Per la Corte di Cassazione, però, la duplicazione documentale costituisce un valido espediente per garantire la ragionevole durata del processo. Con le recenti ordinanze n. 2799 e n. 2803, depositate entrambe il 5 febbraio scorso, la Suprema Corte ha affrontato due importanti questioni procedurali: quesito di diritto e obbligo di deposito congiunto di ricorso e atti processuali. Nella prima, a pochi giorni dalla recente pronuncia 767 del 14 gennaio u.s. (per la quale si rinvia a A.Marcheselli, "", il Quotidiano IPSOA del 26 gennaio 2011), la Cassazione torna ad occuparsi del rapporto tra quesito di diritto e motivo.

In termini rigorosi, la Corte - preannunciato che il quesito di diritto non può essere desunto dal contenuto del motivo - precisa (in stretta coerenza con il sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l'indicazione della violazione denunciata) che il disposto di cui all'art. 366 bis c.p.c. prescrive al ricorrente una sintesi originale ed autosufficiente della censura.

Infatti, solo partendo da una sapiente formulazione logico-giuridica che contenga l’essenza della questione e che espliciti l’errore di diritto nel quale sia incorso il giudice di merito, la funzione nomofilattica può trovare una espressione diretta e immediata (ex multis, Cass. n. 20409 del 2008).

Di conseguenza, dovrà considerarsi inammissibile il quesito che, non contenendo tutte le informazioni necessarie ad una pronta risposta del giudice di legittimità, difetti di tali requisiti.

Nell’ordinanza n. 2830/2011, viene dichiarato improcedibile l’unico motivo di ricorso per mancato deposito, unitamente al ricorso, dell'atto d'appello (contenente il motivo sul quale i giudici d'appello avrebbero omesso di pronunciare, e, pertanto, costituente atto sul quale la censura è fondata).

La norma di riferimento va ricercata nell'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., disposizione compatibile con le previsioni precipue del D.Lgs. n. 546/1992 e applicabile, pertanto, al rito tributario.

La pronuncia è occasione, per la Corte, di rammentare che l’onere in discussione non può ritenersi adempiuto con la mera richiesta di acquisizione del fascicolo d'ufficio dei gradi di merito né, eventualmente, col deposito di tale fascicolo e/o del fascicolo di parte (che in ipotesi tali atti contenga).

Fa eccezione l’evenienza che tale deposito intervenga nei tempi e nei modi di cui al citato art. 369 c.p.c. o che si specifichi che il fascicolo è stato prodotto, indicando la sede in cui il documento è rinvenibile (si vedano Cass. SS.UU. n. 28547/2008, Cass. n. 24940/2009 nonché n. 303/2010 e, da ultimo, Cass. SS.UU. n. 7161/2010).

La ratio di tale previsione, che sembrerebbe imporre arbitrariamente il deposito di documenti già presenti nel fascicolo di causa, viene ricondotta dalla Suprema Corte alla diversità dei tempi di disponibilità materiale dei suddetti documenti.

Il deposito della sentenza impugnata e degli atti su cui il ricorso è fondato, unitamente al deposito del ricorso medesimo, consente “un primo "screening" dell'impugnazione, funzionale ad una immediata catalogazione ed organizzazione delle sopravvenienze”.

Nel caso di specie è agevole intuire che una produzione dei documenti siffatta agevola l’accesso agli stessi da parte della Corte, la quale sarebbe altrimenti costretta a reperirli all’interno del fascicoli dei gradi di merito, che sono trasmessi, a volte, in momenti spesso di molto successivi.

In conclusione, se tale duplicazione documentale, di primo acchito, potrebbe sembrare vessatoria per il contribuente o contraria alla semplificazione dell’esercizio del diritto di difesa, costituisce, a parere della Corte, un valido espediente per garantire la ragionevole durata del processo.

(Ordinanza Cassazione civile 05/02/2011, n. 2799)


Fonte: IPSOA

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