Le acquisizioni di documenti effettuate nel corso di verifiche fiscali non equivalgono al sequestro degli stessi, qualora vi sia il consenso del contribuente. L'assenso, infatti, è l'elemento che permette di distinguere l'ipotesi di acquisizione da quella di sequestro e solo in quest'ultimo caso il Fisco si troverebbe in difetto.

E' una delle conclusioni cui è giunta la Cassazione, con la sentenza n. 21446 del 9 ottobre 2009.

La sentenza della Suprema corte

Il caso finito davanti ai giudici di legittimità si era aperto con una verifica nell'ambito della quale erano stati notificati cinque avvisi di rettifica, per contestare al contribuente, in conseguenza del rinvenimento di documentazione extracontabile, l'effettuazione di acquisti non correlati alle relative fatture, nonché l'omessa fatturazione di operazione attive.

Analizziamo punto per punto le doglianze del ricorrente.

Omessa pronuncia e/o insufficiente motivazione, in violazione dell'articolo 52, comma 7, del Dpr 633/1972, secondo il quale "i documenti e le scritture possono essere sequestrati soltanto se non è possibile riprodurne o farne constare il contenuto nel verbale, nonché in caso di mancata sottoscrizione o di contestazione del contenuto del verbale. I libri e i registri non possono essere sequestrati; gli organi procedenti possono eseguirne o farne eseguire copie o estratti, possono apporre nelle parti che interessano la propria firma o sigla insieme con la data e il bollo d'ufficio e possono adottare le cautele atte ad impedire l'alterazione o la sottrazione dei libri e dei registri".

Per il contribuente, la Guardia di finanza aveva illegittimamente asportato libri e registri presenti in un piccolo locale contiguo agli uffici aziendali; la Ctp aveva erroneamente ritenuto valido tale comportamento, mentre la Commissione regionale non si era espressa sul motivo dell'impugnazione.

In proposito, la Corte ha rilevato che al fine di valutare l'operato dell'ufficio, occorre procedere a una distinzione tra "acquisizione" del materiale e "sequestro" dello stesso. L'acquisizione del materiale, infatti, si verifica qualora vi sia il consenso del contribuente, mentre l'ipotesi di sequestro è configurabile qualora si realizzi un atto di coazione da parte dell'Autorità mediante il quale il bene viene sottratto alla disponibilità dell'avente diritto, contro la sua volontà.

Nel caso di specie, risultava pacifico che l'accesso all'interno dei locali dove erano stati rinvenuti i documenti era stato effettuato con il consenso del contribuente, realizzando, in tal modo, l'ipotesi di acquisizione e non di sequestro; da ciò deriva la legittimità dell'operato dell'accertatore.

Devoluzione del potere di esprimere apprezzamenti giuridici da parte della Commissione regionale tributaria, tramite l'affidamento della determinazione degli importi oggetto della controversia a un perito, che, tra l'altro, secondo quanto sostenuto dal contribuente, avrebbe esorbitato dai suoi poteri, basando la perizia su documenti di cui il giudice non aveva disposto l'acquisizione.

In merito, i Supremi giudici hanno precisato che l'attività di ricostruzione degli importi operata dal perito non può qualificarsi quale attività giuridica, ma è relativa a un'attività meramente contabile che costituirà poi la base per l'espletamento di un'attività giuridica. Inoltre, il perito, svolgendo l'incarico sulla base "sia della memoria e degli allegati prodotti dall'Ufficio sia della documentazione che potesse essere reperita presso la Guardia di Finanza", non ha esorbitato dai propri poteri. La documentazione sequestrata, infatti, era stata poi distrutta a seguito di provvedimento dell'Autorità giudiziaria, per cui la documentazione era stata esaminata in fotocopia fornita dalla Guardia di finanza. Di conseguenza, il supplemento di perizia non era stato disposto come mezzo per esonerare l'Amministrazione dall'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa tributaria, ma solo al fine di portare a termine le indagini affidate al perito.

Violazione delle regole dell'onere probatorio e sovvertimento della metodologia impugnata, da parte della Commissione di secondo grado. Secondo il contribuente, infatti, inizialmente gli accertamenti erano stati effettuati tramite l'applicazione di percentuali di ricarico applicati sui presunti acquisti imputati al contribuente stesso, mentre, successivamente, i giudici di secondo grado avrebbero fondato il proprio giudizio sulla base delle risultanze presenti nei processi verbali acquisiti dal perito e utilizzando mezzi di prova non consentiti.

La Cassazione ha sottolineato che il processo tributario ha quale obiettivo quello di accertare nella sostanza il rapporto controverso e , in tale ottica, l'atto accertato costituisce "il veicolo di accesso" al giudizio di merito relativo a tale rapporto. Il giudizio che si svolge davanti alle Commissioni tributarie è, inoltre, un giudizio di merito a cognizione piena e, in base a quanto disposto dall'articolo 7 del Dlgs 546/1992, le stesse Commissioni tributarie sono dotate di ampi poteri non solo estimativi ma anche sostitutivi, in quanto è riconosciuta la possibilità di sostituire la propria valutazione a quella operata dall'ufficio. La motivazione dell'atto vincola esclusivamente l'ufficio, il quale non la può modificare nel corso del giudizio, ma ciò non si estende al giudice, al quale, invece, è riconosciuta la possibilità di qualificare autonomamente la fattispecie posta a fondamento della pretesa tributaria.

Violazione dell'articolo 54, commi 2 e 3 del Dpr, 633/1972, nonché omessa e insufficiente motivazione con riferimento all'applicazione da parte della Ctr di un'aliquota media, "valorizzando il fatto che la percentuale di ricarico praticata fosse quella dichiarata dalla parte" in luogo delle percentuali di ricarico ponderate suggerite dal perito.

Sul punto, i giudici hanno sottolineato che, anche in questo caso, la valutazione degli elementi di prova da parte del giudice di merito attiene al suo libero convincimento e che, in virtù di ciò, il motivo di impugnazione non può essere ritenuto legittimo. Tale motivo, infatti, riguarda sostanzialmente una valutazione di merito della controversia, pur deducendo formalmente un vizio di violazione di legge nonché un vizio di motivazione.

Violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 56, comma 1 del Dpr, 633/1972 e omessa e/o insufficiente motivazione, in quanto l'ufficio non avrebbe provveduto a motivare l'atto, ma si sarebbe attenuto alle conclusione della Guardia di finanza. In particolare, i giudici non avrebbero motivato le ragioni per le quali si sono attenuti alle conclusione dell'esperto, ritenendo il metodo eseguito dallo stesso "logico e ragionevole e comunque inconfutabile".

La Cassazione ha sottolineato che i giudici di merito non sono tenuti a esporre in maniera precisa le ragioni in base alle quali sono state accolte le ricostruzioni operate dal perito, in quanto risulta sufficiente che nella motivazioni sia richiamato l'elaborato, lasciando in tal modo desumere che le contrarie deduzioni delle parti sono state disattese.

Fonte: Agenzia Entrate

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