Un caso operativo

Una società di capitali, dopo aver esposto le ragioni che l'hanno convinta ad acquistare un fabbricato industriale da utilizzare, in seguito, in una nuova attività di lavorazione di legname, sostiene che tale investimento sarebbe, però poi risultato di fatto bloccato dalla circostanza che le autorità della Papua Nuova Guinea, non concedevano le auspicate licenze per il taglio e l'esportazione del legname.

Inoltre fa presente che uno dei propri soci, tramite altra società con sede appunto in Papua Nuova Guinea, svolgeva già la intraprendenda attività di lavorazione di legnami.

Nelle more di ottenere tali licenze, i cui tempi di attesa si prolungano per parecchi anni, l'immobile resta sfitto.

Alla fine, visto che le licenze dalla Nuova Guinea non arrivano, il progetto viene accantonato.

Tali circostanze, ad avviso del contribuente, confermerebbero dunque la presenza di "oggettive situazioni di impedimento", che impedirebbero la presunzione di realizzazione di ricavi e redditi nella misura stabilita dall'articolo 30 della legge 724/1994.

Per tali motivi la società presenta istanza di interpello disapplicativo della norma, istanza però respinta dalla competente direzione regionale delle Entrate, la quale ritiene che le circostanze evidenziate non possono comportare "un'oggettiva situazione di impedimento", così come richiesta dalla norma al fine della disapplicazione della disciplina in materia di società di comodo, anche considerato che il legname oggetto dell'attività in progetto poteva comunque essere acquistato sul mercato da qualsiasi paese importatore e non necessariamente dalla Papua Nuova Guinea.

Nonostante il parere negativo delle Entrate, tuttavia, il contribuente ritiene di non adeguarsi al reddito minimo presunto di cui al comma 3 dell'articolo 30 e, a seguito dell'(inevitabile) accertamento, lo impugna instaurando il relativo contenzioso davanti alla Commissione tributaria, insistendo in particolare sulla situazione di oggettivo impedimento che non avrebbe consentito la proficua utilizzazione dell'immobile e il concretizzarsi dell'attività imprenditoriale.

La disciplina sulle società di comodo

La disciplina fiscale delle società non operative è stata introdotta nel nostro ordinamento dall'articolo 30 della legge 724/1994, allo scopo di contrastare le cosiddette società di comodo.

In particolare, i soggetti di cui al comma 1, si considerano "non operativi" quando non superano il "test di operatività", ossia quando l'ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinati coefficienti.

Il mancato superamento del "test" comporta, ai fini delle imposte sul reddito e dell'Irap, l'obbligo di dichiarare un reddito non inferiore a quello minimo presunto e, ai fini Iva, l'impossibilità di chiedere a rimborso, utilizzare in compensazione, o cedere l'eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione.

In sostanza, tale disciplina mira a colpire quelle società costituite al solo fine di gestire il patrimonio nell'interesse dei soci, piuttosto che per esercitare un'effettiva attività commerciale, puntando a disincentivare l'utilizzo dello strumento societario per attività di mera gestione passiva di beni, e non invece per l'effettuazione di reali attività economiche, al solo fine di sfruttare i meccanismi propri del reddito d'impresa, quali, per esempio, la deduzione analitica dei costi e l'ammortamento delle immobilizzazioni.

La disapplicazione della disciplina

Con le modifiche apportate dalla Finanziaria per il 2007 è stato stabilito che la sola modalità per sottrarsi all'applicazione delle norme in tema di società di comodo, e quindi dalla presunzione del reddito minimo, sia quella di chiedere preventivamente la disapplicazione della relativa disciplina mediante la presentazione di un'apposita istanza di interpello (cosiddetto interpello disapplicativo).

A decorrere dal periodo d'imposta in corso al 4 luglio 2006, la procedura da attivare ai fini della disapplicazione delle norme sulle società non operative prevede quindi che "In presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell'articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 6002".

Prima delle modifiche normative, invece, l'ufficio, per emettere l'accertamento, era tenuto, a pena di nullità, a inviare una richiesta di chiarimenti, al fine di conoscere eventuali situazioni oggettive di carattere straordinario che avessero reso impossibile il conseguimento di ricavi, di incrementi di rimanenze e di proventi nella misura richiesta dal comma 1, articolo 30 della legge 724/1994 e il contribuente era quindi ammesso a fornire, in tale sede, "la prova contraria sostenuta da riferimenti a oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi, di incrementi di rimanenze e di proventi ...".

Conseguenze processuali in tema di prova contraria

Nell'evidenziare che l'inciso "salvo prova contraria" è stato soppresso dalla legge 296/2006 (Finanziaria 2007), la presentazione dell'interpello disapplicativo, deve essere considerata il solo rimedio utilizzabile per dimostrare le obiettive situazioni che hanno determinato l'impossibilità di conseguire l'ammontare minimo di ricavi, di incrementi delle rimanenze e di proventi, nonché del reddito.

La soppressione del riferimento alla "prova contraria", è stata dunque evidentemente prevista al fine di escludere che detta prova potesse essere fornita in sede di accertamento o nel corso del contenzioso.

Assolto quindi l'onere di presentazione dell'istanza di disapplicazione, è sì ammessa la possibilità di impugnare l'accertamento davanti giudici tributari, ma non sotto il profilo probatorio, bensì esclusivamente sul piano dell'esistenza o meno dei presupposti di applicazione della disciplina, lasciando dunque al giudice la relativa valutazione di legittimità.

Il contribuente deve pertanto fornire la prova contraria già in sede di istanza di disapplicazione, laddove:

- se non presenta l'istanza di disapplicazione, nessuna prova contraria potrà poi essere fornita in sede contenziosa

- se invece presenta l'istanza di disapplicazione, ma questa viene respinta, non potranno poi essere ammesse in sede contenziosa ulteriori prove rispetto a quelle già prodotte in sede di istruttoria da disapplicazione.

La prova delle oggettive situazioni di impedimento

Rispettando quindi tali oneri probatori, con riguardo agli elementi e alle motivazioni che il contribuente deve comunque addurre a sostegno della propria istanza, al fine di superare la presunzione legale in tema di società di comodo, la legge dispone che occorre fare riferimento a "situazioni oggettive" che abbiano impedito il conseguimento di ricavi e del reddito nella misura minima presunta, allegando gli atti e i relativi documenti.

Tornando al caso operativo illustrato, non può sfuggire che il ritardo (e i relativi effetti negativi) nel rilascio di licenze, deve essere dovuto a cause non dipendenti dalla volontà del contribuente, laddove l'impedimento oggettivo (peraltro sempre da provare documentalmente) non riguarderebbe la concessione di licenze in assoluto, ma la concessione di licenze dalla Papua Nuova Guinea. Nulla escluderebbe invece che la stessa licenza all'esportazione di legname possa essere ottenuta in altro Paese.

Poiché ciò che rileva per valutare l'eventuale disapplicazione della normativa in materia di società di comodo sono le (comprovate e inevitabili) difficoltà da parte della società italiana nell'ottenere licenze per operare in Italia (solo Paese a presenza "necessaria", al fine appunto della produzione di ricchezza tassabile), e dato che, invece, nel caso prospettato, tali difficoltà non riguarderebbero la concessione di licenze in Italia, ma piuttosto quelle a favore della società che, in loco, dovrebbe esportare il legname da lavorare poi da parte della società italiana (importatrice), è chiaro che tali circostanze, in particolare laddove il soggetto che avrebbe difficoltà nell'ottenere le licenze e quello che invece chiede la disapplicazione della normativa sulle società di comodo neppure coincidono, non possono assumere alcun rilievo ai fini della disapplicazione.

Del resto, non avviare comunque la propria attività in Italia, non chiedendo le relative licenze in altri Stati da cui importare il legname, sarebbe imputabile soltanto alla (non necessitata) volontà del contribuente, il quale poi, sulla base degli effetti di proprie (soggettive) valutazioni, pena un facile aggiramento della normativa antielusiva, non potrebbe poi invocare la disapplicazione della disciplina in materia di società di comodo.

Fonte: Agenzia Entrate

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