E' configurabile la responsabilità penale del datore di lavoro per l'omessa valutazione del rischio amianto e per averne omesso l'indicazione nel relativo documento di valutazione (cosiddetto D.V.R.), in quanto detto rischio, nonostante l'esecuzione di precedenti interventi di bonifica ed isolamento dei materiali contenenti amianto, deve comunque essere considerato poichè la presenza di amianto rende necessario un programma di manutenzione e controllo periodico delle operazioni già eseguite.
La Corte di Cassazione si pronuncia con la sentenza in commento su un tema di particolare interesse attinente all’esistenza dell’obbligo di valutazione del rischio amianto ed alla sua annotazione nel prescritto documento di valutazione del rischio.

La Corte, in particolare, operando alcune interessanti riflessioni finalizzate a delineare il perimetro di tale obbligo incombente in capo al datore di lavoro, giunge ad affermare il predetto principio di diritto che, seppure riferibile alla pregressa disciplina dettata dal previdente art. 4 del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, è sicuramente applicabile anche alla nuova disciplina normativa introdotta dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.

Il caso

La vicenda processuale che ha dato origine alla decisione del Supremo Collegio vedeva imputati i legali rappresentanti di una ditta esercente attività di produzione di fuochi d’artificio, ai quali era contestata l’inadeguata valutazione del rischio amianto nel documento di valutazione. In particolare, presso i locali della ditta erano stati effettuati in precedenza alcuni interventi di bonifica del materiale contenente amianto rinvenuto nel corso di precedenti controlli; a seguito di un successivo sopralluogo, svolto a seguito di uno scoppio verificatosi all’interno della fabbrica, era stato accertato che nel documento di valutazione del rischio (cosiddetto D.V.R.) non era contemplato il rischio amianto, rischio che, secondo i giudici di merito, dopo l’attività di bonifica, doveva comunque essere considerato, in quanto in presenza di amianto doveva essere adottato un programma di manutenzione e controllo periodico delle operazioni di bonifica ed isolamento già eseguite.

Il ricorso

A seguito della condanna di ambedue gli imputati, veniva proposto ricorso per cassazione. In particolare, la difesa eccepiva la mancanza di prova dell’omessa indicazione del rischio amianto e la stessa esistenza del rischio, in quanto, dalle dichiarazioni dei testimoni, sarebbe emerso che, all’interno della fabbrica, l’amianto era stato rinvenuto in due luoghi e che, in entrambi i casi, i titolari avevano provveduto diligentemente all’isolamento dello stesso mediante procedure corrette, oggetto di specifica approvazione da parte degli organi preposti al controllo. Seconda la difesa, dunque, la mancanza di indicazioni nel documento di valutazione dei rischi era connessa alla circostanza che non vi fosse il rischio amianto.

La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha fatto coerente applicazione della disciplina normativa in tema di valutazione dei rischi, consolidatasi peraltro nella giurisprudenza di legittimità anche precedente all’entrata in vigore del Testo Unico sulla sicurezza.

L’infondatezza del ricorso, per quanto di interesse in questa sede, è stata ritenuta dalla Corte alla luce della corretta interpretazione che il giudice del merito ha operato della disposizione normativa applicabile all’epoca dei fatti, ossia l’art. 4 del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626. Com’è noto, tale disposizione, sotto la rubrica «Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto» aveva per la prima volta introdotto l’obbligo datoriale di procedere alla valutazione dei rischi presenti sul luogo di lavoro; una volta assolto l’obbligo valutativo, i relativi risultati devono essere consacrati in un apposito documento, meglio noto come documento di valutazione dei rischi, la cui funzione, già sotto la vigenza del D.Lgs. n. 626 del 1994, era centrale nel sistema “procedimentalizzato” della prevenzione, rappresentando il D.V.R. una sorta di “carta d’identità” dell’azienda per quanto concerne l’attuazione delle politiche prevenzionistiche da parte del datore di lavoro.

La norma in questione è stata oggi trasfusa e migliorata sotto il profilo contenutistico dall’art. 28 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. In particolare, la nuova previsione, nel riconfermare il predetto obbligo valutativo, ha ampliato l’estensione dell’obbligo di valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.

Parimenti, fermo restando l’obbligo del datore di lavoro di consacrare nel D.V.R. i risultati di tale valutazione (obbligo, si ricorda, gravante esclusivamente sul datore di lavoro in base all’art. 17, lett. a), del D.Lgs. n. 81 del 2008, secondo cui il datore di lavoro non può delegare la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall'articolo 28), è stato migliorato e dettagliato anche il contenuto del documento valutativo attraverso l’inserimento delle inedite previsioni delle lettere d), e) ed f), del comma 2, richiedendosi, infatti, oggi, rispetto al passato, che il D.V.R. debba, altresì contenere:

a) l'individuazione delle procedure per l'attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell'organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri

e) l'indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio;

f) l'individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento.

Ma la vera novità rispetto alla previdente disciplina è costituita dal comma 3 dell’art. 28 che prevede espressamente che il contenuto del D.V.R. “deve altresì rispettare le indicazioni previste dalle specifiche norme sulla valutazione dei rischi contenute nei successivi titoli del presente decreto”. Ciò, in altri termini, significa che l’obbligo valutativo del datore di lavoro non è esaurito con l’adempimento delle prescrizioni imposte dall’art. 28 e, in particolare, con quelle in generale previste dal Titolo I del T.U.S., ma deve necessariamente tener conto anche delle previsioni dei titoli successivi, finalizzate a garantire la necessaria integrazione dell’obbligo di valutazione del rischio con gli “altri” specifichi rischi cui possono essere esposti particolari categorie di lavoratori in relazione a particolari attività produttive.

Tra questi, segnatamente, rientra proprio l’estensione dell’obbligo valutativo anche al rischio amianto, previsto espressamente dal Tit. IX, Capo III del T.U.S. A tal proposito, viene in particolare in rilievo l’art. 249, comma 1, che appunto, in sintonia con l’obbligo valutativo generale, precisa che il datore di lavoro “nella valutazione di cui all'articolo 28” ha l’obbligo di valutare i rischi dovuti alla polvere proveniente dall'amianto e dai materiali contenenti amianto, al fine di stabilire la natura e il grado dell'esposizione e le misure preventive e protettive da attuare. Alla luce della attuale disciplina, l’esito processuale conclusosi con la decisione in commento appare assolutamente corretto.

Ed infatti, bene afferma la Cassazione che, nonostante l’effettuazione di una pregressa attività di bonifica ed isolamento dei materiali contenenti amianto (conseguente ad uno scoppio verificatosi nella fabbrica di fuochi d’artificio), i titolari della ditta fosse comunque obbligati a procedere alla valutazione del rischio amianto ed a riportarne i risultati nel D.V.R., in quanto il rischio amianto avrebbe dovuto essere valutato, poiché la presenza in situ di tale materiale cancerogeno comportava l’obbligo di adottare un programma di manutenzione e controllo periodico delle operazioni di bonifica ed isolamento già eseguite.

In precedenza, peraltro, la stessa giurisprudenza aveva affermato come in tema di protezione dei lavoratori dai rischi connessi all'esposizione all'amianto, sono soggette alla tutela penale non solo le attività in cui si svolgono lavorazioni dell'amianto, ma anche tutte quelle che comportano rischi di esposizione alle polveri di amianto o di materiali contenenti amianto (Cass. pen., sez. III, n. 10527 del 10/03/2009, V., in Ced Cass. 243120; conforme: Cass. pen., sez. III, n. 9515 del 7/09/2000, M. ed altro, in Ced Cass. 217865).

(Cassazione penale 20/01/2011, n. 1791)


Fonte: IPSOA

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