La questione portata all'attenzione della Corte di Giustizia (procedimento C 566/07) ha origine da una controversia insorta tra un'impresa con sede nei Paesi Bassi che esercita attività di noleggio, assemblaggio e smontaggio di stand per fiere ed esposizioni e il Fisco olandese. Tra il 1993 e il 1995 la società ha effettuato servizi in Germania e in altri Stati terzi per conto di un ufficio di diritto pubblico con sede nei Paesi Bassi e dipendente dal ministero dell'Economia. L'ufficio si avvale dei servizi dell'impresa olandese unicamente nell'ambito di attività che non sono soggette a Iva nei Paesi Bassi e, in quanto parte integrante di un ente pubblico, non ha diritto alla detrazione dell'Iva. Da notare che le fatture per i servizi forniti al di fuori del territorio dei Paesi Bassi, espongono gli importi dovuti a titolo di imposta sull'Iva applicabile ad analoghi servizi forniti all'interno del territorio.

La posizione del Fisco

Nel 1996 il Fisco olandese comunica all'impresa che non era tenuta al versamento dell'imposta sull'Iva nei Paesi Bassi per le prestazioni di servizi effettuate fuori del territorio. L'impresa provvede quindi a richiedere il rimborso delle imposte versate e dato che l'Amministrazione finanziaria lo subordina alla rettifica delle fatture rilasciate all'ufficio per cui erano stati effettuati i servizi, l'impresa trasmette all'Amministrazione una copia della nota di accredito emessa. L'impresa ottiene quindi il rimborso delle somme. Nel 2000, a seguito di un controllo, il Fisco olandese rileva, però, che l'impresa non soltanto non ha emesso alcuna nota di accredito a favore dell'ufficio ma non ha neanche rettificato le fatture e tantomeno provveduto a restituire alcun importo. Per questo motivo emette nei riguardi dell'impresa un avviso di accertamento per l'importo delle somme rimborsate.

Il ricorso alla corte d'appello

Contro l'avviso di accertamento l'impresa propone ricorso e, di fronte al rigetto, si rivolge alla Corte d'Appello di l'Aja che dichiara nullo l'avviso. Secondo il giudice d'appello la rettifica delle inesattezze in fatturazione non è necessaria in quanto non vi è alcun rischio di perdita del gettito fiscale. Infatti data la natura dell'ufficio per cui l'impresa ha effettuato i servizi, il diritto a detrazione dell'imposta sull'Iva non è ammissibile.

Il ricorso per cassazione

L'Amministrazione finanziaria olandese a sua volta, contro la decisione della Corte d'appello, presenta ricorso per cassazione. A sostegno della propria tesi sottolinea che l'impresa non ha diritto a conservare il rimborso dell'imposta sull'Iva in quanto non ha rettificato gli errori di fatturazione.

La tesi del giudice del rinvio

Il giudice del rinvio decide di sospendere il giudizio, per sottoporre alla Corte due questioni pregiudiziali. La prima per sapere se non è dovuta l'Iva nello Stato membro in cui risiede o opera chi emette la fattura, nel caso in cui l'imposta sia addebitata su tale fattura per una operazione effettuata in un altro Stato membro o in un Paese terzo. La seconda per sapere se gli Stati membri possano assoggettare la rettifica dell'Iva, erroneamente fatturata e pertanto dovuta in forza di questa disposizione, alla condizione che il soggetto passivo consegni al destinatario delle sue prestazioni una fattura di rettifica su cui non è esposto alcun importo di Iva. E questo nel caso in cui una fattura, secondo l'articolo 21, n. 1 lettera c della sesta direttiva, sia stata rilasciata a un destinatario che non ha diritto alla detrazione dell'Iva (per cui non si configura alcun rischio di perdita di gettito fiscale).

Le conclusioni della Corte: la prima questione pregiudiziale

Secondo la Corte nel momento in cui si espone l'Iva in una fattura si diventa debitori dell'imposta e ciò indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla per il fatto che l'operazione sia soggetta a Iva. Di conseguenza il luogo di prestazione dei servizi, oggetto della fattura, non ha alcun rilievo per l'insorgenza del debito d'imposta che è invece dovuto per il solo fatto che l'Iva è esposta sulla fattura. Inoltre secondo i giudici il fatto che l'Iva, in base all'attuale normativa comunitaria, sia dovuta indipendentemente dall'obbligo di versarla perché l'operazione è soggetta a Iva ha una sua precisa funzione: eliminare il rischio di perdita del gettito fiscale che può derivare dal diritto a detrazione. E anche se il diritto a detrazione dell'Iva è limitato soltanto alle imposte che corrispondono a una operazione soggetta a Iva, il rischio di perdita del gettito fiscale permane fino a quando il destinatario di una fattura che espone un'Iva non dovuta la può utilizzare per esercitare questo diritto. Per i giudici l'Iva è dovuta nello Stato membro a cui corrisponde l'Iva esposta in fattura, anche se l'operazione non è imponibile in questo Stato membro. Spetta al giudice del rinvio verificare a quale Iva dello Stato membro corrisponda quella esposta in fattura. E questo tenendo conto di tutti gli elementi pertinenti come l'aliquota applicata, la valuta in cui è esposto l'importo da versare, la lingua di redazione, il contenuto e il contesto della fattura, le sedi di chi l'ha emessa e del destinatario delle prestazioni di servizi effettuate.

Le conclusioni della Corte: la seconda questione pregiudiziale

Sulla seconda questione i giudici ritengono che, subordinare la rettifica dell'Iva erroneamente esposta in fattura alla sua rettifica, non oltrepassa, in linea di principio, quanto si richiede per eliminare il rischio di perdita del gettito fiscale. Inoltre dato che il Fisco olandese subordina la rettifica dell'Iva al rimborso della tassa indebitamente pagata, a chi ha usufruito dei servizi, da parte di chi ha emesso la fattura, la normativa comunitaria non impedisce a un ordinamento nazionale di negare la restituzione di tasse indebitamente percepite. E questo nel caso in cui vi siano condizioni tali da determinare un arricchimento senza causa. La valutazione dipende da una serie di elementi che spetta al giudice del rinvio compiere. In particolare se l'accordo tra le parti contempli prezzi fissi per la remunerazione dei servizi effettuati o prezzi di base aumentati dalle imposte applicabili. Ne consegue secondo i giudici che nulla vieta a "uno Stato membro di assoggettare la rettifica dell'imposta sul valore aggiunto dovuta, unicamente in quanto erroneamente esposta nella fattura rilasciata, alla condizione che il soggetto passivo consegni al destinatario delle prestazioni di servizi effettuate una fattura di rettifica nella quale non sia esposta la suddetta imposta, qualora tale soggetto passivo non abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdita del gettito fiscale".


Fonte: Agenzia Entrate

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