La rettifica operata dall’ufficio è legittima anche quando si basa su un solo parametro, nella specie sull’elemento della superficie del locale ove si svolge l’attività del contribuente.

E’ quanto stabilito dalla sentenza n. 25129 del 30 novembre, con la quale la Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria annullando l’immotivata sentenza impugnata.

La controversia concerne l’impugnazione di avviso di rettifica con il quale il preesistente ufficio Iva, sulla scorta di analogo atto di accertamento dell’ufficio Imposte dirette, contestava l’omessa denuncia di corrispettivi conseguiti, impugnazione che veniva respinta in primo grado ma ribaltata in appello dalla Commissione tributaria regionale, la quale, nell’annullare l’atto impositivo, rilevava che l’avviso di accertamento mediante il quale l’ufficio Imposte aveva rettificato la dichiarazione dei redditi del contribuente con applicazione di coefficienti di congruità dei corrispettivi e dei componenti positivi e negativi di reddito previsti dal Dpcm 16 maggio 1989 non poteva ritenersi “sufficientemente” attendibile in quanto tale ricostruzione reddituale era avvenuta prendendo a base il solo parametro costituito dalla superficie del locale in cui si svolgeva l’attività del contribuente.

L’Amministrazione finanziaria soccombente contestava l’operato della Commissione del riesame in forza di un unico motivo col quale, deducendo illogicità manifesta della motivazione nonché violazione di legge (articoli 11 e 12 del Dl 69/1989, convertito in legge 154/1989, e Dpcm del 1989), argomentava:
1. che nell’atto impositivo l’ufficio non aveva tenuto esclusivamente conto della superficie del locale dell’impresa, ma anche di ulteriori elementi, quali i consumi e i beni strumentali impiegati nell’attività
2. che nessuna disposizione normativa autorizzava l’abbandono dell’attività accertativa in presenza di un solo parametro (diverso dal caso contemplato dall’articolo 4 del Dm 10 settembre 1992, ove l’ufficio ha la facoltà di non procedere all’accertamento qualora il reddito sia stato determinato sulla base di uno soltanto degli indicatori considerati dal decreto stesso e risulti palesemente incongruente per eccesso con quello determinabile sulla base di altri elementi in suo possesso o successivamente acquisiti)
3. che l’atto impugnato rinviava legittimamente all’accertamento effettuato dalle imposte dirette, immotivatamente ritenuto non attendibile dal giudice dell’appello.

La decisione della Cassazione
Il giudice di legittimità ritiene meritevole di accoglimento la censura prospettata dall’Amministrazione ricorrente, rilevando che sul testo dell’articolo 54 del Dpr 633/1972, applicabile ratione temporis, consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr, ex multis, Cassazione 9100/2001, 19837/2005, 4222/2006, 8255/2008, 12385/2009) ha affermato il principio di diritto che, in tema di Iva, l’ufficio può legittimamente limitarsi ad accertare, in base agli elementi emergenti da segnalazioni provenienti da altri soggetti pubblici, l’imposta o la maggiore imposta dovuta, “prescindendo da una preventiva istruttoria” e che l’uso di elementi acquisiti nell’ambito di procedure riguardanti altri soggetti non viola le disposizioni che regolano l’accertamento o il principio del contraddittorio. In tal caso, l’ufficio prescinde dalla preventiva istruttoria trattandosi di ipotesi diversa da quella regolata dall’articolo 12 del Dl 69/1989, che prevede invece una specifica procedura (comprendente la richiesta di chiarimenti al contribuente) per la rettifica dei corrispettivi, compensi e ricavi dichiarati, con la determinazione induttiva di essi dai coefficienti indicati nel precedente articolo 11 o da altri elementi relativi al singolo contribuente.

Ribadisce inoltre la Corte che, nel caso di specie, l’accertamento analitico è intervenuto a seguito dell’atto d’obbligo costituito dalla comunicazione dell’ufficio delle imposte che aveva provveduto a rettificare la dichiarazione dei redditi del contribuente applicando i coefficienti di congruità.
Di seguito, la motivazione della sentenza 25129/2009 si basa sul presupposto che nel rapporto di collaborazione tra i preesistenti uffici finanziari, articolati in distinte strutture territoriali (problema ora superato con l’unificazione operativa delle agenzie delle Entrate), la comunicazione dall’una all’altra articolazione del ministero delle Finanze, se costituisce un atto dovuto in ambito amministrativo al fine di essere posta a base del relativo accertamento, tuttavia in sede processuale tale atto propulsivo non è “indiscutibile”, come qualsiasi altra “segnalazione”, nel senso che il giudice è libero di valutarlo secondo il suo prudente apprezzamento (articolo 116 cpc) come ogni elemento posto a base di una rettifica. Ma affinché la valutazione degli elementi emergenti dalla suddetta segnalazione possa essere trascurata occorre che avvenga, al pari di ogni altro presupposto impositivo, soltanto sulla base di “congrua motivazione”.

Sul punto, la Commissione regionale ha ritenuta l’inattendibilità degli elementi desumibili dal contestato avviso di accertamento in quanto basato su di un “unico parametro”, ma non ha esplicitato le ragioni logiche e giuridiche atte a sostenere l‘affermazione, tanto più che nessuna disposizione dell’ordinamento tributario prevede che un avviso di accertamento non possa essere fondato su un parametro soltanto.
Pertanto, la Suprema corte “sanziona” tale modus operandi del giudice di appello con l’annullamento del provvedimento impugnato, trattandosi di motivazione non adeguatamente circostanziata, con l’effetto di risultare assolutamente apodittica e incongruente. In ciò, si noti, risiede in ultima analisi il quid pluris della sentenza in rassegna, che la connota dell’elemento della novità rispetto a precedenti giudicati di specie, facendole assumere inusitata coloritura processuale.

Precedenti giurisprudenziali
Sull’argomento dell’accertamento basato sulle segnalazioni dell’ufficio Imposte dirette si ricorda, inoltre, che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, l’applicazione diretta dei principi costituzionali di uguaglianza, legalità, imparzialità amministrativa e capacità contributiva, stabiliti dagli articoli 3, 97 e 53 della Carta, comporta che, anche in difetto di un’espressa previsione legislativa, il valore accertato dall’Amministrazione finanziaria ai fini applicativi di un’imposta (nella specie, l’Irpef) vincola la stessa Amministrazione anche in riferimento all’applicazione di altri tributi (nel caso, l’Iva), ove i fatti economici siano i medesimi e le singole leggi d’imposta non stabiliscano differenti criteri di valutazione, senza che assuma alcun rilievo la circostanza che, per la prima imposta, il contribuente abbia usufruito del condono fiscale, rimanendo gli effetti di tale beneficio circoscritti nell’ambito esclusivo dell’imposta per cui è stato richiesto il condono (Cassazione 21021/2009, 19321/2006, 792/2003, 4117/2002).

Logica e diritto nella motivazione
Si aggiunge che la funzione della motivazione di ogni provvedimento giurisdizionale è quella essenziale di evidenziare l’iter seguito dal giudicante e da cui deve derivare, con consequenzialità logica necessaria, la soluzione adottata, in modo da consentire ai soggetti interessati una adeguata attività di controllo e difensiva.
Il vizio sussiste nel caso in cui manchi l’esposizione dei motivi oppure allorché i motivi esposti non siano in alcun modo idonei a far comprendere le ragioni della decisione.
Occorre, dunque, prendere in considerazione l’oggetto del giudizio, al fine di verificare se i motivi esplicitati nella sentenza siano idonei o meno a far comprendere le ragioni del convincimento del giudice.
E’ evidente che la sentenza deve risultare obiettivamente completa nell’enunciazione delle fonti del convincimento e immune da vizi logici, soddisfacendo all’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo.
Nel caso in cui, ad esempio, si tratti di controversie relative alla valutazione di beni, il giudizio di stima deve essere fondato non su elementi generici e astratti bensì concreti e specifici, onde consentire il controllo dell’iter seguito dal giudice per le sue determinazioni (Cassazione 2607/1976, 532/1975).

Allo stesso modo non soddisfano l’obbligo di motivazione richiesto dalla legge la mera enunciazione di elementi descrittivi privi di riscontro e l’esternazione di annotazioni generiche e non precisamente correlate alla fattispecie decisa. Così, sussiste difetto di motivazione censurabile quando essa è meramente apparente perché riferibile a qualsiasi fattispecie ed estremamente generica (Cassazione 4453/1986).
In definitiva, la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cassazione 1944/2001, 13990/2003).


Fonte: Agenzia Entrate

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