Le prestazioni di servizi dei depositari di merci non sono riconducibili tra quelle relative ai beni immobili, per cui seguono la regola generale dell'art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972, secondo cui i servizi cd. generici sono territoriali nel luogo in cui è stabilito il committente soggetto passivo.
Conseguentemente, alle prestazioni eseguite nei depositi IVA, allorché rese a soggetti passivi esteri, non è più applicabile, dal 1° gennaio 2010, il trattamento di sospensione di cui all'art. 50-bis del D.L. n. 331/1993, trattandosi di operazioni "fuori campo".

La riforma dell’IVA operata dal D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, in attuazione della direttiva comunitaria 2008/8/CE del 12 febbraio 2008, ha interessato essenzialmente la disciplina del luogo delle prestazioni di servizi (cd. presupposto territoriale) e quella del debitore dell’imposta.
Sul primo versante, è stato anzitutto rovesciato il criterio basilare per la localizzazione delle prestazioni scambiate fra operatori economici, spostando la tassazione dal luogo di stabilimento del prestatore a quello del committente. Inoltre, è stata notevolmente ridotta, sempre negli scambi business to business, l’area dei criteri speciali, con il risultato di semplificare il quadro normativo e l’applicazione dell’imposta da parte dei soggetti passivi.
A quest’ultimo risultato hanno contribuito anche le modifiche sul secondo versante, che hanno radicalizzato, senza eccezioni di sorta, il principio per cui quando l’operazione territorialmente rilevante è posta in essere da un soggetto passivo non stabilito nel territorio dello Stato nei confronti di un soggetto passivo stabilito, debitore dell’imposta è il cessioniario/committente, che deve pertanto applicare il meccanismo dell’inversione contabile (o reverse charge).
Sino ad oggi l’Agenzia delle entrate ha avuto modo di occuparsi più volte della riforma, sotto diversi profili, fornendo indicazioni preziose agli operatori, ma al momento di andare in stampa si attende una circolare che affronti organicamente la materia della riforma. Nelle more, occorre prendere nota delle ultime “pillole interpretative” che l’Amministrazione ha somministrato in occasione dell’ultimo “Telefisco”, dove sono state fornite alcune risposte in merito, appunto, alla localizzazione delle prestazioni e agli adempimenti del debitore dell’imposta, non prive di spunti di commento.

Ad avviso dell’Agenzia, le prestazioni di servizi consistenti nel deposito di merci per conto terzi non sono inquadrabili tra quelle relative a beni immobili, ai fini del criterio speciale di territorialità previsto dall’art. 7-quater, lett. a), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (che localizza oggettivamente tali prestazioni nel luogo in cui si trova l’immobile), ma devono essere ricondotte alla regola generale dell’art. 7-ter dello stesso decreto. Questo perché, in base all’art. 1766 c.c., il deposito è il contratto col quale una parte riceve dall’altra una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura. Sebbene la motivazione non appaia, invero, particolarmente articolata (e faccia riferimento al diritto civile nazionale, sul quale non può basarsi l’interpretazione delle norme armonizzate sull’IVA (1), la posizione dell’Agenzia parrebbe condivisibile, in quanto l’oggetto della prestazione del depositario non sembra porsi con il bene immobile in una relazione sufficiente da giustificare l’applicazione del criterio speciale.
La questione è comunque opinabile, se è vero che, come si legge nella domanda, la normativa IVA olandese annovera la prestazione in esame fra quelle relative a beni immobili, donde l’assoggettamento all’IVA in Olanda, luogo in cui si trova il deposito-immobile. In tale ipotesi, peraltro, il depositante, soggetto passivo italiano, riceve dal depositario la fattura assoggettata all’IVA olandese, ma l’Amministrazione finanziaria italiana pretenderà la tassazione in Italia ai sensi dell’art. 7-ter, sanzionando in caso contrario il committente secondo le disposizioni dell’art. 6, comma 9-bis, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. Volendo aderire all’orientamento dell’Amministrazione nazionale, quindi, nella fattispecie il committente dovrebbe ignorare l’avvenuta tassazione olandese ed applicare, sulla base imponibile costituita dal corrispettivo (e non anche dall’IVA indebita), l’imposta italiana con il meccanismo dell’inversione contabile.
Ma che succede se il fornitore fa resistenza, magari ottenendo conferma della correttezza del proprio operato da parte dell’Amministrazione finanziaria olandese? Lo scenario non è dei più semplici, poiché si potrebbero instaurare, in esito ad azioni di accertamento o a domande di rimborso, una o più controversie tributarie incrociate, tra i soggetti passivi e le Amministrazioni coinvolte, e magari una lite non tributaria tra i due operatori, per via di un conflitto interpretativo fra le amministrazioni dei due Paesi membri ricomponibile in sede giurisdizionale dalla Corte di giustizia delle Comunità, oppure risolvibile dal Consiglio dell’UE attraverso l’emanazione di una “disposizione di applicazione” ai sensi dell’art. 397 della direttiva 2006/112/CE. I tempi, in entrambi i casi, non sarebbero propriamente in linea con le esigenze delle imprese.
Sarebbe necessario, piuttosto, un meccanismo di interpello sovranazionale, simile a quello previsto nel settore doganale, per la risoluzione quanto più rapida possibile della questione interpretativa, con effetto nell’intero territorio comunitario. Un’esigenza, questa, avvertita anche al di fuori dei confini comunitari e recepita dall’OCSE nell’ambito del progetto “Vat Guidelines” del 2006, che mira a risolvere, tra l’altro, proprio i contrasti tra i vari Stati in tema di individuazione del luogo delle operazioni.

(1) In tal senso, la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità

Una seconda risposta fornita dall’Agenzia in materia di territorialità, non priva di agganci con la precedente, riguarda il trattamento delle spese di deposito fatturate dal gestore di un deposito IVA di cui all’art. 50-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 ad un soggetto passivo estero. All’Agenzia era stato chiesto di sapere:
a) se la prestazione del depositario dovesse essere qualificata come “non soggetta” ad IVA ai sensi dell’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972, oppure come operazione senza pagamento dell’IVA ai sensi della lettera h) del comma 4 dell’art. 50-bis citato;
b) se, all’atto dell’estrazione dei beni dal regime di deposito, a cura del soggetto passivo estero per il tramite del proprio rappresentante fiscale in Italia, l’ammontare delle predette spese dovesse concorrere alla base imponibile dell’estrazione, ai sensi del comma 6 del medesimo art. 50-bis.
La prima domanda concerne, in sostanza, la relazione fra il presupposto della territorialità e il trattamento concretamente applicabile all’operazione (imponibilità, non imponibilità, esenzione, od anche, appunto, la “sospensione” di cui all’art. 50-bis in esame).
Non viene invece posta questione circa il criterio di localizzazione applicabile alle prestazioni del depositario, ossia se si tratti di prestazioni riconducibili a quelle relative a beni immobili (sottoposte al criterio speciale dell’art. 7-quater, lett. a) oppure di prestazioni cd. generiche inquadrabili nella regola generale dell’art. 7-ter, dandosi evidentemente per scontata - diversamente che nella domanda sul trattamento dei servizi di deposito merci in Olanda - la seconda soluzione.
Nella risposta, l’Agenzia afferma giustamente che “l’individuazione della territorialità è pregiudiziale rispetto alla disciplina fiscale da applicare alla singola operazione”, traendone la pacifica conclusione che, nella fattispecie, trattandosi di prestazione di servizi “generica” resa ad un committente soggetto passivo non stabilito nel territorio dello Stato, l’operazione si qualifica “non soggetta” (per difetto di territorialità) ai sensi dell’art. 7-ter, e come tale dovrà essere fatturata dal depositario stabilito. Per conseguenza, l’ammontare della prestazione (da assoggettare a tassazione del Paese membro in cui è stabilito il committente) non concorrerà neppure alla base imponibile dell’estrazione dei beni.
E’ appena il caso di osservare che qualora le prestazioni in esame dovessero qualificarsi, anziché “generiche”, come servizi relativi ad un bene immobile, la soluzione sarebbe completamente diversa: si tratterebbe infatti di servizi territoriali in Italia, in quanto l’immobile è ivi situato, da fatturare in regime sospensivo e da considerare nella base imponibile dell’estrazione, ai sensi dell’art. 50-bis citato.

Due risposte dell’Agenzia riguardano, infine, la questione - in parte già anticipata sopra - dell’indebita applicazione dell’IVA da parte del fornitore estero al soggetto passivo italiano, in relazione ad operazioni territorialmente rilevanti in Italia.
Dopo la riforma del D.Lgs. n. 18/2010, le disposizioni dell’art. 17, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972 qualificano debitore dell’imposta, per tutte le operazioni territoriali (qualsiasi cessione di beni o prestazione di servizi) poste in essere da fornitori non stabiliti nei confronti di soggetti passivi stabiliti, il destinatario dell’operazione, che deve applicare l’imposta con il meccanismo dell’inversione contabile.

Questa regola, che non prevede alcuna eccezione, vale anche nel caso in cui il fornitore estero sia titolare di una posizione IVA nel territorio dello Stato (rappresentante fiscale, identificazione diretta, stabile organizzazione), poiché tale circostanza non fa venire meno lo status di “soggetto passivo non stabilito” (1).
Nonostante la chiarezza della norma e il tempo trascorso dalla sua entrata in vigore, si continuano a registrare comportamenti apertamente difformi da parte dei soggetti esteri, non solo imprese di modesta rilevanza, ma anche grandi gruppi e marchi blasonati, sia nel settore dei beni sia dei servizi, che, ignorando bellamente le disposizioni nazionali (nonché le rimostranze e le sollecitazioni dei clienti e dei loro consulenti), addebitano ai cessionari/committenti soggetti passivi italiani l’IVA domestica, avvalendosi della rappresentanza fiscale o dell’identificazione diretta. Premesso che, di fronte a tali atteggiamenti, l’arma di difesa più efficace del cessionario/committente nazionale è quella di non pagare l’imposta, cosa che però, per vari motivi, non sempre è possibile, in ordine all’indebita fatturazione dell’IVA da parte del fornitore estero l’Agenzia ha ribadito che, stante la previsione dell’art. 17, secondo comma, l’assolvimento dell’IVA, mediante autofattura, spetta al cessionario/committente nazionale, in quanto debitore dell’imposta. Ove non adempia a tale obbligo, quindi, il cessionario/committente sarà soggetto all’applicazione della disciplina sanzionatoria dell’art. 6, comma 9-bis, del D.Lgs. n. 471/1997.
In una delle due risposte sulla questione, l’Agenzia puntualizza che il cessionario/committente non dovrà tenere conto della fattura con addebito dell’IVA emessa dal fornitore estero, per cui dovrà astenersi dal registrare il documento ai sensi dell’art. 25 del D.P.R. n. 633/1972 e dall’esercitare la detrazione dell’imposta erroneamente addebitata, mentre il fornitore, a sua volta, potrà attivare il meccanismo di variazione di cui all’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972. In proposito, si deve tuttavia aggiungere che, in base alla disciplina sanzionatoria sopra richiamata, nel caso in cui l’imposta sia stata, ancorché irregolarmente, assolta da una delle parti, la sanzione amministrativa è pari al 3% ed è impregiudicato il diritto alla detrazione del cessionario/committente.
E’ opportuno ricordare, inoltre, che, nelle ipotesi di cui al secondo e al terzo periodo del predetto comma 9-bis, in caso di irregolare applicazione dell’imposta, al pagamento dell’imposta stessa e delle sanzioni sono tenute solidalmente entrambe le parti.
A margine delle risposte dell’Agenzia, infine, si osserva sommariamente (giacché il tema richiederebbe ben altro approfondimento) che qualora il fornitore estero abbia invece addebitato indebitamente - a giudizio dell’Amministrazione finanziaria o del destinatario - l’imposta del proprio paese di stabilimento, ritenendo ivi localizzata l’operazione (come nel caso dei servizi resi dal depositario olandese), il cessionario/committente nazionale, oltre ad azionare il descritto meccanismo di applicazione dell’imposta, pena la sanzione dal 100 al 200% prevista dal citato comma 9-bis dell’art. 6 del D.Lgs. n. 471/1997, potrà attivarsi per ottenere la restituzione del tributo estero. A tal fine, nel dubbio se l’Autorità fiscale estera ritenga corretto il comportamento del fornitore, potrebbe essere opportuno procedere parallelamente sia con la richiesta di restituzione del tributo al fornitore (per l’ipotesi in cui questi abbia effettivamente sbagliato ad applicare l’imposta), sia con l’istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38-bis1 del D.P.R. n. 633/1972, per poi abbandonare, una volta chiarita la situazione, l’una o l’altra pretesa.

(1) E’ fatto salvo il caso in cui l’operazione sia posta in essere non dal soggetto estero, ma dalla sua stabile organizzazione nazionale, la quale infatti, in tale eventualità, assume essa stessa lo status di “soggetto passivo stabilito” ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. d).


Fonte: IPSOA

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