Le sanzioni Iva possono essere irrogate senza il preventivo avviso al contribuente, ma il ruolo deve essere motivato tutte le volte in cui il destinatario non è in grado di conoscere le ragioni dell'irrogazione delle sanzioni stesse.
Con la sentenza n. 8071 del 2 aprile, la sezione tributaria della Corte di cassazione ha respinto il motivo principale di un ricorso presentato da una società a responsabilità limitata, che contestava la possibilità di irrogare le sanzioni senza il preventivo avviso del contribuente. In tal modo, la Corte ha concluso la vicenda risolvendo anche l'interrogativo se, in materia di Iva, un'iscrizione a ruolo senza preavviso possa considerarsi legittima.

Il fatto
La vicenda processuale concerne un contribuente a cui era stata notificata una cartella di pagamento relativa a omessi versamenti Iva per l'anno d'imposta 1995, senza che la stessa fosse stata preceduta da alcun preavviso di pagamento, in quanto l'ufficio aveva effettuato direttamente l'iscrizione a ruolo. L'atto esattivo viene opposto con ricorso alla competente Commissione tributaria provinciale, nel quale la società ricorrente eccepiva vizi di legittimità (violazione degli articoli 60, comma 6, del Dpr 633/1972, e 67, comma 2, lettera a), del Dpr 43/1988), proprio per il fatto che l'ufficio Iva non aveva fatto precedere l'iscrizione a ruolo dalla notifica dell'avviso di pagamento (la seconda disposizione, abrogata con effetto dal 1° luglio 1999 dall'articolo 68 del Dlgs 112/1999, disponeva che, se a seguito di invito al pagamento sono infruttuosamente scaduti i termini di versamento delle somme di cui al comma 1, l'ufficio finanziario competente forma il ruolo relativo ai contribuenti per i quali si procede alla riscossione coattiva a sensi dell'articolo 11, comma 3, del Dpr 602/1973).
Il motivo principale dell'articolato ricorso veniva rigettato dalla Ctp, la cui sentenza è stata gravata da appello della società soccombente sulla base dei seguenti motivi:
1. contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di primo grado, l'obbligo di emanazione dell'avviso di pagamento non sarebbe stato abrogato, neppure implicitamente, dalla norma successiva
2. anche in ipotesi di presunta abrogazione di detto obbligo, tale circostanza non esonerava comunque l'ufficio dalla necessità di comunicazione dell'avviso bonario.

L'appello veniva analogamente rigettato dalla Commissione tributaria regionale con sentenza opposta in Cassazione, ove il contribuente insisteva nelle contestazioni esperite nei precedenti gradi del giudizio, in particolare sulla necessità che l'atto di irrogazione delle sanzioni non potesse essere legittimamente notificato dall'ente impositore senza il preventivo avviso al contribuente (ex articolo 60, comma 6, Dpr 633/1972).

Il ruolo e la cartella di pagamento
Prima di analizzare la decisione della Corte di legittimità, occorre rilevare che l'attività di riscossione dei tributi per il tramite del ruolo, secondo il Dpr 602/1973 (articoli 24 e 25), si compone di tre fasi:
1. iscrizione a ruolo
2. consegna del ruolo all'agente della riscossione
3. formazione e successiva notifica della cartella di pagamento.


A ciò va anche premesso che il ruolo, contenente l'elenco dei debitori e delle somme da loro dovute, è formato dall'ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario (soggetto cui è affidato in concessione il servizio di riscossione).
Il ruolo rappresenta il momento in cui l'ente impositore procede all'individuazione delle situazioni creditorie che può vantare nei confronti di un medesimo soggetto al quale chiede la corresponsione delle somme dovute.
Anche se la concreta esecuzione del ruolo è affidata all'agente della riscossione, attraverso la cosiddetta "ingiunzione fiscale", la titolarità del credito di imposta spetta sempre esclusivamente all'ufficio finanziario, in quanto il concessionario svolge unicamente le attività occorrenti alla realizzazione della riscossione delle somme che, alle scadenze, devono essere riversate all'ente titolare della potestà impositiva.
Una volta formato e reso esecutivo, il ruolo contiene l'evidenza di tutti i debiti del medesimo contribuente che ha domicilio fiscale nell'ambito territoriale in cui opera l'agente della riscossione, in relazione ai crediti vantati da parte di tutti gli enti impositori che si avvalgono delle attività di riscossione di una delle società del gruppo Equitalia Spa.
I ruoli vengono poi inviati all'agente della riscossione territorialmente competente in relazione al domicilio fiscale di residenza del destinatario.

Dalla notifica della cartella di pagamento (articolo 26 Dpr 602/1973), quale atto di intimazione al pagamento e di avviso di mora, decorre il termine di 60 giorni entro cui il contribuente, dopo aver preso visione delle pretese contenute nell'atto impositivo notificatogli, può procedere alla corresponsione delle somme iscritte (se ritiene la debenza legittima), ovvero, in caso di somme indebitamente pretese, presentare all'ente impositore istanza di annullamento in autotutela del ruolo e, in mancanza di tempestivo accoglimento della predetta istanza, ricorso all'organo giurisdizionale competente.
In assenza di dette attività (pagamento o impugnazione), l'agente della riscossione, decorso il termine di legge assegnato (60 giorni dalla notifica della cartella), può dare inizio alla procedura di esecuzione forzata in danno del contribuente/debitore inadempiente.

La decisione della Cassazione
Con la sentenza n. 8071/2010, il Collegio di legittimità rigetta la censura principale concernente la possibilità di irrogare sanzioni non precedute da preavviso al contribuente.
Sulla questione, la Corte ritiene infondato il motivo del contendere, osservando che la giurisprudenza di legittimità (cfr, Cassazione, sentenze nn. 7160/2009, 22437/2008, 18022/2006 e 907/2002) ha conformemente affermato che, in tema di Iva e in ipotesi di sanzioni liquidate ai sensi degli articoli 54-bis e 60 del Dpr 633/1972, l'articolo 17 del Dlgs 472/1997 prevede l'irrogazione immediata delle sanzioni dovute mediante iscrizione a ruolo e senza previa contestazione. Infatti, il comma 3 dell'articolo 17 dispone testualmente che "possono essere irrogate mediante iscrizione a ruolo, senza previa contestazione, le sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi, ancorché risultante da liquidazioni eseguite ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 197, n. 600, … e ai sensi degli articoli 54-bis e 60, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633".

Quest'ultima disposizione, nel testo vigente ratione temporis, applicabile alla fattispecie in esame, prevedeva che l'imposta non versata, risultante dalla dichiarazione annuale nonché di quella determinata a seguito della correzione di errori materiali o di calcolo rilevati dall'ufficio in sede di controllo della dichiarazione, è iscritta direttamente nei ruoli a titolo definitivo unitamente ai relativi interessi e connesse penalità, aggiungendo nel prosieguo che "l'ufficio, prima dell'iscrizione a ruolo, invita il contribuente a versare le somme dovute entro trenta giorni dal ricevimento dell'avviso, con applicazione della soprattassa pari al 60 per cento della somma non versata o versata in meno".

Il Collegio sostiene che la nuova normativa sanzionatoria - entrata in vigore il 1° aprile 1998 - abbia "implicitamente" abrogato il riferito articolo 60, comma 6, Dpr 633/1972, nella parte in cui prevedeva l'invio da parte dell'ufficio competente del preventivo invito al versamento.
In tal modo, la Suprema corte ritiene che l'assunto della ricorrente si rivela del tutto privo di significato, in quanto il tenore letterale della disposizione rende palese che l'unica funzione dell'invito a pagare in essa menzionato è quella di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie della realizzata omissione di versamento del dovuto, restando fermo e incondizionato l'obbligo di corresponsione integrale di tale tributo e degli interessi sul medesimo medio tempore maturati. Con la conseguenza che la mancata emissione e notificazione dell'invito a pagare sono del tutto insuscettibili di incidere - escludendolo - sul potere dell'Amministrazione finanziaria di iscrivere direttamente a ruolo l'Iva dovuta e non versata, con i relativi interessi, restando impregiudicato, nel caso di diretta iscrizione a ruolo anche della sanzione in misura maggiore di quella prevista per il caso di notificazione dell'invito, e di ottemperanza a questo, il diritto del contribuente di contestare la legittimità del così esplicitato esercizio della potestà sanzionatoria.

In sostanza, la lettura testuale dell'articolo 60 rende evidente come l'unica funzione che deve ascriversi all'incombenza dell'emissione dell'avviso di pagamento era quella di consentire al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie della realizzata omissione del versamento del tributo dovuto, atteso che la (nuova) sanzione è stata fissata in misura comunque inferiore a quella cui poteva accedersi in adesione all'invito (30% rispetto al più gravoso 60% dovuto in precedenza). In tal modo, con la nuova normativa, improntata al principio del favor rei (articolo 3, Dlgs 472/1997), il legislatore sembra che abbia recato un trattamento più favorevole al contribuente.

D'altronde, anche la circolare 119/1996 aveva chiarito al riguardo che l'emissione dell'avviso di pagamento, pur avendo carattere obbligatorio in quanto inserita nel procedimento di riscossione del tributo, non comporta alcuna conseguenza in caso di mancata notifica dell'atto in questione. Infatti, l'avviso di pagamento di cui trattasi non era neppure atto impugnabile (ex articolo 19 del Dlgs 546/1992), mentre è suscettibile di essere opposta la successiva cartella di pagamento, nei cui confronti far valere tutti i vizi inerenti.
Cosicché, non viene affatto leso il principio del diritto di difesa del contribuente (articolo 24 della Costituzione).
Per questo aspetto, quindi, la superfluità del preventivo invito al pagamento, come correttamente affermato dal giudice di legittimità, investe anche la carenza di interesse del contribuente a formulare censure sotto il profilo dell'omissione suddetta.

Motivazione degli atti
Nella sentenza in esame, la Corte di cassazione ha poi ribadito la necessità sostanziale che gli atti della pubblica amministrazione siano sempre motivati, alla cui regola generale non fanno eccezione gli avvisi di irrogazione delle sanzioni, in quanto l'obbligo di motivazione è previsto, per principio generale, tutte le volte che il contribuente non è in grado di conoscere le ragioni poste a base dell'atto impositivo stesso (cfr, Cassazione, sentenze nn. 14845/2003 e 1328/2007).
Infatti, l'articolo 7 della legge 212/2000 (Statuto del contribuente) generalizza l'obbligo di motivazione già codificato dalla legge 241/1990 e prevede che, in ogni comunicazione ai contribuenti, siano specificati i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che sono alla base dell'atto impositivo emanato. In particolare, poi, il comma 3 dell'articolo 7 dispone che "sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria".

Non diversamente, quindi, in attuazione dei principi suddetti, il Dlgs 32/2001, nell'apportare una serie di revisioni complessive all'ordinamento tributario, ha stabilito che "nel ruolo devono essere comunque indicati il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento, ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all'iscrizione". La disposizione tende a rispondere all'esigenza di porre il contribuente in condizione di collegare, in maniera intellegibile, il provvedimento costituente titolo per l'esecuzione forzata con i relativi atti presupposti, nei quali ricercare il motivo e la ragione giustificativa della pretesa fatta valere dall'ente impositore nei suoi confronti.



Fonte: Agenzia Entrate

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