Con la sentenza n. 35453 del 1° ottobre, la Corte di cassazione ha stabilito che commette reato il commercialista che emette fatture false insieme al cliente. In particolare, il professionista concorre con il proprio cliente nel reato di falsa fatturazione, se nel suo studio vengono rinvenuti i documenti fittizi - non contabilizzati dall'emittente - e un timbro dell'impresa cliente identico a quello apposto sulle fatture false.

Vicenda processuale
Un contribuente veniva condannato dal tribunale a una pena detentiva, unitamente alla sua commercialista (moglie dell'imputato), per avere il primo utilizzato nella dichiarazione dei redditi, in concorso tra loro, elementi passivi fittizi derivati da fatture false (articolo 110 codice penale e articolo 2, comma 3, Dlgs 74/2000), nonché per avere emesso, sempre in concorso tra loro, fatture per operazioni inesistenti, al fine di consentire a terzi di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto (articoli 81 cpv e 110 cp, e articolo 8, comma 3, Dlgs 74/2000).

La Corte di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava assorbito in un unico fatto il primo dei detti reati, ritenendo che, trattandosi di elementi passivi figurati esposti in un'unica dichiarazione annuale, il reato fosse connotato del requisito dell'unicità. Il resto veniva confermato in quanto risultava provato che le fatture emesse e utilizzate erano relative a operazioni inesistenti create (cartiere) per l'evasione e che, per la configurabilità del reato di cui all'articolo 2 del Dlgs 74/2000, non è richiesto il dolo specifico, ossia la realizzazione del fine di non corrispondere i tributi dovuti.

Con articolate censure, nel ricorso per Cassazione, i contribuenti lamentavano, tra l'altro, che la motivazione della Corte territoriale aveva basato la prova del concorso nel reato dell'imprenditore indagato sull'esistenza del rapporto coniugale, mentre invece il reato di dichiarazione fraudolenta (articolo 2 del Dlgs 74/2000) è reato "proprio" che si perfeziona con la presentazione della dichiarazione annuale. Inoltre, che il concorso nel reato della professionista costituirebbe retaggio della vecchia normativa ormai superata dal Dlgs 74/2000, il quale avrebbe inteso punire soltanto i comportamenti produttivi di danno erariale (richiedendosi che gli elementi fittizi siano trasfusi nella dichiarazione dei redditi con intenti evasivi), non bastando a tal fine "la mera annotazione della fattura o del documento per operazioni inesistenti nei libri contabili".

La sentenza n. 35453/2010
La Corte di cassazione, rigettando i ricorsi, ha affermato in materia i seguenti principi di diritto:

1.che sussiste concorso di persone nel reato fra professionista e cliente in caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti
2.che il reato di emissione di fatture inesistenti è da considerarsi comunque unitario, anche in presenza della emissione, nel corso dello stesso periodo di imposta, di una pluralità di fatture per operazioni inesistenti, al fine di evitare una possibile "duplicazione" dell'imputazione in relazione a elementi passivi fittizi esposti in un'unica dichiarazione.
Quanto al punto 1, la Suprema corte ha evidenziato che il giudice di appello ha ritenuto essenziale il ruolo della commercialista, non in quanto moglie del contribuente/imputato, bensì per due rilevanti circostanze:

•riguardo al reato di utilizzazione di fatture di acquisto false, perché presso il suo studio erano state rinvenute numerose fatture (fittizie) che non risultavano contabilizzate dalle imprese emittenti, ma che venivano annotate nella contabilità dell'imputato
•riguardo al reato di emissione di fatture fittizie, perché, sempre nello studio professionale, era stato rinvenuto un timbro identico a quello riportato sulle fatture false.
Relativamente agli altri capi di imputazione della sentenza impugnata, la Cassazione rileva la correttezza formale e materiale dell'operato della Corte d'appello, la quale, con motivazione adeguata e immune da vizi logici, ha accertato (anche attraverso l'assunzione di prove testimoniali) i seguenti elementi univocamente concordanti nel riconoscere la configurabilità delle imputazioni:
- che le fatture di che trattasi erano relative a operazioni inesistenti
- che le stesse erano state annotate nella contabilità dell'impresa emittente e utilizzate nella dichiarazione dei redditi del relativo periodo di imposta (cfr articolo 76 del Tuir)
- che le fatture passive, ideologicamente false, andavano a configurare costi simulati per permettere all'utilizzatore - in virtù del meccanismo che vede il reddito di impresa quale differenza tra ricavi conseguiti e spese sopportate (cfr articoli 55 e seguenti del Tuir) - l'abbattimento della base imponibile su cui calcolare le imposte (redditi e Iva) in evasione d'imposta.

Al riguardo, la Corte regolatrice evidenzia l'ineccepibilità dell'assunto della sentenza gravata nel considerare che il reato di cui all'articolo 2 Dlgs, che sanziona "chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi", non richiede la realizzazione del fine di evadere le imposte e, per l'effetto, il verificarsi del danno erariale, trattandosi di reato non di danno, ma di pericolo e di mera condotta.

Occorre a questo punto chiarire che per l'integrazione della fattispecie delittuosa di emissione di fatture per operazioni inesistenti, disciplinata dall'articolo 8 del Dlgs 74/2000, è sufficiente che l'emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l'evasione d'imposta (dolo specifico), senza che rilevi l'effettiva evasione, non essendo questo un tratto distintivo del reato (cfr Cassazione 26138/2010).

Nella specie, è stato infatti escluso il concorso tra chi si avvale di fatture per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo (Cassazione 10394/2010). Nella sentenza di primo grado, è scritto infatti chiaramente che i coniugi imputati vanno ritenuti responsabili del reato (articolo 8, comma 3, Dlgs 74/2000), avendo emesso le tre fatture per operazioni inesistenti con l'evidente finalità di consentire al terzo implicato, il quale le aveva indicate nella propria contabilità, l'evasione delle imposte sul reddito e sul valore aggiunto. Il terzo risponde invece del reato di cui all'articolo 2 per aver utilizzato dette fatture.

Ai sensi del comma 2 dell'articolo 8 del Dlgs 74/2000, è da considerarsi unitario il reato per fatturazione inesistente anche in presenza dell'emissione, nel corso del medesimo periodo di imposta, di una pluralità di fatture della stessa specie: in tal caso, sotto l'impero della vecchia normativa (articolo 4 della legge 516/1982), si aveva una pluralità di reati unificabili dal vincolo della continuazione (Cassazione 10207/1997).

Il giudice di legittimità, nel passaggio chiave della motivazione della sentenza, ha poi evidenziato che l'articolo 9 del Dlgs 74 (norma speciale rispetto a quella generale dell'articolo 110 del codice penale) esclude il concorso di persone, nei casi di emissione o utilizzazione di fatture false, solo qualora i due soggetti siano uno l'emittente e l'altro l'utilizzatore. In caso contrario, si incorrerebbe nel divieto del ne bis in idem, in quanto la medesima condotta sostanziale sarebbe punita due volte (Cassazione 24167/2003), (in tal caso, il pactum sceleris non è invece escluso secondo le regole ordinarie dettate dall'articolo 110).

Sicché, in ultima analisi, queste le conclusioni della Cassazione, la disciplina derogatoria alle regole del concorso di persone nel reato (per come fissata dall'articolo 9 del Dlgs. 74/2000) non esclude il concorso del commercialista nell'emissione di fatture per operazioni inesistenti (Cassazione 28341/2001), perché, se così non fosse, nella fattispecie in cui il delitto non sia portato a termine "accidentalmente", il soggetto, ad esempio l'istigatore, pur avendo concorso nel reato con un ruolo rilevante, andrebbe esente da sanzione, sia a titolo di concorso ex articolo 8 sia a titolo di tentativo ex articolo 2, in quanto l'articolo 6 del decreto legislativo 74 esclude, expressis verbis, la configurazione del tentativo per il delitto di cui a quest'ultima disposizione.



Fonte: Agenzia Entrate

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