Il trattamento fiscale dei negozi aventi a oggetto una pluralità di beni è strettamente connesso alla loro qualificazione giuridica. Due sono i casi possibili:

1. i beni sono organizzati per l’esercizio di una attività d’impresa: la loro cessione va stimata come cessione d’azienda (o di un suo ramo), assoggettabile a imposta di registro e, quindi, fuori dal campo di applicazione dell’Iva

2. i beni sono costituiti da una massa di cespiti non costituenti una articolazione funzionalmente autonoma di una attività economica organizzata (articolo 2112, codice civile): la loro cessione costituisce un’operazione imponibile Iva ai sensi dell’articolo 2 del Dpr 633/72.

La distinzione fra le due ipotesi rappresentate non è, però, sempre immediata, dovendosi valutare non soltanto l’oggettiva consistenza dei beni alienati, ma anche la sussistenza del vincolo funzionale tra gli stessi e l’esercizio di una attività economica.

L’orientamento della Cassazione

Un interessante contributo al dibattito è stato di recente assicurato da autorevole giurisprudenza proveniente dalla Corte di cassazione. Come si legge nella sentenza n. 24913/2008, il trasferimento di una pluralità di beni costituisce cessione d’azienda (o di un suo ramo) “laddove l’oggetto specifico sia costituito dal passaggio dei beni intesi in senso unitario e funzionale, suscettibile di vedersi attribuita ex ante l’attitudine all’esercizio dell’impresa”. Si ha quindi “cessione d’azienda, soggetta ad imposta di registro proporzionale (e non ad Iva), quando le parti non hanno inteso trasferire una semplice somma di beni, ma un complesso organico unitariamente considerato, dotato di una potenzialità produttiva, tale da farne emergere ex ante la complessiva attitudine anche solo potenziale all’esercizio d’impresa”.

Tale orientamento giurisprudenziale apre quindi, all’Amministrazione finanziaria, molteplici scenari d’intervento, attribuendole piena possibilità di sindacare in ordine alla natura giuridica dei negozi aventi a oggetto una pluralità di beni.

Un caso pratico

I controlli aventi a oggetto i rapporti intercorsi tra Alfa spa, società esercente attività di autotrasporto di merci per conto terzi, e Beta spa, esercente attività di produzione di generi alimentari freschi, hanno evidenziato quanto segue.

•Con delibera del novembre 2008, il presidente di Alfa sottoponeva all’approvazione del cda un progetto avente a oggetto i servizi di distribuzione sul territorio del nord Italia dei prodotti di Beta. Come si legge nella delibera, “Beta Spa è alla ricerca di un partner commerciale che acquisisca la gestione di oltre cento zone distributive, del personale che attualmente vi opera, costituito da circa ottanta unità, e degli automezzi adibiti al servizio”. Il consiglio di amministrazione della Alfa spa conferiva, quindi, pieno mandato al presidente affinché procedesse alla sottoscrizione di tutti gli atti necessari a definire un accordo con Beta spa, relativo alla distribuzione dei prodotti di quest’ultima nel nord Italia

•A dicembre 2008, Beta, allo scopo di realizzare lo spin off’ del ramo produttivo costituito dall’attività di trasporto e consegna dei propri prodotti ai clienti, stipulava con Alfa uno specifico contratto di appalto

•Con fattura del 3 gennaio 2009, Beta cedeva ad Alfa 80 automezzi (necessari all’espletamento del servizio di distribuzione). L’importo concordato ammontava a 1,5 milioni di euro, oltre l’Iva di legge (20%)

•Il 5 gennaio 2009, Alfa assumeva, per l’espletamento dell’attività di trasporto, 75 ex dipendenti di Beta, oltre a subentrare, di fatto, nei rapporti contrattuali con 5 agenti che, nel coso del biennio 2007-2008, avevano svolto attività per Beta.

La reale natura dell’operazione

La sistematica correlazione degli eventi riportati conduce, in modo non equivoco, a ritenere che la cessione del complesso di beni documentata dalla fattura del 3 gennaio costituisca, più propriamente, una cessione di ramo d’azienda.

Nello specifico, richiamando nuovamente la sentenza n. 24913/2008 della Cassazione, deve ritenersi ravvisabile una cessione d’azienda (o di un suo ramo) laddove “i beni strumentali ceduti siano atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all’esercizio di una impresa (…) non si richiede che tale esercizio sia attuale, essendo sufficiente l’attitudine potenziale all’utilizzo per un’attività d’impresa, né che la cessione comprenda anche le relazioni finanziarie, commerciali e personali”. Ai fini fiscali, dunque, “per la qualificazione di un atto di trasferimento come cessione d’azienda non rileva la circostanza che i singoli beni aziendali siano stati ceduti globalmente o con più atti separati, né la circostanza che il cedente sia un soggetto non munito di autorizzazioni all’esercizio dell’attività dell’azienda, e nemmeno la circostanza che al momento della cessione l’azienda fosse concretamente esercitata perché rileva unicamente la causa reale del negozio e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguiti dai contraenti”. E ciò anche in assenza di pattuizioni riferite alla componente “avviamento” (alla quale potrebbe anche non essere attribuito alcun valore), stante la sua non essenzialità in ordine alla esistenza di un’azienda (cfr Cassazione, sentenze nn. 4142/1981 e 353/1990).

Sulla base di tali considerazioni, la circostanza che la società Beta, nell’ambito del proprio piano di riorganizzazione aziendale, abbia voluto “esternalizzare”, attraverso la stipula del contratto di appalto del 28 dicembre 2008, la sola attività di trasporto e consegna dei propri prodotti ai clienti, poco rileva ai fini della qualificazione giuridica dell’operazione, potendo essere attribuita, al complesso dei rapporti giuridici “acquisiti” da Alfa, l’attitudine (almeno potenziale) all’utilizzo per un’attività d’impresa.

Giova ricordare, a questo punto, che la cessione di un ramo d’azienda da un imprenditore a un altro, seguita dalla stipulazione di un contratto di appalto, costituisce una delle forme tipicamente utilizzate, nella prassi commerciale, per la cosiddetta esternalizzazione del processo produttivo, intesa come affidamento a terzi di un’attività precedentemente svolta all’interno dell’impresa. Tanto è stato recepito anche dal legislatore civilistico, atteso che l’articolo 2112, comma 6 del codice civile, nella sua attuale formulazione, così recita: “nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà (…)”.

I riflessi fiscali

Come già sopra riportato, la cessione del complesso di beni documentata dalla fattura del 3 gennaio 2009 emessa da Beta spa, costituisce, più propriamente, una cessione di ramo d’azienda. Da ciò consegue che:

•l’Iva evidenziata nella fattura (300mila euro) risulta, per Alfa spa, indetraibile, in quanto “relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti operazioni (…) non soggette all’imposta” (articolo 19, comma 2 del Dpr 633/72). Infatti “non sono considerate cessioni di beni le cessioni e i conferimenti in società o altri enti (…) che hanno per oggetto aziende o rami di azienda” (articolo 2, comma 3, lettera b) del Dpr 633/72)

•il contratto “di trasferimento e di affitto di aziende esistenti nel territorio dello Stato e di costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento sulle stesse e relative cessioni” è soggetto a registrazione (articolo 3, lettera b) del Dpr 131/1986). Le parti (Alfa e Beta), dunque, avrebbero dovuto assoggettare a imposta di registro il corrispettivo di 1,5 milioni di euro (aliquota applicabile: 3%).


Fonte: Agenzia Entrate

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