In tema di licenziamento collettivo per riduzione del personale, la S.C. precisa i limiti inerenti la possibilità che la comparazione dei lavoratori al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità interessi non l'intera azienda, ma la singola unità produttiva ovvero il settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò sia obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale.La sentenza in epigrafe ha affermato che, in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la comparazione dei lavoratori al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità non deve necessariamente interessare l'intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell'imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico - produttive, nell'ambito della singola unità produttiva ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non è il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma è obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale.

All'interno, poi, dell'unità o settore suddetti, assume rilievo non la categoria di inquadramento - la quale constando di più profili è scarsamente significativa della reale organizzazione del lavoro - ma il profilo professionale, come si deduce dall'art. 4 della legge n. 223 del 1991, dove la categoria è menzionata solo tra i dati da comunicare una volta che la procedura è esaurita (comma nono) e non tra quelli finalizzati a limitare il novero dei lavoratori oggetto della scelta (comma terzo).

La Suprema Corte si ricollega così al proprio precedente, Sez. Lavoro, sentenza n. 10590 del 19 maggio 2005, che aveva affermato identico principio. La tematica è stata approfondita anche da Cass., Sez. Lavoro, sentenza n. 13783 del 15 giugno 2006, secondo la quale, in materia di licenziamenti collettivi, ai fini della corretta applicazione del criterio delle esigenze tecnico-produttive dell'azienda, previsto dall'art. 5 della legge n. 223 del 1991 per l'individuazione dei lavoratori da licenziare, la comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., inteso come regola di equilibrata conciliazione dei conflittuali interessi delle parti. Pertanto, seppure l'applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità può essere ristretta in ambito più limitato rispetto al "complesso aziendale", richiamato dal suddetto art. 5 della legge n. 223 del 1991, ciò, tuttavia, non può avvenire in base ad una determinazione unilaterale del datore di lavoro ma richiede che la predeterminazione del limitato campo di selezione sia giustificato dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative che hanno dato luogo alla riduzione del personale.

In base a tali considerazioni, quindi, nei casi in cui il datore di lavoro, che procede alla riduzione del personale in virtù dell'art. 24 della stessa legge n. 223 del 1991, intenda sopprimere, in applicazione del riportato criterio tecnico-produttivo, un reparto della sua impresa, non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se detti lavoratori sono idonei - per acquisite esperienze e per pregresso e frequente svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda con positivi risultati - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti. (Nella specie, alla stregua dei riferiti principi, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata ritenuta illegittima la scelta datoriale dei lavoratori solo perché addetti al reparto lavorativo soppresso, trascurando così di tenere conto che gli stessi avevano, con frequenza ed in tempi non remoti, sostituito colleghi addetti ad altri reparti con un'indubbia e non contestata professionalità, come era risultato attestato sia dal fatto che spesso si era verificata tra i lavoratori dell'azienda un mutamento di mansioni ed un trasferimento nelle diverse strutture aziendali, sia dalla circostanza che dopo l'intervenuto licenziamento erano stati assunti nuovi lavoratori chiamati a svolgere proprio le mansioni che i licenziati avevano in precedenza esercitato).

Sulla base dei principi sopra espressi, cui è data continuità, la sentenza in epigrafe ritiene che è dunque arbitaria ed illegittima ogni decisione del datore diretta a limitare l'ambito di selezione ad un singolo settore o ad un reparto, se ciò non sia strettamente giustificato dalle ragioni che hanno condotto alla scelta di riduzione del personale, essendo consentita la delimitazione dell'ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità solo quando dipenda da ragioni produttive ed organizzative esposte nei motivi dell'esubero nella comunicazione ex art. 4 l. 223 del 1991. Resta fermo, in ogni caso, precisa la sentenza, che la delimitazione dell'area di scelta è soggetta alla verifica giudiziale della ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la giustificano.

Dall'applicazione dei principi sopra detti discende la illegittimità del licenziamento collettivo, senza che vi sia la possibilità di considerare il recesso datoriale sotto altro profilo, quale quello dell'idoneità quale licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo: infatti, dopo l'entrata in vigore della legge n. 223 del 1991, il licenziamento collettivo costituisce un istituto autonomo, che si distingue radicalmente dal licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, essendo caratterizzato in base alle dimensioni occupazionali dell'impresa (più di quindici dipendenti), al numero dei licenziamenti (almeno 5), all'arco temporale (120 giorni) entro cui sono effettuati i licenziamenti ed essendo strettamente collegato al controllo preventivo, sindacale e pubblico, dell'operazione imprenditoriale di ridimensionamento della struttura aziendale. Ne consegue (come già affermato da Cass., Sez. Lavoro, sentenza n. 5794 del 23 marzo 2004), che, essendo il licenziamento collettivo sottoposto a presupposti del tutto diversi da quelli propri del licenziamento individuale, non è ammissibile l'ipotesi di una "conversione" del licenziamento collettivo in licenziamento individuale.

(Sentenza Cassazione civile 02/12/2009, n. 25353)


Fonte: IPSOA

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