Nel contenzioso tributario non è ammesso l'intervento di enti portatori di interessi collettivi e diffusi in quanto la partecipazione (necessaria o facoltativa) al giudizio è subordinata alla titolarità di interessi e situazioni giuridiche soggettive strettamente connessi al rapporto giuridico d'imposta dedotto in controversia.

Non rileva ai fini della validità della notificazione, né risulta in alcun modo sanzionato, il fatto che l'atto impositivo sia stato indirizzato al contribuente in plico senza busta, non determinando alcuna conseguenza sull'efficacia dell'atto tributario notificato, l'eventuale violazione del diritto alla riservatezza del contribuente.

Queste sono alcune delle conclusioni cui è pervenuta la Corte di Cassazione nella sentenza n. 17194 del 23 luglio.

La controversia

Un contribuente e una Onlus, in qualità di interventore ad audiuvandum, impugnavano innanzi alla Ctp un avviso di mora, relativo all'Iva per l'anno 1992, chiedendone l'annullamento, tra le altre cose, per violazione del diritto alla riservatezza del contribuente in quanto l'avviso di mora era stato notificato in plico senza busta.

I giudici di primo grado dichiaravano improponibile il ricorso della Onlus e infondato quello del contribuente; tali statuizioni erano confermate dalla Ctr.

Contribuente e organizzazione no profit proponevano ricorso per Cassazione deducendo, tra i vari motivi d'impugnazione, la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 14, comma 3 del Dlgs 546/1992, per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto inammissibile l'intervento adesivo della Onlus ed eccependo, inoltre, che il giudice di appello aveva confermato la legittimità dell'atto impugnato nonostante la lamentata violazione del diritto alla riservatezza.

La sentenza

La Suprema corte, ha respinto il ricorso per l'infondatezza dei motivi, confermando conseguentemente le conclusioni cui era pervenuta la Ctr.

Appare opportuno premettere che, con riguardo alla questione relativa al riconoscimento della legittimazione processuale di una Onlus ad intervenire nel processo tributario ad ausilio del contribuente, la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni manifestato un orientamento restrittivo (cfr. Cassazione 139/2003; 181/2003; 1909/2008) in virtù della norma contenuta nell'articolo 14, comma 3 del Dlgs 546/1992, che individua i presupposti dell'istituto dell'intervento nel giudizio tributario, istituto che comporta l'ampliamento del contraddittorio a soggetti terzi rispetto alle parti originarie del processo.

L'articolo 14 citato stabilisce, al terzo comma, che possono intervenire volontariamente o essere chiamati in causa solo i soggetti che insieme al ricorrente siano destinatari dell'atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso.

Da tale norma, secondo i giudici di legittimità, deriva che la possibilità di essere interventori nel giudizio tributario è riconosciuta ai contribuenti che, insieme al ricorrente, siano destinatari dell'atto e cioè a coloro che potrebbero proporre autonomamente e indipendentemente l'impugnazione del medesimo atto.

La giurisprudenza ha invece escluso la possibilità che un terzo possa intervenire nel processo per l'unico fine di sostenere le ragioni di una delle parti originarie del processo, in considerazione della circostanza che il mero interesse di fatto che una parte processuale non risulti soccombente, non risulta meritevole di giustificare la legittimazione di interventi adesivi, per cui è da ritenersi inammissibile, secondo la Cassazione, "qualsiasi intervento de amicus nella misura in cui risulta titolato da un interesse di mero fatto e non giuridico".

Nel contenzioso tributario, pertanto, solo coloro che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell'atto impugnato e parti del rapporto tributario controverso hanno interesse a intervenire nel processo ai sensi dell'articolo 14 del Dlgs. 546/1992 (Cassazione 12598/2004).

Con specifico riferimento alla posizione processuale delle Onlus e in generale degli enti esponenziali, la giurisprudenza di legittimità, ha in più circostanze evidenziato, che "in materia di contenzioso tributario, gli enti esponenziali che si ergano a tutori di generiche ed indefinite categorie di contribuenti non hanno legittimazione ad intervenire nelle singole controversie tributarie" (cfr. Cassazione 139/2004).

La preclusione discenderebbe dal Dlgs n. 546/1992, che delinea un processo in cui le sole parti possibili e necessarie sono da un lato l'ente impositore e da un altro il contribuente destinatario di uno specifico atto - indicato nell'articolo 19 del decreto legislativo citato - mentre i predetti enti esponenziali, cui non siano indirizzati gli atti impugnabili, sono privi di legittimazione a porre in essere qualsivoglia forma d'impugnativa, sia autonomamente che congiuntamente al soggetto cui è diretto l'atto impugnato.

La radicale inammissibilità per gli enti esponenziali di intervenire in ausilio del contribuente non viene meno, peraltro, secondo la sentenza in commento, neppure in virtù delle norme previste in materia di tutela dei consumatori.

Le disposizioni in esame, come è noto, prevedono una generale legittimazione ad agire per le Associazioni rappresentative, in virtù della legge n. 281/1998, riconoscendo un sistema di tutela collettiva inibitoria ed emendativi, poi trasfuso negli articoli 139 e 140 del Codice di consumo (Dlgs. n. 206/2005).

Secondo i giudici di legittimità, l'azione rappresentativa riconosciuta unicamente alle associazioni di consumatori inserite in apposito elenco ministeriale, oltre ad essere esperibile innanzi all'Ago e non dunque innanzi al giudice tributario, è infatti rivolta contro "violazioni seriali di massa" che risultano essere del tutto differenti dagli atti fiscali singolari e "presuppone la lesione di un interesse 'ulteriore' per la tutela del quale si sono associati gli aderenti e "differenziato" da quello che legittimerebbe all'azione personale questi ultimi".

La sentenza 17194/2009 affronta infine la problematica relativa alle conseguenze che si determinano sulla validità dell'atto tributario nel caso in cui venga adottata una procedura notificatoria differente da quella normativamente prevista e per la quale il contribuente asserisca la violazione del diritto alla riservatezza.

Secondo la suprema corte la violazione della norma che imponga la notificazione dello avviso di mora in plico chiuso (nella fattispecie l'atto esattivo era stato notificato senza busta chiusa) potrebbe essere fonte di responsabilità extracontrattuale in capo al concessionario in caso di violazione del diritto alla privacy, da reclamarsi innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria (non nel giudizio tributario che non ammette l'esperibilità di azioni di condanna risarcitoria), ma mai riflettersi sulla validità dell'atto.

Tale conclusione discende dalla considerazione che l'articolo 26 del Dpr 602/1973 che regolamenta la notificazione della cartella di pagamento (atto di valenza impositiva ben maggiore dell'avviso di mora che riguarda la fase ultimativa della riscossione e al quale possono estendersi tali regole), prescrive che la notifica della cartella avvenga in "plico chiuso" mentre non stabilisce alcun tipo di sanzione tributaria in caso d'inosservanza di tale modalità.

Fonte: Agenzia Entrate

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