È legittima l’iscrizione a ruolo degli importi richiesti con un atto di accertamento che si sia reso definitivo per mancata riassunzione del giudizio di merito dopo una sentenza di cassazione con rinvio. Così, con la pronuncia n. 42/2010, la seconda sezione della Commissione tributaria provinciale di Teramo ha ribadito l’orientamento della giurisprudenza sul punto, rilevando altresì che tale conclusione non contrasta con il principio della parità processuale delle parti fissata dall’articolo 111, secondo comma, della Costituzione.

La vicenda processuale
Il 2 marzo 2009, l’agente della riscossione notificava una cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo di importi richiesti dall’ufficio delle Entrate di Atri, con atto di accertamento del 22 gennaio 1998.
Secondo l’ufficio, l’atto impositivo – a suo tempo impugnato in sede giurisdizionale – era divenuto definitivo per mancata riassunzione del giudizio tributario, a seguito del rinvio disposto dalla Cassazione con sentenza n. 12280/2007, che aveva accolto il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Aquila.
L’interessato impugnava la cartella davanti alla Ctp di Teramo. Questa, pur riconoscendo alla mancata riassunzione il potere di estinguere l’intero processo, affermava che tale effetto caducatorio non avrebbe travolto il decisum divenuto irretrattabile.
In altre parole, secondo il ricorrente, nello specifico caso, la sentenza di legittimità non aveva annullato, ma solo omesso di pronunciarsi su un capo della pronuncia di seconde cure a lui favorevole, che sarebbe pertanto divenuto definitivo, con conseguente illegittimità dell’atto di accertamento e della conseguente cartella di pagamento.

Costituitosi in giudizio, l’ufficio di Atri difendeva la correttezza del proprio operato, evidenziando in particolare l’improponibilità di eccezioni di merito riguardanti l’accertamento nel giudizio promosso contro la susseguente cartella di pagamento emessa, in questo caso, a seguito di mancata riassunzione dopo la pronuncia di cassazione con rinvio. Evidenziava, inoltre, che le stesse censure di merito sulla pretesa tributaria avrebbero, al più, dovuto essere proposte nel giudizio di rinvio che peraltro il contribuente aveva omesso di instaurare.

La pronuncia della Ctp di Teramo
La Commissione tributaria provinciale ha respinto le doglianze dell’interessato, rigettando il ricorso e condannando altresì l’istante alle spese del giudizio.
In prima battuta, i giudici teramani hanno ritenuto di disattendere la censura di illegittimità costituzionale dell’articolo 63 del Dlgs 546/1992 sollevata dal contribuente per asserita violazione dell’articolo 111, secondo comma, della Costituzione (principio della parità processuale delle parti), rilevando che, sul piano letterale, la norma “è chiara nel senso che consente alle parti in causa di attivarsi entro un fissato termine per evitare che il processo si estingua” e quindi “mette le parti in causa in una condizione di parità nel senso che chi ha interesse ad evitare la estinzione del processo può riassumerlo dinanzi alla Commissione Tributaria indicata nel rinvio”.

Con riferimento, poi, alle conseguenze della mancata riassunzione a seguito di una sentenza di cassazione con rinvio, la Commissione ha rilevato che, con l’estinzione del processo tributario, “l’accertamento fiscale da cui ha tratto origine il processo medesimo, successivamente estinto acquisisce efficacia definitiva, restando salve le sole parti della sentenza non oggetto di impugnazione”.
Il collegio tributario ha sottolineato, poi, che successivamente alla pronuncia di cassazione con rinvio di una sentenza, relativa alla legittimità di un atto impositivo, “è da escludere che, al di fuori della riassunzione, possa essere adito nuovamente il Giudice di merito onde chiedere l’annullamento del provvedimento amministrativo già a suo tempo impugnato, il quale, a seguito della mancala riassunzione, è divenuto definitivo e quindi non più contestabile giudizialmente”.

In definitiva, secondo la pronuncia in esame, se la mancata riassunzione porta all’estinzione del processo e, quindi, all’irrilevanza delle decisioni di merito, siano esse o meno favorevoli all’ufficio, l’atto amministrativo risulta come non impugnato, senza che tuttavia, una tale situazione possa assumere i connotati di una disparità di trattamento procedimentale tra le parti del rapporto tributario, in quanto, precisa ancora la Ctp, il citato articolo 63 offre la possibilità a entrambe le parti di riassumere la causa mentre “in assenza di tale atto, ripristina la primitiva potestà impositiva che nel caso si è manifestata con l’emissione dell’atto accertativo”.

Considerazioni
L’articolo 63 del Dlgs 546/1992 prevede al comma 1 che la riassunzione del giudizio tributario di merito deve avvenire “entro il termine perentorio di un anno dalla pubblicazione della sentenza” della Suprema corte che ha cassato la sentenza, rinviando la causa al giudice di primo o secondo grado.
Il successivo comma 2 stabilisce che, se la riassunzione non avviene entro il predetto termine o si avvera successivamente a essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, “l’intero processo si estingue”.
Al riguardo, la pronuncia in rassegna conferma l’orientamento della giurisprudenza secondo cui, in conseguenza della mancata riassunzione dopo l’intervento di una sentenza di cassazione con rinvio, l’atto impositivo originariamente impugnato diviene definitivo, legittimando l’iscrizione a ruolo di imposte, sanzioni e interessi.
A tal proposito è opportuno richiamare il conforme avviso espresso, in una situazione analoga, dalla Commissione tributaria provinciale di Roma con la sentenza n. 226/2009 (vedi articolo “Senza riassunzione nel merito, giudizio “chiuso” cartella “aperta”, su Fiscooggi del 12 giugno 2009).


Fonte: Agenzia Entrate

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