È sempre possibile per l’Amministrazione finanziaria, in pendenza del termine fissato dall’articolo 43 del Dpr 600/1973, agire in via di autotutela e con ciò, di fronte a un atto di accertamento che appaia illegittimo, annullarlo e sostituirlo con un nuovo atto, questa volta immune dai vizi denunciati. Di contro, il potere di accertamento integrativo presuppone che, al verificarsi della conoscenza di nuovi elementi da parte dell’ufficio, si proceda a emanare un nuovo atto impositivo, che integra e modifica l’avviso di accertamento originariamente adottato senza però annullarlo.
Con la sentenza n. 2424 del 3 febbraio 2010, la Corte di cassazione ha affrontato la tematica del potere di autotutela e dei suoi effetti rispetto all’atto originariamente adottato, precisandone la differenza rispetto al potere di accertamento integrativo. Si tratta di un intervento giurisprudenziale interessante, nella misura in cui pone chiarezza anche concettuale su fattispecie diverse tra loro. Tuttavia, molti dei commenti apparsi sulla sentenza in esame non sembrano avere effettivamente colto il significato delle argomentazioni della Cassazione. Da qui l’opportunità di un approfondimento della questione.

Il fatto
La questione sottoposta all’attenzione della Corte trae origine da un avviso di accertamento emesso a seguito di indagini bancarie per la rettifica di reddito di lavoro autonomo relativo all’anno 1993. Impugnato l’accertamento, il contribuente ne aveva eccepita la nullità per omessa specificazione delle aliquote applicate in violazione dell’articolo 42 del Dpr 600/1973. Come ricordato dalla stessa Cassazione nella motivazione della sentenza in commento, l’ufficio si era limitato a indicare nell’atto le aliquote con riferimento alla misura massima e a quella minima.

Nelle more del giudizio davanti la Commissione tributaria provinciale, l’ufficio aveva emesso un ulteriore avviso di accertamento, definito “integrativo”, nel quale venivano questa volta specificatamente indicate le aliquote applicate. Va detto che il contribuente aveva impugnato anche l’accertamento “integrativo”. La Commissione tributaria provinciale, chiamata a pronunciarsi sull’avviso di accertamento originario, aveva deciso per il rigetto del ricorso.

In appello il contribuente aveva chiesto la riforma della sentenza di primo grado. Di contrario avviso era stata la Ctr, per i cui giudici l’accertamento “integrativo” aveva annullato e sostituito l’originario atto solo ed esclusivamente nella parte relativa all’indicazione delle aliquote.

Così, con ricorso in Cassazione il contribuente ha riproposto la questione della esatta qualificazione del nuovo avviso rispetto all’originario accertamento; chiedendo, cioè, di verificare se si trattava di nuovo accertamento emesso in via di autotutela, e quindi di nuovo atto autonomamente impugnabile, ovvero di una mera integrazione del precedente, come ritenuto dai giudici del merito.

Potere di accertamento integrativo e autotutela
L’autotutela ha ad oggetto un precedente atto di accertamento illegittimo che viene annullato ed, eventualmente, sostituito. L’accertamento integrativo, invece, non annulla né sostituisce il precedente atto emanato, ma in un certo qual modo si aggiunge a questo, anche integrandolo.
Questo è il principio da cui parte la Cassazione, per poi analizzare se nel caso concreto si tratti di accertamento integrativo, come riportato nell’atto, ovvero di un’autotutela.

Ebbene, una volta esaminate le eccezioni addotte dalle parti, la Suprema corte afferma che, nel caso di avviso di accertamento mancante dell’indicazione dell’aliquota applicata, pertanto nullo per violazione dei principi di cui all’articolo 42 del Dpr 600/1973, l’emanazione di un successivo nuovo atto, immune dai vizi indicati, costituisce esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria, e non del potere di accertamento integrativo.

Una volta correttamente inquadrato l’atto, la Corte ritiene opportuno sottolineare le conseguenze, sul piano processuale, per il giudizio avente ad oggetto la legittimità dell’atto di accertamento originario. Infatti, l’esercizio del potere di autotutela determina la caducazione dell’avviso originario. Ne consegue che è impossibile per il giudice emanare una pronuncia di nullità di un atto che, nei fatti, è già stato annullato dall’Amministrazione. Di contro, il giudice deve prendere atto del venir meno di ogni interesse alla prosecuzione del giudizio, con ciò dichiarando la cessata materia del contendere.

La Cassazione si preoccupa altresì di chiarire quali siano gli effetti giuridici ricollegabili alla dichiarazione di cessata materia del contendere:
•caducazione della sentenza impugnata, differente della rinuncia al ricorso che ne determina il passaggio in giudicato; questo principio si spiega considerando che, mentre la rinuncia al ricorso proposto avverso la sentenza assume il significato di una rinuncia al giudizio di impugnazione e, quindi, comporta il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, di contro il venir meno dell’interesse ad agire in giudizio determina la caducazione della sentenza perché è l’interesse al processo e non all’impugnazione che è venuto meno
•assoluta inidoneità della sentenza di cessazione della materia del contendere ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, se non limitatamente al profilo processuale del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio; del resto, si consideri che la sentenza non può che esplicare effetti limitatamente all’oggetto del giudizio; nel caso di specie, l’atto originario è venuto meno ed è stato sostituito (e non integrato) da un nuovo atto, rispetto al quale il precedente giudizio non può produrre effetti.


Fonte: Agenzia Entrate

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