È soggetto all’imposta sulla pubblicità qualsiasi mezzo di comunicazione con il pubblico che, indipendentemente dalla ragione e finalità della sua adozione, risulti obiettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili acquirenti e utenti, cui si rivolge, il nome, l'attività e il prodotto di una azienda. Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con sentenza n. 15449 del 30 giugno, ha accolto il ricorso dell'Amministrazione finanziaria.

Il fatto
La vicenda in esame concerne una società per azioni che impugna tre avvisi di accertamento emessi da un Comune, relativamente all’imposta di pubblicità dovuta per altrettante annualità, fondati sulla rilevazione della scritta portante l’acronimo della società, di sesquipedali dimensioni, sul tetto dei capannoni della propria azienda, pertanto da assoggettare al tributo locale quale presupposto dell’imposta pubblicitaria, come definito dall’articolo 5, comma 1, del Dlgs 507/1993 (è soggetta all'imposta sulla pubblicità la diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile).

Nella motivazione dei ricorsi introduttivi del giudizio la società asseriva che la scritta aveva esclusivamente la funzione di consentire di individuare il luogo di atterraggio alle mongolfiere partecipanti a un meeting sportivo, ma non costituiva affatto un messaggio pubblicitario, essendo a tal fine collocata in un luogo visibile solo dall'alto, non aperto o esposto al pubblico. Inoltre, la società si riteneva sottratta al tributo quale soggetto “diverso” dall’organizzatore della manifestazione sportiva, lamentando anche la mancata riduzione della tariffa per le fattispecie di durata inferiore a tre mesi.

La Commissione tributaria provinciale rigettava i ricorsi con sentenza che veniva confermata in appello, ma nuovamente rimessa in discussione davanti la Corte di cassazione, nella cui impugnazione sostanzialmente si denunciava violazione di legge (articoli 5, 7, 8, 10 e 12, Dlgs 507/1993), nonché vizi di motivazione in quanto nel caso di specie:
- la Commissione del riesame avrebbe erroneamente disattesa la valenza segnaletica delle scritte in questione
- propria carenza di legittimazione
- esclusione del requisito dell'esposizione al pubblico
- esclusiva riferibilità delle scritte alla manifestazione sportiva
- carattere temporaneo della pubblicità.

L’inquadramento normativo
Ai fini di un corretto inquadramento della vertenza, appare utile richiamare preliminarmente le disposizioni aventi a oggetto la delimitazione dell'ambito di applicazione del tributo sulla pubblicità, evidenziando che particolare rilevanza assume, al riguardo, il secondo comma dell'articolo 5 del Dlgs 504/1993, per effetto del quale sono tassabili solo “i messaggi pubblicitari diffusi nell'esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi ovvero finalizzati a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato”.
La norma, nell'escludere la tassazione della pubblicità non lucrativa, richiede che il messaggio pubblicitario afferisca all'esercizio di attività economiche e che sia proiettato verso la promozione della vendita dei beni, della prestazione dei servizi o dell'immagine del soggetto. Logica conseguenza è, quindi, l'intassabilità di quei messaggi privi di rilevanza economica o contenenti informazioni non aventi finalità pubblicitarie, quali le scritte “aperto”, “chiuso”, “divieto di transito”, “divieto di accesso ai non addetti ai lavori”, eccetera (cfr risoluzioni nn. 243/1995, 227/1996 e 41/1999). Come chiarito dalla Corte di cassazione (cfr sentenze nn. 12319/1995 e 7944/1997), il messaggio pubblicitario, per essere soggetto all'imposta “deve avere il suo punto di riferimento nella produzione o nella vendita o nella fornitura di servizi”, considerando che l'imposta comunale sulla pubblicità ha per oggetto messaggi di “pubblicità economica” diffusi nell'esercizio di attività imprenditoriale (sentenza n. 23573/2009).

La decisione
Con la sentenza n. 15449/2010, la Cassazione è tornata a occuparsi della questione dell'assoggettabilità all'imposizione sulla pubblicità di cartelli contenenti indicazioni in ordine alla localizzazione di industrie, di laboratori artigianali e di negozi, stabilendo che è assoggettata a imposta l’esposizione della scritta della denominazione dell’azienda sul tetto dei propri capannoni, anche se avente l’asserita funzione di consentire alle mongolfiere partecipanti a un meeting di individuare il luogo di atterraggio, se questa è visibile dall’alto. Infatti, pur assolvendo una funzione informativa, tali cartelli ne svolgono anche una pubblicitaria, risultando obiettivamente idonei a far conoscere indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili acquirenti il nome, l'attività e il prodotto di un'azienda.

Nello specifico, la Suprema corte rigetta tutti i motivi del ricorso, affermando preliminarmente che la deduzione della mera intenzione di segnalare il luogo di atterraggio, imposta dalla normativa specifica (onere che può essere assolto con qualsiasi altro mezzo di segnalazione diverso dalla scritta sui tetti della sede dell’impresa), non contrasta con l'oggettiva funzione pubblicitaria delle scritte stesse, correlata alla diffusione della ragione sociale dell'impresa. Sostanzialmente, quindi, il fatto che la scritta possa essere vista dai piani alti degli edifici o dai velivoli che sorvolavano la zona esclude l’assenza del requisito dell'esposizione al pubblico, in quanto tale modalità percettiva concreta, in termini pubblicitari, un significativo messaggio promozionale.

Pertanto, la Corte di legittimità ribadisce l’insegnamento contenuto nella sentenza n. 17852/2004, laddove ha affermato che tali cartelli, pur potendo essere qualificati come segnali di indicazione previsti dal codice della strada, sono caratterizzati da una vocazione eminentemente pubblicitaria, facilitando l'incontro tra potenziali clienti e impresa pubblicizzata e, quindi, promuovendo la domanda di beni e servizi di quest'ultima, indipendentemente dalla ragione e finalità della sua adozione.
Inoltre, l'esistenza di una utilità per la circolazione stradale non fa venire meno la funzione pubblicitaria che i segnali di industria comunque svolgono; conseguentemente essi restano soggetti all'imposta sulla pubblicità, non potendo trovare applicazione nemmeno l'esenzione prevista per le insegne di esercizio (articolo 17, Dlgs 507/1993).
Peraltro, un tale strumento di comunicazione con il pubblico è soggetto a imposta comunale sulla pubblicità, restando irrilevante il fatto che presenti o meno i caratteri dell’insegna (Cassazione, sentenza n. 15654/2004).
Non solo. La contraddittorietà della censura propugnata dalla ricorrente tra l’ammissione che le scritte potessero essere lette “dai piani alti dell'ospedale” e “dagli occupanti dei velivoli che sorvolavano la zona” e l’esclusione del requisito dell'esposizione al pubblico, riverbera i suoi effetti negativi anche sulla conseguente pretesa mancanza di legittimazione attiva, manifestando in tal modo il contribuente evidente confusione metodologica fra la “funzione segnaletica” e quella “obiettivamente pubblicitaria”. Per i giudici, nella fattispecie, quest’ultima funzione è l’unica a essere in evidenza e, quindi, il soggetto passivo d'imposta è la società ricorrente e non l’organizzatrice del meeting, “la cui ragione sociale risalta, a caratteri cubitali, dal tetto dei capannoni della propria azienda”.

Con riferimento, poi, all’asserito carattere temporaneo della pubblicità, la Corte regolatrice conclude che il termine per accertare l’imposta decorre dal momento in cui la dichiarazione doveva essere presentata, il quale nasce a norma dell’articolo 8 del Dlgs 507/1993 appena “prima di iniziare la pubblicità”, senza che assuma rilievo il fatto che, in ipotesi di omessa dichiarazione, la pubblicità si presume effettuata in ogni caso con decorrenza dal primo gennaio dell'anno in cui è stata accertata (comma 4). Ciò considerato che la decorrenza cui detta norma si riferisce attiene unicamente alla misura del tributo che l’omittente è tenuto a versare, ma non riguarda, invece, la decorrenza del termine biennale di decadenza del Comune dall'esercizio del potere impositivo che si verifica, ai sensi dell'articolo 10 dello stesso decreto (vigente ratione temporis), dopo il decorso di due anni “dalla data in cui la dichiarazione è stata o avrebbe dovuto essere presentata”. A tal fine, è onere del contribuente dimostrare che la pubblicità sia stata intrapresa, in mancanza di dichiarazione, oltre due anni prima della notifica dell'accertamento dell’ufficio (cfr Cassazione, sentenze nn. 14483/2003 e 5486/2008).

Giova, per completezza, richiamare anche la sentenza n. 23383/2009, con la quale, uniformandosi alla precedente pronuncia n. 17852/2004, la Cassazione, ha stabilito che i cartelli indicatori della sede di stabilimenti, industrie, laboratori artigianali, ed esercizi commerciali, che facilitano il reperimento di un’azienda o di un punto vendita, se contengono il nominativo della ditta vanno considerati a ogni effetto come forme pubblicitarie e, come tali, scontano l’imposta sulla pubblicità. Con detta pronuncia, la Sezione tributaria conferma l'interpretazione estensiva del presupposto di applicazione dell'imposta, fornendo anche un criterio guida che consente di distinguere la cartellonistica stradale vera e propria (non soggetta al tributo) dai segni distintivi che, pur illustrando l'itinerario per raggiungere gli stabilimenti di produzione, sono invece connotati da un’insita funzione pubblicitaria.
Nella prima categoria, che annovera, per espressa previsione normativa, anche i "segnali turistici e di territorio", rientra la segnaletica priva di contenuto reclamistico e avente l'esclusiva funzione di fornire agli utenti informazioni utili per la guida e l’individuazione di località, itinerari, servizi e impianti. Proprio in ragione dell’"inidoneità pubblicitaria", la giurisprudenza di legittimità (cfr sentenze nn. 15654/2004, 17852/2004 e 4905/2005) e la prassi amministrativa (risoluzioni nn. 262/1995, 48/1996 e 151/1998) condividono l'esclusione di rilevanza ai fini tributari di detta segnaletica.
Diverso discorso deve essere fatto, all’inverso, per i detti segnali di industria. Secondo il riferito orientamento giurisprudenziale, i segnali di avvio a fabbriche e stabilimenti, ove contengano il riferimento nominativo a una determinata impresa, svolgono, per la loro sostanziale natura di insegne, anche una funzione pubblicitaria tassabile.


Fonte: Agenzia Entrate

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