La pex scende in campo soltanto se la “commercialità” è reale. I benefici del regime della partecipation exemption non sono infatti concessi se la plusvalenza è realizzata attraverso la cessione di una partecipazione in una società che si occupa esclusivamente della semplice gestione di un marchio e, per tale attività, percepisce solo royalty. È l’ulteriore chiarimento fornito dall’Agenzia con la risoluzione n. 226/E del 18 agosto.

Sullo stesso argomento d’altronde, l’Amministrazione fiscale si era già espressa più volte, ricordando che la norma agevolativa (articolo 87 del Tuir) – riguardo ai requisiti per accedervi – va interpretata, relativamente alla “commercialità”, in senso restrittivo. Pertanto, nel caso in cui una plusvalenza derivi dalla cessione di una partecipazione in una società “senza impresa”, il beneficio della pex non può essere accordato.

La regola generale del Tuir dispone l’esenzione, nella misura del 95%, delle plusvalenze derivanti dalla cessione di azioni o quote di partecipazioni in società di persone, escluse le società semplici e gli enti alle stesse equiparati, e in società di capitali ed enti equiparati, comprese quelle non rappresentate da titoli.

Per usufruire del regime di esenzione devono sussistere determinati requisiti:

•la partecipazione deve essere posseduta senza soluzione di continuità dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello in cui è avvenuta la cessione (cioè non meno di un anno)

•le partecipazioni devono essere iscritte fra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso nel periodo di detenzione

•la società partecipata deve risiedere in un Paese diverso da quelli a fiscalità privilegiata, oppure dimostrare, attraverso istanza d’interpello, che fin dall’inizio del periodo di possesso dalle partecipazioni non è stato conseguito l’effetto di localizzare i redditi in un Paese in cui gli stessi sono sottoposti a tassazione “scontata”

•la società partecipata deve svolgere un’effettiva attività commerciale.

Nel caso sottoposto all’attenzione dell’agenzia delle Entrate, le prime tre condizioni sono rispettate; più problematica risulta, invece, la verifica dell’ultimo requisito.

L’attività della società partecipata in questione consiste, infatti, nella gestione di una “firma” del settore della moda. In sostanza, tutta l’attività si traduce nella tutela, registrazione, protezione e concessione di licenze per lo sfruttamento economico del marchio.

Per l’istante, che ha ceduto la propria quota partecipativa nel luglio 2008 realizzando così la plusvalenza, risultano soddisfatte tutte le condizioni previste dalla norma (articolo 87, comma 1, lettere a), b), c) e d) del Tuir), vale a dire anche quella relativa alla “commercialità” dell’attività svolta dalla partecipata.

Diverso, in coerenza con le risposte già date in precedenti occasioni, il parere degli esperti del fisco.

Per far luce sulla questione posta, l’Amministrazione (dopo aver messo in evidenza che la verifica dell’effettivo svolgimento, da parte della partecipata, di un’attività commerciale non può essere effettuato “sulla carta”, necessitando, invece, di un controllo “fattuale”) segnala la circolare 36/2004, che ha contribuito a dissipare alcuni dei dubbi sollevati sulla nozione d’esercizio di impresa commerciale da parte della società partecipata. Nel documento richiamato la “commercialità” viene associata a quelle attività che danno luogo a reddito d’impresa così come definito dall’articolo 55 del Tuir.

Una definizione che non si può estendere a una società senza impresa, semplicemente intestataria di redditi passivi riconducibili alla percezione di royalty su marchi.

Il regime della partecipation exemption dunque riguarda esclusivamente coloro che detengono partecipazioni riferibili a società realmente produttive.

Un no corroborato da altri quattro documenti di prassi che, in base allo stesso principio, hanno negato l’applicabilità della pex (cfr risoluzioni nn. 152/2004, 163/2005, 165/2005 e 323/2007).


Fonte: Agenzia Entrate

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