In tema di Iva, una corretta lettura del Dpr 633/1972 (articoli 17 e 18) consente di identificare nel cedente del bene, o nel prestatore del servizio, il soggetto legittimato a pretendere il rimborso dall'Amministrazione finanziaria ed eventualmente obbligato a restituire al cessionario, o al committente, la somma pagata a titolo di rivalsa.

A tali conclusioni è pervenuta la Corte di cassazione con la sentenza n. 18487 del 19 agosto.

La controversia

Una società, acquirente di un bene, che riteneva di aver versato al venditore un'Iva non dovuta, per la mancanza del presupposto impositivo, impugnava innanzi alla Ctp il silenzio rifiuto opposto dall'Amministrazione finanziaria all'istanza di rimborso volta all'ottenimento dell'imposta indebitamente versata.

I giudici di primo grado accoglievano il ricorso; favorevole alla società contribuente era anche la sentenza di secondo grado.

L'agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli articoli 17, 18 e 19, del Dpr 633/1972, dell'articolo 21, comma 2, del Dlgs 546/1992, nonché degli articoli 13, parte b), lettera e), e 17, della direttiva Cee 388/77.

La sentenza

La Suprema corte ha accolto il ricorso dell'agenzia delle Entrate, evidenziando il difetto di legittimazione della società acquirente nel rivolgersi all'Amministrazione finanziaria per chiedere il rimborso dell'Iva indebitamente versata, dovendosi invece individuare tale facoltà unicamente nel cedente del bene.

La sentenza, in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale (Cassazione, sentenze 6419/2003, 8783/2001, 5427/2000, 5733/1998) offre lo spunto per alcune considerazioni sulla questione relativa alla sostituzione d'imposta che si atteggia in modo differente in campo Iva, rispetto a quanto accade per le imposte dirette.

Giova, a tal proposito, premettere che il nostro ordinamento tributario prevede spesso che le imprese o i liberi professionisti debbano occuparsi della riscossione di imposte che nella sostanza incidono su altri soggetti, con cui i medesimi entrano in rapporto.

Si pensi, ad esempio, in materia di imposte dirette, alle ritenute d'acconto che il datore di lavoro opera sulle somme corrisposte ai dipendenti e quindi versa all'erario; oppure, in materia di Iva, all'imposta incassata da coloro che cedono beni o erogano servizi ai consumatori e la versano allo Stato, dopo aver recuperato, a loro volta, attraverso il meccanismo della compensazione, l'Iva versata per acquisire beni e servizi strumentali all'attività professionale o d'impresa.

Pur trovandosi in entrambi i casi in presenza di un soggetto che percepisce, per conto dell'erario, l'imposta dal contribuente effettivo, le due fattispecie sono trattate dal legislatore in modo differente.

Infatti, nell'ambito delle imposte dirette, la legge parla di "soggetto passivo" in riferimento a colui su cui l'imposta incide, mentre chi opera la ritenuta a beneficio dell'erario viene indicato come sostituto di imposta, in quanto appunto opera per conto di un sostituito (cfr articolo 23, Dpr 600/1973).

E' pacifico in giurisprudenza che, in materia di imposte dirette, il rapporto tributario faccia pur sempre capo al contribuente su cui grava l'imposta, cui è riconosciuta la possibilità, in caso di errore del sostituto che versi somme eccessive all'erario, "di rivolgersi direttamente alla Amministrazione finanziaria e trascinarla - se del caso - avanti al giudice tributario, coinvolgendo - se lo riterrà - anche il sostituto (Cass. 6419/2003)".

Tale situazione non si verifica, invece, in materia di Iva, dove si esclude l'eventualità di ammettere un rapporto diretto e, quindi, un possibile contenzioso tra Fisco e contribuente finale; la legge, infatti, indica come "soggetto passivo" il professionista o l'imprenditore che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio e che deve provvedere ad addebitare, in via di rivalsa, l'imposta al cessionario o al committente.

Soggetto passivo del tributo e legittimato a richiedere il rimborso in caso di indebito è, pertanto, il cedente del bene o il prestatore di servizio, ma non il cessionario o il committente, che, "quali semplici soggetti d'Iva, cioè soggetti solo economicamente incisi e consumatori finali, rimangono estranei al rapporto con l'Amministrazione finanziaria che non può perciò essere chiamata a rimborsare direttamente al cessionario o al committente quanto d'Iva da essi versato in via di rivalsa al cedente" (Cassazione, sentenza 3306/2004; Ctp di Milano sentenza 140/14/2005).

L'orientamento giurisprudenziale consolidato, che nega al cessionario o acquirente di un'operazione Iva la titolarità dell'azione nei confronti dell'Amministrazione finanziaria volta al recupero dell'imposta indebitamente versata, anche in caso di inerzia da parte del soggetto passivo Iva, poggia su diverse ragioni.

In primis il sistema "a cascata", attraverso cui l'Iva versata dai consumatori finali viene "gestita" dai diversi soggetti della catena produttiva, rischierebbe di essere gravemente compromesso; come evidenziato, infatti, dalla Suprema corte "l'eventuale condanna dell'Amministrazione a restituire parte dell'Iva versata dal contribuente finale renderebbe necessario il ricalcolo di tutto il complesso rapporto dare-avere che lega il consumatore finale a coloro che hanno concorso alla produzione, e costoro al fisco" (Cassazione, sentenza 6419/2003).

In secondo luogo, i tre rapporti che scaturiscono dal compimento di un'operazione imponibile (tra l'Amministrazione finanziaria e il cedente, relativamente al pagamento dell'imposta; tra il cedente e il cessionario, in ordine alla rivalsa; tra l'Amministrazione finanziaria e il cessionario per ciò che attiene alla detrazione dell'imposta assolta in via di rivalsa), pur essendo collegati, non interferiscono tra loro. Ne consegue, secondo la sentenza in commento, che "il cedente non può opporre al cessionario, che agisca in restituzione, l'avvenuto versamento dell'imposta, che il cessionario non può opporre all'Amministrazione finanziaria, che escluda la detrazione, che l'imposta è stata assolta in via di rivalsa e versata all'Amministrazione medesima; che infine il solo cedente abbia titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell'Amministrazione".

Il Fisco, estraneo al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuto a rimborsare direttamente a quest'ultimo quanto dallo stesso versato in rivalsa.

Tale soluzione, che trova conferme anche in ambito comunitario (cfr Corte di giustizia, causa C-35/07 del 15 marzo 2007), non priva, comunque, di tutela il consumatore finale, che, pur dovendosi attenere alle valutazioni del cedente del bene o del prestatore del servizio nei rapporti con il Fisco, può promuovere un'azione civilistica di ripetizione dell'indebito nei confronti del prestatore o del cedente.

Fonte: Agenzia Entrate

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