La società al centro della controversia è un'impresa operante nel ramo costruzioni, specializzata in particolare nell'attività di ingegneria, di progettazione, di consulenza e di manodopera, sia per conto terzi che per conto proprio. La vendita degli immobili costruiti per conto proprio non costituisce l'attività principale della società ma un'attività distinta, derivante dalla sua attività di impresa di costruzioni soggetta a Iva. Considerato che la normativa danese in materia di Iva prevede l'esenzione per la vendita di immobili realizzati per conto proprio, la società era tenuta, in quanto soggetto passivo misto, a calcolare un pro-rata per determinare l'importo oggetto della detrazione dell'Iva alla quale essa aveva diritto sulle spese comuni alle sue due attività, ovvero sui suoi costi generali. Reputando che l'attività di vendita degli immobili costruiti per conto proprio fosse da considerarsi un'operazione immobiliare accessoria secondo l'articolo 19, n. 2, seconda frase, della sesta direttiva Iva, la società, evidentemente in contrasto con l'amministrazione fiscale danese, non ha preso in considerazione la cifra d'affari risultante dalla vendita degli immobili costruiti per conto proprio nel calcolo del prorata in questione. La controversia insorta tra la società e l'Amministrazione finanziaria riguarda il diritto alla detrazione parziale dell'imposta sul valore aggiunto che la società poteva far valere sui suoi costi generali.

L'intervento della Corte di Giustizia

Arrivata all'attenzione della Suprema Corte danese, la controversia è stata sospesa dai giudici nazionali per domandare, principalmente, alla Corte di giustizia se l'articolo 19, n. 2, della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che, nell'ambito di un'impresa di costruzioni, la vendita di immobili da essa costruiti per conto proprio può essere qualificata come "operazione immobiliare accessoria" ai sensi di tale disposizione e, se, nell'ambito di tale qualificazione, occorra valutare in concreto in quale misura la suddetta attività, isolatamente considerata, implichi un uso di beni e servizi per i quali deve essere pagata l'Iva. Nel merito, gli eurogiudici hanno ricordato che, per delimitare l'esatta portata di una disposizione di diritto comunitario, bisogna tener conto del suo tenore letterale, del suo contesto e delle sue finalità e come, nel caso in cui la stessa disposizione non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del suo senso e della sua portata, di essa si debba dare un'interpretazione uniforme nell'intera Comunità.

La normativa comunitaria

Ebbene l'articolo 19, n. 2, della sesta direttiva non contiene alcun rinvio esplicito al diritto degli Stati membri a determinare il suo senso e la sua portata, e la sua formulazione non consente, di per sé, di ritenere con certezza che esso riguardi un'attività come quella di cui trattasi nella causa principale. La corte ha sottolineato che l'articolo 19 della sesta direttiva fa del capo XI, dedicato al regime di detrazione. Il diritto a detrazione, sancito dall'articolo 17, n. 2, che riguarda l'imposta applicata a monte sui beni o sui servizi impiegati dal soggetto passivo ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, è finalizzato a sgravare interamente l'imprenditore dall'onere dell'Iva dovuta o pagata nell'ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell'Iva garantisce, in tal modo, la perfetta neutralità per quanto riguarda l'onere fiscale di tutte le attività economiche soggette all'Iva. Quando il soggetto passivo effettua però contemporaneamente operazioni Iva che danno diritto a detrazione e operazioni esenti che non conferiscono tale diritto, l'articolo 17, n. 5, della sesta direttiva prevede che la detrazione è ammessa soltanto per la parte dell'Iva che è proporzionale all'importo delle operazioni soggette ad imposta.

Il pro-rata di detrazione

Tale prorata di detrazione è costituito da una frazione avente, al numeratore, la cifra d'affari relativa alle operazioni soggette ad imposta e, al denominatore, la cifra d'affari totale, mentre è previsto, in via di deroga, che non si tiene conto dell'importo della cifra d'affari relativa alle "operazioni immobiliari accessorie", pur tuttavia, non contenendo la sesta direttiva alcuna definizione di "operazione immobiliare accessoria". Al riguardo la Corte, anche rifacendosi a proprie precedenti decisioni, ha sottolineato come ai sensi dell'articolo 19, n. 2 una attività economica non può qualificarsi come "accessoria" quando costituisce il prolungamento diretto, permanente e necessario dell'attività imponibile dell'impresa.

L'attività imponibile dell'impresa

Ed è proprio sulla base di tale assunto che gli eurogiudici hanno risolto la questione loro sottoposta dalla magistratura danese, affermando che l'attività di vendita di immobili che un'impresa di costruzioni ha realizzato per conto proprio non può essere in alcun caso considerata come un'attività accessoria alla sua attività principale imponibile, anche quando questa sia la realizzazione di immobili per conto terzi, derivando la stessa dalla medesima attività di costruzione. Dunque, come recita chiaramente il dispositivo della sentenza "l'art. 19, n. 2, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, deve essere interpretato nel senso che la vendita, da parte di un'impresa di costruzioni, di immobili da essa costruiti per conto proprio non può essere qualificata come "operazione immobiliare accessoria" ai sensi della citata disposizione, poiché tale attività costituisce il prolungamento diretto, permanente e necessario dell'attività imponibile dell'impresa suddetta. In virtù di tale circostanza, non occorre valutare in concreto in quale misura la menzionata attività di vendita, isolatamente considerata, implichi un uso di beni e servizi per i quali l'imposta sul valore aggiunto è dovuta."

Il principio di neutralità fiscale

Sempre con la medesima pronuncia, i giudici europei hanno inoltre affermato che il principio di neutralità fiscale non osta a che un'impresa di costruzioni che versa l'imposta sul valore aggiunto sulle prestazioni di costruzione da essa effettuate per conto proprio, sia, dalla normativa fiscale del proprio paese, impossibilitata a detrarre integralmente l' imposta afferente i costi generali connessi alla realizzazione delle prestazioni suddette, in ragione del fatto che la cifra d'affari risultante dalla vendita delle costruzioni così realizzate è esente dall'Iva.

Infatti, hanno ricordato i giudici sovranazionali, il principio di neutralità fiscale, per cui il soggetto passivo può detrarre integralmente l'Iva che grava sui beni e servizi acquistati per l'esercizio delle sue attività soggette a imposta, costituisce la traduzione, operata dal legislatore comunitario in materia di Iva, del principio generale di parità di trattamento. A differenza di quest'ultimo, lo stesso non riveste rango costituzionale e necessita quindi di una elaborazione legislativa, che può essere realizzata soltanto con un atto di diritto comunitario derivato. Il principio di neutralità fiscale, ha concluso la corte, può quindi costituire l'oggetto, nell'ambito di un tale atto legislativo, di specificazioni come quelle, recepite nel diritto danese, che derivano dall'applicazione combinata degli articoli 19, n. 1, e 28, n. 3, lett. b), nonché del punto 16 dell'allegato F, della sesta direttiva, in forza della quale il soggetto passivo che eserciti attività di vendita di beni immobili, alcune soggette ad imposta ed altre esenti, non può detrarre integralmente l'Iva che grava sui suoi costi generali.

Fonte: Agenzia Entrate

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