in materia di fatturazione ed archiviazione elettronica dei documenti contabili e fiscali (5), è stato dato particolare slancio al commercio elettronico (6).
Più spiccatamente sul piano comunitario è da segnalare che la legislazione IVA viene valutata come uno dei principali ostacoli allo sviluppo dello specifico sistema di vendita di servizi internazionali tra imprese e consumatori finali (7). La valutazione, come rileva ancora la Commissione, nel libro verde sul futuro dell’IVA (8) è di particolare rilievo e attualità ora che il 60% dei cittadini dell’UE utilizzano regolarmente internet e che il 60% tra loro effettuano acquisti di beni e servizi su internet.
In effetti la riforma del 2010 (9) e il regolamento interpretativo del 2011 (10) hanno cercato di portare chiarezza sulla definizione dei servizi che sono inclusi e esclusi dalla nozione di commercio elettronico e hanno individuato un percorso per estendere le regole prima previste per i soggetti extracomunitari anche agli operatori comunitari.

[1] Questi i cinque principi ai quali - secondo l’OCSE - deve essere improntata la produzione legislativa tributaria dei Paesi membri: neutralità, efficienza, certezza, equità e flessibilità. Detti principi sono stati fissati durante la Conferenza interministeriale OCSE, tenutasi da Ottawa, il 7-8-9 ottobre 1998. Sul punto cfr. P. Valente e F. Roccatagliata, «Internet. I principi del diritto fiscale internazionale», in Rass. fisc. int., 2001; F. Santoro,«Commercio elettronico: primi problemi pratici», in il fisco n. 44/1999; F. Nieddu, «Le linee guida dell’OCSE e UE. La territorialità dell’imposta», in FiscoOggi, 2003.
(2) OCSE- Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che comprende 30 Paesi membri - tra i quali gli Stati Uniti d’America - ed ha una vocazione ed una sfera di influenza mondiale.
(3) Mentre il primo e il secondo principio sono stati immediatamente recepiti dal nostro ordinamento con una nota del Ministero delle finanze, 20 agosto 1998, n. 1977/V/sd, il terzo principio è regolato compiutamente dalla direttiva 2002/38/CE di cui si dirà nel prosieguo della trattazione.
(4) Nella riunione del 7 giugno 2002, la Commissione europea, con la COM (1998) n. 374, ha ribadito i principi stabiliti dall’OCSE e ha consolidato i seguenti principi, cui dovranno adeguarsi le normative comunitarie in ordine al commercio elettronico: le forniture di prodotti in forma digitale via Internet costituiscono sempre e comunque prestazioni di servizi; in via di principio, le stesse devono essere sottoposte a tassazione nel luogo di utilizzo; le prestazioni erogate all’interno della Comunità europea debbono essere assoggettate alla disciplina IVA interna, sia per quanto concerne le imprese, che i privati committenti.
(5) Cfr. direttiva 2001/115/CE del Consiglio del 20 dicembre 2001, cui è stata data attuazione nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 52. Il decreto reca modifiche agli artt. 21, 39 e 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, rendendo operative in Italia le nuove norme comunitarie sulla fattura elettronica e sulla conservazione sostitutiva dei documenti. Nell’analisi delle disposizioni che recepiscono la direttiva 2001/115/CE bisogna tenere in debita considerazione anche le regole imposte dal D.M. 23 gennaio 2004 e dalla delibera CNIPA (Centro nazionale per l’informatica nella Pubblica amministrazione) 19 febbraio 2004, delibera che sostituisce la precedente delibera AIPA 13 dicembre 2001, n. 42.
(6) Si veda S. Ficola e B. Santacroce, L’IVA nell’e-commerce e la fatturazione elettronica, Rimini, 2010; S. Capolupo, «IVA: commercio elettronico, fatturazione elettronica e microfilmatura ottica. Una vera rivoluzione», in il fisco n. 15/2004, pag. 2197.
(7) Valutazione contenuta nella comunicazione della Commissione europea sul «commercio elettronico transfrontaliero tra le imprese e i consumatori nell’Unione Europea» - COM (2009) 557 del 22 ottobre 2009.
(8) Consultazione pubblica - COM(2010) 695.
(9) Direttiva 2008/8/CE del 12 febbraio 2008.
(10) Regolamento n. 282/2011 del 15 marzo 2011.


Le diverse forme di commercio elettronico
Termini come commercio B2B - business to business, o B2C - business to consumer sono ormai entrati nel linguaggio comune. Con queste definizioni si individuano due fra le varie forme di commercio elettronico che si distinguono in base alla categoria di soggetti che partecipano alle transazioni. In particolare, si definisce B2B - business to business, il commercio elettronico fra aziende: in questa tipologia di rapporto non viene coinvolto il consumatore finale, ma sono interessati solamente i soggetti imprenditori. Sempre nell’ambito di rapporti fra imprese, si definisce l’IB - intrabusiness, dove la trattativa si sviluppa all’interno della stessa azienda o dello stesso gruppo di aziende. In questa applicazione i soggetti interessati sono sicuramente in numero chiuso e le transazioni economiche rivestono un aspetto poco rilevante. Non è così per il B2C - business to consumer, ambito in cui la trattativa è rivolta al consumatore finale. In questo settore sono offerti a tutti gli utenti della rete sia beni che servizi delle tipologie più svariate e i rapporti economici che si instaurano raggiungono sicuramente dimensioni rilevanti (1). Infine, si definisce C2C - consumer to consumer il sistema di scambi elettronici prettamente instaurato fra consumatori finali. Si pensi ad esempio alle aste on-line che avvengono in rete, in cui i consumatori propongono offerte e cercano prodotti.
Al termine della trattativa fra i suddetti operatori si procede alla consegna del bene: è questo il momento rilevante per distinguere una forma di commercio elettronico cd. diretto da quella di commercio elettronico cd. indiretto. In particolare, si parla di commercio elettronico indiretto (2) quando la cessione avviene per via telematica, ma la consegna del bene avviene tramite i canali fisici o tradizionali; mentre si parla di commercio elettronico diretto (3) quando sia la cessione che la consegna del bene avvengono per via telematica. Nel commercio elettronico indiretto la rete realizza una modalità ulteriore per contattare il cliente e le transazioni sono, di fatto, assimilabili ad una vendita per corrispondenza, con tutte le caratteristiche che la contraddistinguono. Nel commercio elettronico diretto, invece, anche la consegna del bene avviene in rete.
soluzioni operative
Eliminazione della distinzione
fra servizi generici e specifici
L’eliminazione, ad opera delle modifiche introdotte dalla direttiva 2008/8/CE, della distinzione fra servizi generici e specificisemplifica la gestione fiscale dei rapporti commerciali. Nelle prestazioni B2B non va più verificato a quale categoria appartiene la prestazione, in quanto la definizione della territorialità e la tassazione seguono la regola del luogo di stabilimento del committente. Nelle prestazioni B2C tale facilitazione sussiste nei rapporti con committenti nazionali e comunitari. Solo nell’ipotesi di destinatario extracomunitario si continua a distinguere fra prestazioni generiche (territorialmente rilevanti in Italia) e specifiche (fuori campo).

(1) Fra gli altri, rientrano in questa tipologia di transazioni i servizi bancari offerti in rete e la possibilità di effettuare investimenti o disinvestimenti via computer. Si veda: F. Dezzani ed E. Giacosa,«I modelli di “b2c” (business-to-consumer) nell’era della “net economy”», in Impresa c.i. n. 3/2002.
(2) Cfr. P. Centore, Manuale dell’IVA europea, IPSOA, 2008.
(3) Cfr. A. Uricchio e M. Giorgi, «Commercio elettronico e vendita telematica di servizi finanziari: prime considerazioni dopo la direttiva comunitaria n. 31/2000», in Diritto e pratica tributaria n. 2/2001, parte 1, pag. 267.


La territorialità dei servizi resi tramite mezzi elettronici
Dal 1° gennaio 2010 le regole su cui da decenni poggia il funzionamento dell’IVA hanno subìto un profondo cambiamento. In particolare, la direttiva 2008/8/CE ha apportato modifiche sostanziali al sistema comune dell’IVA in materia di territorialità delle prestazioni di servizi (1). Il dato più importante della riforma è rappresentato dal rovesciamento del principio su cui è basata la definizione della rilevanza territoriale dei servizi nell’ambito dei rapporti fra soggetti passivi: la regola generale passa dal luogo di stabilimento del prestatore a quello del committente. Il principio della territorialità risulta oggi disciplinato in sette articoli, da 7 a 7-septies del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Relativamente alle attività di commercio elettronico (2), l’art. 7-septies, in deroga alla regola generale, di cui al novellato art 7-ter, primo comma, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972 dispone che «non si considerano effettuate nel territorio dello Stato le seguenti prestazioni di servizi, quando sono rese a committenti non soggetti passivi domiciliati e residenti fuori della Comunità: [...] i) i servizi prestati per via elettronica» (3).
L’eliminazione della distinzione fra servizi generici e specifici è una modifica indubbiamente suscettibile di semplificare la gestione fiscale dei rapporti commerciali. Infatti, nelle prestazioni rese in ambito B2B non è più necessario verificare a quale categoria appartiene una certa prestazione, in quanto, indipendentemente da tale circostanza, la definizione della territorialità, e quindi la tassazione, seguirà la regola del luogo di stabilimento del committente. Nelle prestazioni B2C, invece, tale facilitazione sussiste nei rapporti intrattenuti con committenti nazionali e comunitari, mentre solo nell’ipotesi di destinatario extracomunitario si dovrà continuare - ex art. 7-septies - a dare rilievo alla distinzione fra prestazioni generiche (territorialmente rilevanti in Italia) e specifiche (fuori campo).

(1) Entrate in vigore nell’ordinamento italiano con l’approvazione del D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18.
(2) Sono numerosi i contributi dottrinali dedicati agli aspetti fiscali del commercio elettronico. Senza pretesa di esaustività, oltre a quelli indicati nelle precedenti note, si segnalano: G. Sacerdoti e G. Marino, Il commercio elettronico: profili giuridici e fiscali internazionali, Milano, 2001; AA.VV, E-commerce e fisco, Milano, 2001; R. Rinaldi, La fiscalità del commercio elettronico: attualità e prospettive, Torino, 2001. Ulteriori riferimenti in P. Adonnino, «Internet (diritto tributario)», in Enc. Treccani; U. Draetta, Internet e commercio elettronico nel diritto internazionale dei privati, Milano, 2005.
(3) La circolare 31 dicembre 2009, n. 58/E, in Banca Dati BIG, IPSOA, provvede ad elencare, a titolo esemplificativo e non esaustivo, le prestazioni di servizi che debbono considerarsi territorialmente rilevanti in Italia, se rese a soggetti passivi stabiliti in Italia: tra queste rientrerebbero le prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici.


Il regime speciale per i soggetti business extra-UE
Il 12 febbraio 2002 la Commissione europea ha emanato la direttiva 2002/38/CE recante la disciplina delle operazioni di commercio elettronico (1), nel tentativo di riequilibrare la competitività delle società europee nei confronti delle loro concorrenti estere (2). La Commissione europea (3) ha emanato questa direttiva per l’applicazione dell’IVA alle transazioni che avvengono completamente on-line. L’obiettivo primario che la direttiva ha inteso perseguire è quello di garantire la tassazione di tutte le operazioni on-line poste in essere nei confronti di consumatori «comunitari» (ossia residenti o domiciliati nel territorio comunitario), indipendentemente dalla localizzazione - all’interno o all’esterno dell’Unione - del prestatore del servizio (considerando nn. 2 e 3). Le norme si riferiscono esclusivamente alle transazioni che costituiscono commercio elettronico diretto. È sempre stato questo, infatti, il versante più difficile da regolamentare.
In particolare, i servizi prestati tramite mezzi elettronici, elencati in maniera non esaustiva (4) dall’allegato II alla direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 recante «Elenco indicativo dei servizi forniti per via elettronica di cui all’articolo 58 e all’articolo 59, primo comma, lettera k)» (5), sono analizzati ed esplicitati maggiormente nell’allegato I al Regolamento (CE) n. 282/2011, che sostituisce integralmente il precedente Regolamento (CE) n. 1777/2005 (6), che risultava essere, di fatto, il primo documento interpretativo a livello comunitario adottato dal Consiglio. Con il regolamento vengono forniti ai contribuenti ed alle Amministrazioni di tutti gli Stati membri una serie di criteri-guida, obbligatori proprio perché approvati con regolamento (al termine della procedura di approvazione delle proposte presentate dalla Commissione) che ha operatività erga omnes, per risolvere questioni che, all’interno delle singole realtà nazionali, potrebbero essere interpretate in modo disomogeneo. In particolare tale regolamento ricomprende tra i servizi prestati tramite mezzi elettronici, tra gli altri, la fornitura di prodotti digitali, compresi i software, rilasciati per via elettronica; ovvero i servizi automaticamente generati da un computer attraverso internet; ovvero la concessione, a titolo oneroso, del diritto di mettere in vendita un bene o un servizio su di un sito internet. Al contrario non sono servizi prestati tramite mezzi elettronici: la formazione a distanza o per corrispondenza; la consulenza professionale fornita via web.
La direttiva 2002/38/CE è stata recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 1° agosto 2003, n. 273, che ha apportato delle modifiche nel D.P.R. n. 633/1972, fra cui l’introduzione dell’art. 74-quinquies, che rende operativo in Italia il cd. regime speciale (disciplinato dagli artt. 360 ss. della direttiva 2006/112/CE).
Secondo detto regime speciale, l’operatore extra-UE deve assumere una sua posizione IVA in uno Stato membro (7). In linea di massima, tale registrazione avviene nel Paese in cui si realizza la prima operazione B2C tassabile e l’operatore non residente potrà assolvere agli obblighi di imposta, avendo come referente una sola amministrazione alla quale presentare le proprie dichiarazioni e versare il tributo (8). Il prestatore extra-UE deve assoggettare la transazione con l’aliquota IVA vigente nel Paese di residenza del consumatore (9). L’aliquota applicata sarà, indipendentemente dalla natura e dallo scopo delle operazioni realizzate, sempre e comunque quella ordinaria. Pertanto, alle transazioni on-line non può essere applicata l’aliquota ridotta, diversamente da quanto accade per le operazioni di commercio tradizionale (10).
I soggetti extracomunitari, così identificati, sono dispensati dagli obblighi di fatturazione, registrazione, liquidazione e dichiarazione annuale (artt. 21-40 del D.P.R. n. 633/1972). Tuttavia essi devono presentare una dichiarazione trimestrale, sempre per via telematica, e contestualmente versare l’IVA dovuta. Infatti, l’imposta addebitata per rivalsa al consumatore dovrà essere versata direttamente nello Stato di identificazione a seguito della liquidazione trimestrale in cui l’operatore dovrà distinguere, per ciascuno Stato membro, l’ammontare delle operazioni ivi effettuate e l’imposta applicata. L’imposta sarà assolta contestualmente alla presentazione della dichiarazione che dovrà avvenire nel termine tassativo del giorno 20 del mese successivo al trimestre di riferimento, indipendentemente dal fatto che nel periodo siano state effettuate o meno transazioni on-line tassabili (11). Lo Stato di identificazione provvederà in via sussidiaria ad accreditare ai diversi Stati membri (12) la quota di competenza e ad inviare altresì i dati della dichiarazione di interesse del singolo Stato.
prospettive future
Operazioni di commercio elettronico
A decorrere dal 2015, il regime speciale sulle operazioni di commercio elettronico per i soggetti «business» extra-UE verrà applicato anche ai servizi elettronici prestati da soggetti passivi stabiliti nella Comunità ma non nello Stato membro di consumo. Si crea una vera e propria stanza di compensazione tra gli Stati membri dell’UE, quale forma di cooperazione. Questo potrebbe voler dire un primo esperimento di «sportello unico» comunitario che potrebbe aprire la strada a sistemi di armonizzazione più incisivi della specifica imposta.
Tale disciplina, particolarmente articolata, a decorrere dal 1° gennaio 2015 verrà applicata anche ai servizi elettronici prestati da soggetti passivi stabiliti nella Comunità ma non nello Stato membro di consumo, con l’introduzione degli artt. 369-bis ss. alla direttiva 2006/112/CE. Con questo meccanismo, si crea una vera e propria stanza di compensazione tra gli Stati membri dell’Unione (13), quale forma di cooperazione fra gli Stati (14).
Questo potrebbe voler dire un primo esperimento di «sportello unico» comunitario che potrebbe aprire la strada a sistemi di armonizzazione più incisivi della specifica imposta e all’attuazione del progetto proposto nel lontano 2004 dalla Commissione (15) e tuttora all’esame del Consiglio UE.

(1) La direttiva 2002/38/CE, emanata dal Consiglio il 7 maggio 2002 e pubblicata nella G.U. n. 128 del 15 maggio 2002, «Modifica temporaneamente la precedente direttiva 77/388/CEE, in merito al regime di imposta sul valore aggiunto applicabile ai servizi di radiodiffusione e di televisione e a determinati servizi prestati tramite mezzi elettronici». Le prestazioni di servizio oggetto della direttiva sono solamente quelle che avvengono a titolo oneroso; sono quindi escluse le transazioni gratuite, che restano sempre e comunque tassabili o non tassabili ai fini IVA, in base alle regole normali di erogazione del servizio.
(2) Cfr. G. Mocci, «Commercio elettronico diretto: ecco perché l’IVA è fattore distorsivo della concorrenza», in il fisco n. 48/2000, pag. 14361, A. De Luca e D. Stevanato, «IVA e commercio elettronico», in Dialoghi dir. trib., 2004, pag. 1587.
(3) Tale iniziativa è da ricondurre all’esigenza di rendere attuale la normativa esistente in materia IVA così come risulta dal contenuto della Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo intitolata «Strategia volta a migliorare il funzionamento del regime iva nel mercato interno», COM(2000) 348, del 7 giugno 2000.
(4) Cfr. così come di recente ribadito dal Consiglio all’undicesimo considerando del Regolamento (CE) n. 282/2011.
(5) Rubrica così sostituita - a decorrere dal 1° gennaio 2010 - dall’art. 2, n. 12), della direttiva 2008/8/CE che, a decorrere dal 1° gennaio 2015, ai sensi dell’art. 5, n. 16, della medesima direttiva verrà sostituita con la seguente formulazione: «Elenco indicativo dei servizi forniti per via elettronica di cui all’articolo 58, primo comma, lettera c)».
(6) L’art. 64 del Regolamento (CE) n. 282/2011 prevede che il Regolamento (CE) n. 1777/2005 è abrogato.
(7) Lo Stato membro in questo caso viene definito come «Stato di identificazione». Il soggetto extracomunitario non è più tenuto ad identificarsi in ogni Stato della UE in cui pone in essere una transazione, ma è sufficiente l’identificazione in uno solo degli Stati comunitari.
(8) Gli operatori extra-UE che intendono registrarsi in Italia dovranno presentare in via telematica, compilando la scheda presente nella sezione del sito dell’Agenzia dedicata all’e-commerce, denominata «V@T on e-services» a cui si può accedere tramite l’indirizzo www.e-services.agenziaentrate.it, la relativa richiesta al Centro operativo dell’Agenzia delle entrate di Pescara, che provvederà a comunicare il codice alfanumerico di registrazione.
(9) A differenza dei soggetti comunitari che invece fatturano con l’aliquota IVA del loro Paese e non con quella del Paese di residenza del cliente.
(10) Il Consiglio giustifica tale discriminazione affermando che essa deriva dalla natura giuridica della transazione che costituisce, indipendentemente dall’oggetto, una prestazione di servizio di elaborazione dati.
(11) L’art. 59 del Regolamento (CE) n. 282/2011 precisa che «qualsiasi periodo di imposta di cui all’articolo 364 della direttiva 2006/112/CE è un periodo d’imposta indipendente». Pertanto, una volta presentata una dichiarazione, qualsiasi modifica successiva può essere effettuata solo mediante una modifica di tale dichiarazione e non mediante un adeguamento nella dichiarazione successiva. Lo stesso dicasi relativamente all’ammontare dell’imposta versata. Qualsiasi modifica può essere effettuata solo sulla base della dichiarazione relativa, e non può essere attribuita ad un’altra dichiarazione o adeguata in una dichiarazione successiva.
(12) Che sono gli Stati di residenza dei diversi consumatori finali.
(13) Cd. regola one stop shop - Sportello unico.
(14) Si veda il Regolamento (CE) n. 792/2002 del 7 maggio 2002, che disciplina il sistema di cooperazione amministrativa tra le autorità fiscali degli Stati membri e consente di gestire a livello intracomunitario le operazioni di commercio elettronico diretto con l’intervento di operatori extracomunitari prevedendo uno scambio di informazioni periodico tra gli Stati membri al fine di conoscere tempestivamente le operazioni realizzate da questi operatori nei confronti dei consumatori finali.
(15) Proposta comunitaria COM (2004) 728 del 29 ottobre 2004.


Fonte: IPSOA

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