Con la sentenza n. 2213 del 31 gennaio, la V sezione tributaria ha ribadito l’inderogabilità delle norme del Tuir (Dpr 917/1986) che disciplinano la determinazione del reddito d’impresa e, in particolare, la deduzione dei costi.
Nel caso in esame, era sorta contestazione sulla deduzione dal reddito d’impresa di costi per materie prime acquistate nel mese di dicembre, dedotte fiscalmente nel medesimo anno d’imposta senza transitare dal conto “rimanenze finali” dell’esercizio. I ricavi relativi all’acquisto di quelle merci si erano manifestati l’anno successivo, con la conseguenza che i costi potevano essere dedotti fiscalmente solo a partire da quell’esercizio.

Motivo della ripresa a tassazione era la violazione delle regole temporali di imputazione dei costi, cosiddetto principio di competenza, per il quale “le spese e gli altri componenti negativi (…) sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi” (articolo 75, comma 5, del Tuir, in vigore pro tempore, oggi articolo 109, comma 5).

Altre questioni oggetto della decisione trattata riguardavano la deducibilità degli interessi passivi e i costi per l’allestimento di spazi espositivi, per attirare l’attenzione dei clienti. Quest’ultima tipologia di costi - correttamente qualificati di “pubblicità e propaganda” - era deducibile per intero nell’esercizio, ovvero in quote costanti in cinque esercizi ai sensi dell’articolo 74, comma 2, del Tuir in vigore pro tempore (oggi articolo 108).

Le regole di imputazione temporale dei componenti del reddito d’impresa sono oggi contenute, come accennato, nell’articolo 109 del “nuovo” Tuir, in vigore dal 1° gennaio 2004.
Il comma 1 prevede che “I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza (…)”.Per i componenti di reddito per i quali le norme tributarie “non dispongono diversamente” - ad esempio, quelli la cui imputazione al periodo d’imposta avviene in base al criterio di cassa, ovvero in base a parametri predeterminati (ammortamenti) - la competenza è regolata dal comma 2, distintamente per le cessioni di beni (lettera a) e per le prestazioni di servizi (lettera b).

Nella seconda parte, il comma 1 pone due ulteriori requisiti: “i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”.
La ratio del criterio della competenza temporale è di dare certezza del rapporto tributario, con la conseguente esigenza di impedire che gli elementi reddituali siano collocati in un periodo d’imposta piuttosto che in un altro a discrezione del contribuente (si osserva che il principio di “certezza” in esame va inteso in senso giuridico, in quanto la componente reddituale può considerarsi certa solo se sia fondata sull’esistenza di un titolo giuridico produttivo di effetti, sia pure non ancora definitivi; l’obiettiva determinabilità presuppone, invece, l’utilizzazione di criteri oggettivi che eliminano ogni valutazione discrezionale basata su valutazioni soggettive).

Come precisato con la risoluzione 91/2006, “il principio di competenza di cui all’art. 109, comma 2, del TUIR deve essere applicato in combinazione con il corollario della correlazione, secondo cui i costi devono essere correlati con i ricavi dell’esercizio”. In termini analoghi, la risoluzione 217/2007, che ha così precisato: “essendo il principio di correlazione intrinseco in quello di competenza, al fine di individuare correttamente il principio di competenza fiscale di cui al citato art. 109 del TUIR, non si può prescindere dal concetto di correlazione civilistico-contabile tra produzione del reddito e costi correlati”.

In giurisprudenza si ricordano altre pronunce della Cassazione, in particolare la sentenza 6331/2008, che ribadisce il principio secondo il quale le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito d’impresa sono norme di stretta interpretazione e non sono derogabili da parte dei contribuenti (secondo la Corte, non esiste il problema della “doppia imposizione” nel caso di erronea imputazione di un ricavo, posto che le imposte pagate in eccedenza possono essere richieste a rimborso).

Per quanto concerne le spese per pubblicità e propaganda, si tratta di costi interamente deducibili ai sensi dell’articolo 108, comma 2, del Tuir poiché sono considerati direttamente “inerenti” rispetto alla produzione del reddito d’impresa.
Tali categorie di costi vanno distinti dalle spese di rappresentanza di cui alla seconda parte del comma 2, come modificato dall’articolo 1, comma 33, lettera p), della legge 244/2007, deducibili soltanto in parte (prima della modifica, le spese di rappresentanza erano deducibili per un terzo).
In particolare, secondo la giurisprudenza (cfr Cassazione, sentenza 2276/2011) sono spese di rappresentanza i costi che “hanno l’effetto di accrescere il prestigio della società organizzatrice, ma che non costituiscono spese necessarie per l’attività propagandistica o di incentivazione del prodotto”.
Nei casi dubbi, è possibile esperire la procedura di interpello (articolo 21 della legge 413/1991), chiedendo all’Agenzia delle Entrate il parere sulla riconducibilità di una spesa ai costi per pubblicità e propaganda ovvero ai costi per rappresentanza (cfr circolare 5/2009).


Fonte: Agenzia Entrate

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