La confisca per equivalente (articolo 11, legge 146/2006) è applicabile anche ai reati di frode fiscale laddove questi rientrino nel programma associativo di un’organizzazione criminale transnazionale. Questo il principio di diritto stabilito dalla Corte di cassazione, nella sentenza n. 11969 del 24 marzo, che amplia la tutela del credito erariale nei procedimenti penali per i reati di cui al Dlgs 74/2000, soprattutto in materia di “frodi carosello”.


Quadro normativo
Con la legge finanziaria del 2008, il legislatore ha compiuto un importante passo avanti nella tutela del credito erariale nell’ambito dei procedimenti penali stabilendo, al comma 143 dell’articolo 1, l’applicazione dell’articolo 322-ter cp anche ai reati di cui al Dlgs 74/2000, ad eccezione della fattispecie di cui all’articolo 10 (occultamento/distruzione delle scritture contabili).

In base all’articolo 322-ter, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (articolo 444 cpp per i delitti di cui agli articoli 314-320 cp), “è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo”.

Due pertanto i presupposti applicativi della norma: il primo è che, in base al principio di tassatività della norma penale, la fattispecie di reato rientri tra quelle contemplate dal legislatore. Il secondo, è che non siano stati rinvenuti i beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato. Il giudice potrà quindi disporre una confisca cosiddetta “per equivalente” sui beni mobili e immobili ricadenti nella sfera patrimoniale dell’imputato, e in generale su tutti quei beni che non appartengano a terzi estranei al reato.
Il legislatore ha quindi ampliato, con l’articolo 1, comma 143 citato, la portata applicativa del 322-ter previsto per i reati contro la pubblica amministrazione anche ai reati tributari di cui al Dlgs 74/2000, commessi dall’1 gennaio 2008.

In epoca precedente alla Finanziaria 2008, allo scopo di dare attuazione alla Convenzione e ai protocolli delle Nazioni unite contro il crimine organizzato, con l’articolo 11 della legge 146/2006, era stata disposta l’applicabilità del sequestro preventivo per equivalente alle ipotesi di reato transnazionale, vale a dire al reato commesso da un gruppo criminale strutturato (inteso come gruppo non costituito fortuitamente per la commissione estemporanea di un reato, articolo 2, lettera c) Convenzione), e organizzato (ossia un gruppo esistente per un periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscono in concerto per commettere uno o più reati gravi o reati stabiliti dalla Convenzione, al fine di ottenere direttamente o indirettamente un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale, articolo 2, lett. a) Convenzione).

In considerazione delle caratteristiche proprie del reato transnazionale, da più parti la dottrina aveva già allora ipotizzato l’applicabilità dell’articolo 11 della legge 146/2006 alle frodi fiscali, e, in particolare, alle cosiddette “frodi carosello”, caratterizzate dalla partecipazione di più persone alla commissione del reato, spesso residenti e operanti in vari Stati. La norma quindi, sempre secondo la dottrina, avrebbe consentito di superare quell’orientamento della Suprema corte che fino ad allora aveva escluso l’applicabilità del sequestro per equivalente ai reati di natura tributaria, non essendo dimostrabile che, ad esempio, le liquidità a disposizione del contribuente potessero considerarsi il frutto della condotta di evasione posta in essere dal medesimo (Cassazione 13244/2006). Non solo, ma tale interpretazione avrebbe consentito di applicare il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente a quelle frodi fiscali commesse prime dell’1/1/2008, con una maggiore tutela a favore dell’erario.

La vicenda
Il Gip presso il tribunale di Roma emetteva un’ordinanza di sequestro preventivo nei confronti del direttore amministrativo di un importante gruppo finanziario, indagato del reato di partecipazione a un’associazione per delinquere transnazionale pluriaggravata, finalizzata, tra l’altro, alla commissione di delitti di natura fiscale e di riciclaggio, nonché del reato di cui all’articolo 110 cp e articolo 2 del Dlgs 74/2000.
Contro l’ordinanza, i difensori dell’indagato proponevano ricorso al Tribunale del riesame che confermava il provvedimento emesso dal Gip.

Il contribuente ricorreva, pertanto, alla Corte di cassazione lamentando la violazione e l’errata applicazione dell’articolo 321 cpp, comma 2, e dell’articolo 11 della legge 146/2006,nonché la mancanza assoluta di motivazione ai sensi dell’articolo 125 cpp, comma 3. In sintesi, secondo l’indagato, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente disposto dal Gip non poteva che ritenersi illegittimo per due ordini di motivi: in primo luogo, nella fattispecie di reato contestata non era possibile individuare e quantificare il profitto del reato; in secondo luogo le accuse rivolte all’associazione per delinquere sarebbero stati i reati tributari (articolo 2 Dlgs 74/2000) che non potevano considerasi aggravati ai sensi dell’articolo 4 della legge 146/2006, con la conseguente inapplicabilità dell’articolo 11 della medesima legge. Inoltre, essendo stati commessi prima dell’1/1/2008, non poteva neppure applicarsi l’articolo 322-ter come disposto dalla Finanziaria 2008.

La Suprema corte ha dichiarato infondato il ricorso proposto dall’indagato.
In primo luogo, secondo il Collegio, “nel reato di cui all'art. 416 c.p. il profitto, inteso come l'insieme dei benefici tratti dall'illecito ed a questo intimamente attinenti, può consistere (come nella fattispecie) nel complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme dei reati fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui esecuzione è agevolata proprio dall'esistenza di una stabile struttura organizzata e da un comune progetto (Cassazione, 5869/2011)”.

In secondo luogo la Corte di cassazione afferma “ai sensi della L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 3, comma 1, lett. c), costituisce reato transnazionale il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni allorchè sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato”. Poiché nel caso in esame, in base all’impianto accusatorio, i reati di frode fiscale sarebbero rientrati nel programma associativo dell’organizzazione criminale, operante su base transnazionale, ricorreva l’ipotesi di reato contemplata dall’articolo 3 della legge 146/2006, con la conseguente applicazione del sequestro per equivalente di cui all’articolo 11 della medesima legge.
Afferma, infine, la Corte di cassazione “il sequestro per equivalente può essere, in ogni caso, disposto per un valore corrispondente all'intero ammontare del prodotto, profitto o prezzo del reato nei confronti di ciascun concorrente”.

Considerazioni finali
Il principio di diritto stabilito dalla Corte di cassazione nella presente pronuncia permette di ampliare, in maniera concreta, la tutela del credito erariale nell’ambito della lotta al fenomeno delle “frodi carosello”.
Le potenzialità, in questo senso, di un’interpretazione adeguata dell’articolo 11 della legge 146/2006 erano già state messe in evidenza dalla dottrina, che attraverso l’approfondita analisi del suddetto fenomeno aveva concluso per la sua natura di reato transnazionale. Tale interpretazione si pone peraltro in linea sia con la ratio dell’articolo 2 della Convenzione delle Nazioni unite contro il crimine organizzato, sia con i più recenti indirizzi espressi dall’Unione europea proprio contro il fenomeno dilagante delle frodi internazionali.

Non solo, ma la misura disciplinata dall’articolo 11 fornisce soprattutto uno strumento concreto al risarcimento del danno subito dall’erario che spesso è rimasto lettera morta a causa dell’evidente difficoltà di ricondurre le disponibilità patrimoniali dell’imputato all’esercizio dell’attività criminosa. La Suprema corte, inoltre, nel confermare i propri precedenti sul punto, afferma che il sequestro può essere disposto per l’intero ammontare del prodotto del reato a uno qualsiasi dei partecipanti all’organizzazione criminale, alimentando forse ulteriormente il dibattito già in corso in dottrina, ma fornendo così un ulteriore strumento di tutela a favore dell’Amministrazione finanziaria.


Fonte: Agenzia Entrate

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