In una discutibile decisione, la Cassazione ravvisa il reato previsto dall’art. 11, comma 1 d.lgs. n. 313 del 1991 nella mera detenzione per il commercio di giocattoli sprovvisti della marcatura CE
Intervento della Suprema Corte a proposito della fattispecie contravvenzionale prevista dall’art. 11, comma 1, d.lgs. 27 settembre 1991, n. 313, il quale punisce l'ammenda da 516 a 20.658 euro «chiunque immette in commercio, vende o distribuisce gratuitamente al pubblico giocattoli privi della marcatura CE».

Si tratta di una decisione che non appare pienamente condivisibile perché, come si vedrà, forza in malam partem il dato letterale, barriera insormontabile nell’interpretazione delle fattispecie incriminatrici.

La vicenda processuale riguardava una cittadina cinese, la quale veniva condannato dal giudice di pace - alla cui competenza è devoluto il reato in esame ex art. 4, comma 2, lett. o) d.lgs. n. 274 del 2000 - per aver immesso in commercio giocattoli privi del contrassegno CE.

Tra i motivi di ricorso, la difesa lamentava la violazione di legge, deducendo l’insussistenza del reato perché, nella specie, non era dato ravvisare alcun atto di effettiva immissione in commercio dei giocattoli, i quali erano stati rinvenuti in un locale magazzino ancora imballati.

La Corte ha rigettato questo come gli altri motivi di ricorso. In particolare, ai fini che qui rilevano, pacifica l’assenza di certificazione di conformità sui giocattoli (peraltro nemmeno contestata dalla difesa), la Corte ha affermato che integra il reato previsto dall’art. 11, comma 1, d.lgs. n. 313 del 1991 anche «una condotta di mera detenzione di giocattoli privi della marcatura CE purchè la stessa sia connotata da circostanze e caratteristiche che preludano all’immissione in circolo, a qualsiasi titolo, dei giocattoli la cui sicurezza non sia stata certificata in base alla legge».

Non si tratta di un principio affermato per la prima volta, perché la Corte riprende un recente arresto giurisprudenziale, espresso da Cass., Sez. III, 9 gennaio 2009, n. 16755, in C.E.D. Cass., n. 243399. A nostro avviso, un’interpretazione del genere viola il principio di legalità, perché estende in maniera indebita la portata della fattispecie di reato.

Come si è visto, la norma incrimina condotte ben precise - immissione in commercio, vendita, distribuzione – ma non anche la detenzione per il commercio.

Valga, ad esempio, il confronto con l’art. 442 c.p., che, con riguardo alle sostanze alimentari contraffate o adulterate, punisce una serie di condotte quali: la detenzione per il commercio, il porre in commercio, la distruzione per il consumo.

L’art. 11, comma 1, invece, non incrimina anche la mera detenzione per il commercio di giocattoli sprovvisti della marcatura CE A ben vedere, la mera detenzione di giocattoli sprovvisti della marcature CE «che – per usare le parole della Cassazione - sia connotata da circostanze e caratteristiche che preludano all’immissione in circolo» potrebbe integrare la figura del tentativo di immissione in commercio, che però non è configurabile trattandosi di un’ipotesi contravvenzionale.

Nel caso di specie, tuttavia, si era accertato un continuo flusso e deflusso di merci dal magazzino-deposito gestito dall’imputata; di conseguenza, si sarebbe potuto affermare la penale responsabilità con riguardo solo alle merci già vendute, ossia immesse sul mercato, ma non in relazione a quelle che si trovano ancora imballate nel magazzino, e che, quindi, erano (solo) detenute per l’immissione in commercio.

(Sentenza Cassazione penale 25/02/2011, n. 7212)


Fonte: IPSOA

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