La dichiarazione dei redditi del contribuente può essere ritrattata, per gli errori commessi sia in fatto che in diritto e incidenti sull’obbligazione tributaria, anche in sede contenziosa, al fine di consentire al contribuente di opporsi alla maggiore pretesa tributaria avanzata dall’Amministrazione finanziaria. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2226 depositata il 31 gennaio scorso.
Il problema della “ritrattabilità della dichiarazione dei redditi” è stato oggetto di ampio dibatto dottrinale e giurisprudenziale.

Per decenni si è sostenuto che il contribuente non potesse ritrattare la dichiarazione contenente errori, per una sorta di definitività della dichiarazione stessa, intesa come documento idoneo a definire l’obbligazione tributaria. In altre parole, la dichiarazione era vista come uno strumento di prova per l'Amministrazione finanziaria, la quale era dispensata dal verificare se corrispondessero al vero le affermazioni, in essa contenute, sfavorevoli al contribuente dichiarante.

Da ciò discendeva il principio secondo cui la dichiarazione doveva essere considerata una fattispecie di accertamento.

Tale concezione è stata a lungo criticata dalla dottrina in quanto la dichiarazione dei redditi non può sostituirsi alla legge nel delineare l’obbligazione tributaria, che è un’obbligazione legale indisponibile, avente causa in un determinato presupposto e che trova fondamento nei principi di legalità (art. 23 Cost.) e di capacità contributiva (art. 53 Cost.) [In tal senso, cfr. E. De Mita, Principi di diritto tributario, Milano, 2007, p. 297].

La dichiarazione dei redditi ha natura di “dichiarazione di scienza”: con essa il contribuente si limita ad esporre i fatti economicamente rilevanti che danno origine al prelievo tributario. Essa non deve e non può essere considerata come una manifestazione di volontà consistente nell’accettazione del debito tributario.

E’ la legge (e solo la legge) a stabilire gli elementi essenziali della tassazione, sicché i fatti che il contribuente deve dichiarare sono solo quelli stabiliti dal legislatore.

La tassazione non può prescindere dalla reale situazione di fatto, solo perché è stata presentata una dichiarazione che è titolo per la riscossione dei tributi. Conseguentemente, il contribuente che abbia presentato una dichiarazione erronea, sia in fatto che in diritto, ha la facoltà di portare a conoscenza sia dell’Amministrazione finanziaria che del giudice l’errore commesso e ritrattare la dichiarazione, presentandone un’altra entro i termini previsti dalle disposizioni normative.

Il fatto

Due contribuenti persone fisiche proponevano ricorso in Commissione tributaria provinciale della Lombardia avverso una cartella esattoriale per IRPEF ed ILOR, con la quale l’Agenzia delle Entrate aveva ripreso a tassazione i canoni di affitto portati in deduzione nella dichiarazione del 1998 perché non percepiti. Tali canoni era relativi ad un contratto stipulato con un soggetto che successivamente era fallito.

I giudici di merito avevano respinto il ricorso dei contribuenti affermando che la deduzione non era dovuta, che la voce "mancata riscossione di canoni di affitto" non era compresa tra gli oneri deducibili specificamente indicati dall’art. 10 del D.P.R. n. 917/1986 e che, comunque, i coniugi avevano percepito in prededuzione dal fallimento, una somma pari all’importo dei canoni di locazione non percepiti.

In particolare, in appello i giudici avevano rilevato che i ricorrenti avrebbero dovuto indicare in dichiarazione la somma percepita, ciascuno per la parte di propria spettanza.

Avverso la sentenza dei giudici di secondo grado, i ricorrenti proponevano ricorso per cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 3, 6, 22, 23, 33, 34 e 35 del TUIR e ribadendo che avevano indicato in dichiarazione il 100% del canone risultante dal contatto di locazione e poi avevano portato in deduzione la somma non effettivamente percepita, anziché indicare solo la parte della somma effettivamente incassata.

Pertanto, sulla base delle disposizioni normative, i contribuenti riconoscevano di avere commesso un errore nella compilazione della dichiarazione d’imposta, avendo indicato la voce “mancata riscossione dei canoni di affitto”, nonostante non fosse ricompresa tra gli oneri deducibili elencati nel TUIR. Conseguentemente, secondo i contribuenti, la soluzione proposta dai giudici di appello era da giudicare eccessivamente formalistica, non essendoci alcuna differenza sostanziale tra il comportamento adottato dai contribuenti e quanto prospettato dai giudici.

La sentenza della Cassazione

Con la sentenza in esame la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dai due contribuenti persone fisiche, rinviando la causa al giudice al fine di accertare l’effettiva persistenza di un errore nella dichiarazione dei redditi dei due coniugi.

Innanzitutto, i giudici hanno rilevato che i contribuenti, impugnando la cartella di pagamento, hanno sostanzialmente dedotto di avere commesso un errore nella dichiarazione relativa all’anno di imposta 1998, che ha inciso sulla determinazione dell’obbligazione tributaria. Tale errore è da imputare al fatto che in dichiarazione dei redditi è stato indicato il canone complessivo previsto contrattualmente in luogo della somma effettivamente percepita, e successivamente è stata dedotta la parte relativa al canone non percepito, benché tale deduzione non fosse prevista tra gli oneri deducibili di cui all’art. 10, TUIR.

Pertanto, la deduzione è stata operata con l’unico fine di neutralizzare l’errore commesso.

In ordine alla possibilità di rimediare agli errori commessi in dichiarazione, la giurisprudenza ha più volte evidenziato che "la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, alla luce del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo applicabile «ratione temporis», è - in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico”.

Da ciò consegue che devono considerarsi irretrattabili soltanto le dichiarazioni relative a rapporti sostanziali esauriti, ossia definiti da qualche fatto o circostanza diverso dalla dichiarazione stessa; ad esempio, attraverso il decorso del termine per la presentazione della domanda di rimborso delle somme indebitamente versate.

In forza a tale principio, espresso in primo luogo dalla Cassazione nella sentenza del 25 ottobre 2002, n. 15063, la dichiarazione presentata dal contribuente è suscettibile di modifica in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi, idonei a rappresentare la realtà dei fatti e consentire la realizzazione dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria.

Inoltre, l’art. 9, commi 7 e 8, D.P.R. n. 600/1973 (applicabili ratione temporis al caso di specie), non pone alcun limite temporale all’emendabilità e alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dal contribuente, se non nei limiti del diritto al rimborso, ai sensi dell’art. 38, D.P.R. n. 602/1973. Infatti, la dichiarazione non seguita da atti autonomamente impugnabili (quale, ad esempio, la cartella di pagamento), legittima la rettifica, la quale si risolve necessariamente in una istanza di rimborso della maggiore imposta versata in base alla dichiarazione originaria ovvero del maggior credito d'imposta risultante.

Invero, la possibilità di emendare la dichiarazione d’imposta per errori di fatto e di diritto deve essere riconosciuta anche in sede contenziosa, al fine di permettere al contribuente di opporsi alla maggiore pretesa tributaria avanzata dall’Amministrazione finanziaria (Cfr. Cass. n. 22021/2006).

Sicché, conclude la Corte, “un sistema legislativo che intendesse negare in radice la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva - art. 53 Cost., comma 1 - e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa - art. 97 Cost., comma 1".

(Sentenza Cassazione civile 31/01/2011, n. 2226)


Fonte: IPSOA

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