Alcune Commissioni di merito, a volte (quando in modo espresso nella sentenza, quando anche solo implicitamente), interpretano in maniera errata la valenza giuridica del contraddittorio d'adesione non andato a buon fine, ritenendo che, comunque, il fatto che l'ufficio abbia proposto in quella sede una qualche forma di abbattimento rispetto alla propria orginaria pretesa, confermi che la stessa Amministrazione non era in realtà convinta della propria pretesa.

La considerazione per cui l'aver instaurato (magari su istanza del contribuente e come imposto dal Dlgs 218/1997) il procedimento di adesione, conclusosi poi con una proposta di transazione amministrativa, come avviene in tutti i procedimenti di adesione, possa ritorcersi contro l'ufficio e far ritenere addirittura che, probabilmente, lo stesso non credesse al proprio accertamento, è giuridicamente infondata.

La procedura di adesione infatti non è uno "sconto", ma una transazione (legittimata dalla legge in deroga al principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria) tesa a deflazionare il contenzioso. Soprattutto attiene a una fase meramente amministrativa, la cui finalità non solo è del tutto avulsa dal sucecssivo ed eventuale contenzioso, ma addirittura contraria alla ratio del medesimo contenzioso. È infatti chiaro che, mentre nella prima fase lo scopo è raggiungere un accordo (laddove questo sia possibile), nella seconda fase (a parte la ulteriore possibilità di conciliazione) il fine è far dichiarare la legittimità della pretesa dell'ufficio, il quale, se non "credesse" nella propria pretesa, avrebbe l'obbligo (e non la discrezionalità) di procedere in autotutela.

L'ufficio, dunque, il cui ruolo pubblico non deve essere mai dimenticato, si limita ad applicare le norme tributarie per recuperare le imposte evase che, peraltro, in base al principio di immediata esecutorietà degli atti amministrativi, restano tali fino a quando non intervenga una contraria sentenza passata in giudicato. E questo tanto più laddove il legislatore abbia previsto una presunzione legale a favore dell'Amministrazione finanziaria.

Va considerato inoltre che alcune sentenze della Corte suprema, nel definire la natura dell'accertamento con adesione e della conciliazione, ne richiamano addirittura la natura negoziale.

Con la sentenza 12314/2001, per esempio, i giudici di legittimità hanno espressamente riconosciuto nella conciliazione giudiziale una "forma di composizione convenzionale della lite tributaria nella sede del processo" operante "in deroga al principio più generale della normale indisponibilità per l'erario del credito d'imposta".

Anche successivi interventi giurisprudenziali hanno confermato tale impostazione.

Con la sentenza 21325/2006, per esempio, la Cassazione, ha affermato che "la conciliazione giudiziale di cui all'art. 48 attiene all'esercizio di poteri dispositivi delle parti", essendo "concepita come una forma di composizione convenzionale della lite nella sede del processo" e "pur nella sua indubbia specificità, costituisce un istituto deflativo di tipo negoziale".

Del resto, laddove si condividesse l'ipotesi della natura "para" negoziale dell'atto di adesione (cfr Ctp di Vercelli, sentenza n. 14/01/09 del 2009), proprio tale natura comporterebbe che, non incidendo la proposta sulla effettiva debenza del tributo (solo elemento su cui il giudice deve decidere), si dovrebbe confermare che, in alcun modo, eventuali accordi tra le parti (e ancor meno eventuali proposte non andate poi a buon fine) possono influire sulla decisione del giudice, il quale deve decidere esclusivamente in base alla legge.

Se dunque la legge impone il pagamento del tributo, a prescindere da eventuali proposte transattive dell'ufficio (comunque legittimato dal Dlgs 218/1997), che nella fase del giudizio non hanno e non devono avere alcuna rilevanza, il giudice dovrà respingere il ricorso, a meno che non lo ritenga legittimo: ma non perché l'ufficio era disponibile a chiudere in adesione, ma perché ha eventualmente sbagliato nell'applicazione della legge (cosa comunque possibile nei casi di applicazione di fattispecie normative).

La fase dell'accertamento con adesione comporta una (eccezionale) possibilità di revisione dell'accertamento, in particolare in vista del rischio del contenzioso e dell'anticipazione della riscossione del credito vantato (o comunque di una sua parte).

Quando però queste due componenti (rischio e anticipazione del credito), a seguito del fallimento del procedimento di adesione, decadono, è chiaro che l'ottica dell'ufficio torna quella "ordinaria" della sua originaria interpretazione della norma impositiva (che, in sede di adesione, vista la specifica finalità dell'istituto, può anche essere rimessa in discussione), come appunto esplicata nell'atto di accertamento già notificato.

È dunque solo su questa pretesa che il giudice dovrà pronunciarsi, anche perché, laddove la proposta di adesione non si sia perfezionata e non sia stata nemmeno accettata dalla controparte, tale proposta, in realtà, in base ai più elementari principi di "incontro" delle volontà contrattuali, non è neppure venuta a esistenza giuridica.


Fonte: Agenzia Entrate

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