L'indicazione in un atto di compravendita immobiliare di un valore catastale inferiore rispetto a quello scaturente dall'applicazione dei coefficienti di legge non preclude l'operatività del meccanismo del "prezzo valore".

Questo è, in sintesi, quanto affermato dall'agenzia delle Entrate (risoluzione n. 176/E del 9 luglio), in risposta a un interpello con il quale un notaio rappresentava che nell'atto di acquisto di un immobile abitativo, con opzione esercitata dall'acquirente per l'applicazione del cosiddetto "prezzo valore", era stato indicato un valore catastale inferiore a quello derivante dalla corretta applicazione dei coefficienti di legge. Il notaio chiedeva, appunto, di sapere se, in tale circostanza, l'ufficio potesse procedere alla rettifica del valore venale dell'immobile, ovvero dovesse limitarsi alla sola rettifica del valore catastale, recuperando la relativa differenza d'imposta.

Soluzione

La legge finanziaria per il 2006 (articolo 1, comma 497, legge 266/2005) ha introdotto, in deroga al criterio generale di determinazione della base imponibile ai fini dell'imposta di registro, ipotecaria e catastale, la disciplina del "prezzo valore". In particolare, su richiesta della parte acquirente, resa al notaio, la base imponibile delle cessioni aventi per oggetto immobili a uso abitativo e relative pertinenze, poste in essere nei confronti di persone fisiche che non agiscono nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, deve essere individuata nel valore dell'immobile determinato ai sensi dell'articolo 52, commi 4 e 5, del Testo unico dell'imposta di registro, comunemente denominato valore catastale o tabellare, indipendentemente dal corrispettivo pattuito.

Tale disposizione costituisce, quindi, una deroga al criterio generale di determinazione della base imponibile propria del sistema impositivo del Registro, in base al quale, per gli atti a titolo oneroso che hanno a oggetto beni immobili e diritti reali immobiliari, la base imponibile è costituita "dal valore del bene o del diritto", da individuarsi in quello dichiarato dalle parti nell'atto e, in mancanza o se superiore, nel corrispettivo pattuito (articoli 43 e 51, comma 1, Dpr 131/1986). Il richiamato articolo 51, al comma 2 stabilisce, poi, che "…si intende per valore il valore venale in comune commercio".

L'Agenzia ha precisato che la determinazione della base imponibile, ancorata ai coefficienti catastali secondo la regola del "prezzo valore", è possibile a condizione che ricorrano i requisiti soggettivi (cessioni poste in essere nei confronti di persone fisiche che non agiscono nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali) e oggettivi (immobili a uso abitativo e relative pertinenze), e che la parte acquirente formuli apposita richiesta al notaio rogante, indicando in atto il corrispettivo pattuito.

In presenza dei presupposti normativi e della richiesta di parte, l'indicazione nell'atto di cessione di un valore catastale inferiore rispetto a quello derivante dalla corretta applicazione dei coefficienti catastali, di cui ai parametri fissati dai medesimi commi 4 e 5 dell'articolo 52, non comporta, l'inapplicabilità del citato articolo 1, comma 497, della Finanziaria 2006, ma la piena operatività del sistema di tassazione su base tabellare.

Conseguentemente, l'insufficiente indicazione in atto del valore catastale non "riespande" il potere accertativo dell'ufficio sulla base del "valore venale in comune commercio", ma consente allo stesso di quantificare la maggiore imposta scaturente dalla base imponibile catastale, rideterminata secondo i criteri dettati dagli stessi commi 4 e 5 dell'articolo 52.


Fonte: Agenzia Entrate

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