Nell'ambito di una plusvalenza realizzata mediante la cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, al fine di usufruire del regime di esenzione, spetta al contribuente provare la circostanza secondo cui i predetti immobili sono stati adibiti ad abitazione principale, sua o dei suoi familiari, per la maggior parte del periodo di possesso.

Questo, in sintesi, il principio di diritto contenuto nella sentenza della Cassazione n. 20094 del 18 settembre.

La vicenda

La controversia trae origine dall'emissione di un avviso di accertamento, con il quale l'ormai soppresso ufficio delle imposte dirette, accertava una plusvalenza da cessione (ex articolo 81 del Dpr 917/1986 - ora articolo 67) per avere, i contribuenti, rivenduto un immobile entro il termine di cinque anni dall'acquisto.

Nel proporre ricorso, gli interessati adducevano l'illegittimità dell'atto di accertamento, poiché l'aver adibito l'unità immobiliare ad abitazione principale per la maggior parte del periodo di possesso, costituiva una causa ostativa al realizzarsi della plusvalenza.

La Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso ritenendo non provata la circostanza dell'utilizzo dell'immobile per l'uso abitativo.

Successivamente, la Commissione tributaria regionale confermava la decisione specificando che l'intervenuta irrevocabile sentenza penale di assoluzione dal reato di omessa dichiarazione invocata dai contribuenti, in quanto resa per "contrasto di prove", non poteva avere alcun riflesso sulla vicenda processuale - tributaria.

Avverso tale ultima decisione, i contribuenti proponevano ricorso per cassazione.

La sentenza

La Suprema corte, respingendo i motivi di censura, ha ritenuto che la sentenza impugnata fosse immune da vizi di legittimità.

Ciò in quanto, la circostanza secondo la quale i giudici di appello, hanno ritenuto non provato l'utilizzo dell'immobile "ai fini abitativi", ha rappresentato un giudizio di fatto e, come tale, insindacabile in sede di legittimità.

Per i giudici della Cassazione, nell'ambito di una plusvalenza da cessione ex articolo 81, comma 1, lettera b) del Tuir, l'aver adibito l'immobile ad abitazione principale per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto e la vendita si traduce, a tutti gli effetti, in un'agevolazione tributaria, la cui sussistenza deve essere provata esclusivamente dal contribuente.

Infatti, in materia di agevolazioni, vige "…la regola di giudizio…" per cui "… l'onere dei relativi presupposti incombe al soggetto che invoca il regime agevolativo …".

Per quanto concerne il valore probatorio della sentenza penale assolutoria dal reato di omessa dichiarazione, la Suprema corte, ha precisato che "… ll vincolo del giudice extra penale alle sentenze del giudice penale, enunciato dall'art. 654 cod. proc. pen., oltre a dover essere inteso restrittivamente (e cioè limitato a specifiche statuizioni di fatto), trova comunque un ostacolo - posto dallo stesso art. 654 - nei diversi regimi processuali che limitano la prova dei fatti o consentono l'impiego di prove legali o di regimi presuntivi …".

Pertanto, nel caso in esame, la sentenza penale assolutoria, resa per insuperabile contrasto tra prove a carico e discarico (articolo 530, comma 2, cpp), non può avere rilevanza in quanto, oltre a non accertare, in concreto, la "… sussistenza di una plusvalenza e la non sussistenza dell'ipotesi di esenzione …", entra in conflitto con la regola generale secondo cui, l'onere della prova dell'esistenza dei presupposti dell'agevolazione, incombe interamente sul contribuente.

Osservazioni

La sentenza, sulla scia di precedenti pronunce (cfr Cassazione, sentenze 10280/2008 e 18424/2005), ha confermato il principio secondo cui la sussistenza di un'agevolazione tributaria e in genere di ogni norma che permette di accedere a un regime di esenzione, deve essere positivamente provata dal soggetto che la invoca.

I benefici fiscali, infatti, costituiscono, un'eccezione alla regola generale dell'imponibilità dei redditi.

Sul piano processuale, tali eccezioni si traducono in fatti impeditivi, modificativi o estintivi dell'obbligazione tributaria che, ai sensi dell'articolo 2967 del codice civile (regola generale sull'onere della prova), devono necessariamente essere allegati e dimostrati dal contribuente.

Peraltro, il giudice di merito non può limitarsi a ritenere insufficienti i motivi addotti nell'atto con cui l'Amministrazione ha respinto la domanda di agevolazione, ma è necessario che lo stesso accerti, in concreto, l'esistenza dei requisiti previsti dalla legge per l'attribuzione delle predette agevolazioni. (cfr Cassazione, sentenze 18424/2005 e 19148/2004).

In ultima analisi, è importante rimarcare come, secondo la decisione in esame, la sentenza penale di assoluzione dal reato di omessa dichiarazione, resa per insufficienza o contrasto di prove, seppure irrevocabile, non può trovare ingresso nel processo tributario.

Per i giudici di piazza Cavour, l'insufficienza o il contrasto di prove, infatti, può rilevare solo in sede penale "… in cui occorre raggiungere la prova positiva dell'esistenza dell'imponibile oggetto di evasione …", giammai in sede tributaria, ove, al contrario, "… incombe al contribuente dare la prova dei fatti costitutivi dell'invocato regime di esenzione …".

Fonte: Agenzia Entrate

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