La presunzione di redditività dei conti bancari può essere provata dal contribuente. Non può essere allegata la perizia disposta in sede penale per dimostrare l’infondatezza dell’accertamento.Con l'ordinanza n. 22636 dell'8 novembre 2010, in rassegna, la Cassazione, seguendo un indirizzo consolidato, ha ritenuto che l’accertamento basato sull’esame dei conti bancari è regolato da presunzioni legali c.d. relative, per cui nel riparto dell’onere della prova tra ufficio e contribuente al primo è sufficiente allegare l’esistenza di movimentazioni bancarie non registrate nella contabilità; al secondo compete invece l’onere di provare che quelle movimentazioni non sono riferibili all’attività svolta dal medesimo.

Nel caso esaminato, l’avviso di rettifica IVA era fondato sull’esame di alcuni conti bancari, intestati al contribuente ed al coniuge, di cui vi erano versamenti e prelevamenti privi di giustificazione; i primi erano considerati ricavi non contabilizzati, i secondi costi non documentati.

In proposito, l’art. 51, comma 2, n. 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 dispone che i dati acquisiti tramite l’esame dei conti bancari “sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti (…) se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono a operazioni imponibili”. Per le imposte dirette analoga disposizione è contenuta nell’art. 32, primo comma, n. 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

Nel sistema di riparto dell’onere della prova, l’ufficio ha unicamente l’onere di inviare il questionario con il quale il contribuente deve dare le giustificazioni richieste al fine di vincere la presunzione di redditività delle movimentazioni bancarie. Come precisato da Cassazione, sent. 9 aprile 2010, n. 8507, “Una volta acquisita tale documentazione, nessun altro obbligo incombeva all’Ufficio circa una preventiva fase di controllo dei dati risultanti dalla contabilità, rispetto alle movimentazioni bancarie”.

Per quanto concerne il contenuto della prova offerta dal contribuente, la presunzione di redditività delle movimentazioni dei conti correnti può essere superata dimostrando alternativamente che i ricavi presuntivamente riconducibili a lui non sono stati conseguiti nello svolgimento della propria attività, ovvero che sia data l’indicazione del destinatario del prelevamento non annotato in contabilità. Come precisato dall’ordinanza n. 22636 del 2010 in rassegna, deve trattarsi di prova specifica e “riguardare analiticamente i singoli conti bancari”; per contro, non sarebbe ritenuta ammissibile una prova generica riferita all’intero conto.

Si osserva che la Cassazione ha di recente ampliato l’ambito di applicazione della presunzione di redditività dei conti ex art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, estendendola ai conti bancari intestati a soggetti terzi, come ad es. amministratori, familiari, eccetera, in particolar modo nelle società a ristretta partecipazione azionaria, ovvero a base prevalentemente familiare.

Secondo la Cassazione, sent. 8 ottobre 2010, n. 20862: “in una società di capitali a base ristretta possono essere presi in considerazione i dati tratti dai conti bancari dei soci, ed anche dei congiunti di costoro, purché emergano dall’esame comparato dei dati elementi presuntivi ulteriori che facciano ritenere la riferibilità dei conti alla gestione sociale”.

Il percorso logico appare fondato su una prima presunzione (legale) concernente la redditività dei movimenti del conto privi di giustificazione e su una seconda presunzione (semplice) per cui attraverso elementi indiziari i proventi riscontrati nei conti dei terzi sono ritenuti imputabili al soggetto accertato. Grava sull’Amministrazione l’onere di esporre dei fatti costituenti presunzioni gravi precise e concordanti (presunzioni c.d. semplici) circa l’esistenza di una “confusione patrimoniale” tra soci, congiunti degli stessi e la società.

Infine, sempre riguardo alla prova che potrebbe offrire il contribuente, l’ordinanza n. 22636 del 2010 in commento ritiene che non sia elemento di valutazione utile la perizia d’ufficio disposta nel processo penale, la quale “è volta unicamente a verificare la configurabilità di illeciti penali”. Logicamente, per l’accertamento fiscale valgono le regole speciali per esso previste.

La Cassazione con la sentenza n. 11785 del 2010 ha affermato il principio della separazione tra i due giudizi, in quanto “nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente”.

(Ordinanza Cassazione civile 08/11/2010, n. 22636)


Fonte: IPSOA

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