Basta un solo, grave, indizio per inquadrare l'evasione: tante fatture di acquisto e poche di vendita. E' quanto emerge dall'ordinanza n. 14375 della Corte di cassazione depositata il 23 giugno 2009.

Una società aveva la particolarità di registrare una quantità molto elevata di acquisti a fronte di una trascurabilissima quota di vendite.

L'ufficio Iva competente aveva fatto scattare l'accertamento provvedendo al recupero a tassazione dell'imposta basandosi sul fatto che una tale conduzione degli "affari" della società consentiva di sostenere, per induzione, la presenza di una forte evasione Iva.

La società vinceva il ricorso proposto in Commissione tributaria provinciale; anche l'appello dell'Amministrazione fiscale veniva respinto dalla Commissione regionale.

Per vedere riconosciute le sue ragioni, l'Agenzia delle entrate è dovuta ricorrere in Cassazione.

La Suprema corte ha infatti ravvisato la fondatezza del ricorso presentato dall'Agenzia in merito ai vizi di omessa motivazione della sentenza impugnata, nella quale gli argomentati accertamenti del pvc sono stati disattesi con le sole affermazioni "non si ritiene che, tale assunto non può essere condiviso".

In particolare, la smisurata sproporzione tra la quantità di merce acquistata e quella della merce venduta e la denuncia di percentuale di sfrido ben superiore a quella accertata dalla Guardia di finanza "rappresentano logicamente gravissime ed univoche presunzioni di vendita senza fattura e dell'accertata evasione Iva". È pertanto legittimo il ricorso all'accertamento induttivo.


Fonte: Agenzia Entrate

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