E' legittimo l'accertamento analitico-induttivo basato sulla percentuale di ricarico, sempre che sia riscontrata una grave difformità fra la percentuale mediamente determinata dall'ufficio e quella applicata dal contribuente in dichiarazione. Questo il principio di diritto desumibile dalla sentenza della Corte di cassazione n. 21147, depositata lo scorso 2 ottobre.

Il fatto

Il titolare di un esercizio pubblico, ritenendo inattendibile la percentuale di ricarico determinata dall'ufficio su un numero limitato di prodotti, impugnava, dinanzi alla Ctp, che accoglieva il ricorso, un avviso di accertamento per la rettifica di maggiori redditi d'impresa.

Di diverso avviso era la Commissione tributaria regionale, che conveniva con la legittimità dell'accertamento.

La pronuncia della Cassazione

I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso del contribuente.

Secondo il Collegio giudicante, infatti, l'articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr 600/1973, consente, sulla base della disamina della contabilità operata dall'ufficio, di ricostruire l'esistenza di attività non dichiarate attraverso presunzioni semplici, purché esse siano gravi, precise e concordanti.

La difformità fra la percentuale applicata in concreto, rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, può assumere il rango di presunzione e, quindi, sostenere un avviso di accertamento, quando "...raggiunga livelli di irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità".

Pertanto, i giudici di piazza Cavour hanno stabilito che la "differenza di ben 81 punti percentuali" fra il coefficiente di ricarico risultante dalle scritture contabili e quello medio calcolato dall'ufficio, non rappresenta una oscillazione poco significativa, ma "è tale da rendere inattendibili i ricavi dichiarati".

Osservazioni

La sentenza, a una prima e superficiale analisi, può apparire in contrasto con numerose altre pronunce della Suprema corte con le quali sono stati giudicati illegittimi gli accertamenti emessi sulla base della sola difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente, rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza.

In realtà la sentenza, pur divergendo nel risultato finale, aderisce alla stessa regola iuris.

Infatti, nell'ambito di un accertamento analitico-induttivo, vige il consolidato principio di diritto secondo cui "l'accertamento dei maggiori ricavi d'impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza soltanto se essa raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità" (cfr Cassazione, sentenze 10077/2009, 2380/2006, 26338/2005, 15870/2003, 15310/ 2001).

In generale, quindi, si può affermare che tale difformità tra percentuali di ricarico costituisce, di regola, un mero indizio che, come tale, non può integrare una prova per presunzioni, salvo che raggiunga livelli di irragionevolezza tali da privare la documentazione contabile di ogni attendibilità.

La sentenza n. 21147/2009 si distingue dalle altre pronunce poiché focalizza la sua attenzione sul livello di "irragionevole difformità" delle percentuali di ricarico che, se verificato, può rendere inattaccabile l'avviso di accertamento. La sua originalità si riscontra nell'aver quantificato, in termini numerici, la predetta difformità.

In presenza, quindi, di uno scostamento di "...81 punti percentuali..." fra il coefficiente di ricarico determinato dall'ufficio sulla base di elaborazioni statistiche e quello desumibile dalle scritture contabili del contribuente, l'accertamento deve essere considerato legittimo.

In ogni caso, riportandosi a precedenti pronunce (Cassazione, sentenze 979/2003 e 4305/1997), la Suprema corte ha ribadito il principio in base al quale la media cui fare riferimento per il calcolo della percentuale di ricarico è sempre, a discapito di quella aritmetica, quella ponderata.

Va, infine, ricordato che, in presenza di una rettifica basata sul metodo induttivo puro (articolo 39, comma 2, del Dpr 600/1973), quando il coefficiente di ricarico è utilizzato dall'ufficio solamente per quantificare la pretesa tributaria, la sua inadeguatezza non potrà mai determinare l'invalidità dell'avviso di accertamento. Infatti, in quest'ultimo caso, ove riconosca la legittimità del ricorso al metodo induttivo e, nel contempo, la non congruità della percentuale di ricarico applicata, il giudice di merito non può annullare l'avviso di accertamento, ma deve determinare dapprima i criteri necessari per l'esatta individuazione della percentuale di ricarico e, poi, sulla base dell'esame degli elementi contenuti in atti, quantificare in concreto la predetta percentuale (cfr Cassazione, sentenza n. 15717/2009).

Fonte: Agenzia Entrate

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