Il beneficio della definizione rimane circoscritto esclusivamente nell'ambito dell'imposta per cui è stato richiesto e ottenuto; ne consegue che è pienamente legittimo l'accertamento Iva fondato sulle stesse risultanze probatorie che sono alla base dell'accertamento Irpef che è stato invece condonato.

E' questa la conclusione cui è pervenuta la sezione tributaria della Corte di cassazione con sentenza n. 21021 del 30 settembre 2009.

La vicenda

Un contribuente, che aveva condonato l'accertamento Irpef avvalendosi della sanatoria prevista dalla legge 413/1991, impugnava dinanzi alla Commissione tributaria di Roma l'avviso di accertamento parziale Iva, notificatogli dall'ufficio. Il giudice di merito accoglieva il ricorso proposto.Conseguentemente, l'ufficio impositore appellava la sentenza davanti alla Commissione regionale del Lazio che, respingendo l'appello, confermava la sentenza resa in primo grado, sulla base del rilievo che l'atto impugnato non era sorretto da alcun elemento di prova, poiché l'ufficio aveva posto a fondamento dell'accertamento Iva gli elementi probatori accertati in materia di imposte dirette. Dunque, secondo il giudice di merito, la prova era venuta a mancare proprio a causa della caducazione dell'accertamento Irpef, in seguito all'avvenuto condono.

L'Amministrazione finanziaria proponeva, allora, ricorso per cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 54 e 56 del Dpr 636/1972 e degli articoli 32 e seguenti della legge 413/1991, denunciando altresì vizio di motivazione per non avere, i giudici d'appello, estrinsecato i motivi per cui l'avvenuto condono tombale ai fini Irpef avrebbe comportato il venir meno di ogni elemento di prova.

La decisione della Corte suprema

La sentenza in commento, ribaltando le decisioni di merito, ha accolto il primo motivo del ricorso e ha dichiarato assorbito il secondo, cassando la sentenza e rinviando al giudice di secondo grado per la decisione della causa.

I motivi che hanno condotto ad accogliere il ricorso del Fisco risiedono nella Carta costituzionale, in particolare negli articoli 3, 97 e 53 della Costituzione. Dal momento che, secondo i giudici di legittimità, "l'applicazione diretta dei principi costituzionali di uguaglianza, legalità, imparzialità amministrativa e capacità contributiva comporta che, anche in difetto di un'espressa previsione legislativa, il valore accertato dall'amministrazione finanziaria ai fini applicativi di un'imposta (nella specie, l'IRPEF) vincola la stessa Amministrazione anche in riferimento all'applicazione di altri tributi (nel caso l'IVA)".

Ciò a condizione che i fatti economici espressivi di capacità contributiva siano i medesimi e che le singole leggi d'imposta non stabiliscano diversi criteri di valutazione per i diversi tributi previsti e disciplinati dall'ordinamento giuridico.

Al riguardo, si precisa che l'articolo 53 della Costituzione, oltre a prevedere il dovere di contribuire alle spese pubbliche, costituisce anche un vincolo per il legislatore, che deve collegare la debenza dei tributi a presupposti di fatto che siano riconducibili al principio di capacità contributiva, vale a dire a fatti economici rivelatori di forza economica.

In presenza di tale scenario, non assume alcun rilievo la circostanza che per la prima imposta il contribuente abbia usufruito del condono fiscale, rimanendo gli effetti di tale beneficio circoscritti nell'ambito esclusivo dell'imposta per cui è stata richiesta la sanatoria.

Si osserva infatti che non sussiste alcuna previsione normativa che impone agli uffici finanziari di effettuare per ogni singolo tributo una distinta attività istruttoria; ne consegue che le risultanze delle indagini possono essere utilizzate sia ai fini delle imposte dirette che indirette.

Conclusivamente, la regula iuris contenuta nella sentenza in commento, che i giudici di merito dovranno quindi applicare, è dunque che il condono tombale dell'Irpef non priva di efficacia l'accertamento Iva, poiché la sanatoria non può avere effetti indiretti che travalichino il proprio campo applicativo, in quanto lo stesso vale soltanto a evitare le conseguenze e le relative sanzioni di una specifica e ben determinata situazione di illegittimità in cui si trova il contribuente, ma non ne annulla i presupposti logici, che quindi continuano a dispiegare la propria efficacia per le situazioni non sanate.

Con tale sentenza si consolida l'orientamento del giudice di legittimità sui limiti di validità del condono, orientamento che, peraltro, la Corte aveva già espresso nel 2006 con sentenza n. 19321, pronunciandosi su una analoga questione e pervenendo alle medesime conclusioni.

Fonte: Agenzia Entrate

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