L’ufficio può procedere ad accertamento induttivo pur in presenza di una contabilità regolare e tenuta in maniera formalmente corretta, sempreché l’avviso di accertamento risulti fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti desunte da fatti certi o di comune esperienza nonché da concreti e significativi elementi offerti dalle singole fattispecie.

 

Questo in estrema sintesi il principio di diritto, peraltro ribadito in precedenti pronunce, enunciato dalla Cassazione con la sentenza n. 4594 depositata lo scorso 26 febbraio.

 

Il fatto

La Suprema corte ha cassato la sentenza della Ctr Campania che confermava nel merito la pronuncia della Ctp di Napoli: il collegio accoglieva il ricorso presentato da un contribuente contro l’avviso di rettifica emesso dall’ufficio.

L’atto impositivo aveva ad oggetto la rettifica della dichiarazione Iva, presentata per il periodo d’imposta 1993, per utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti, emesse da un fornitore del commerciante accertato, sottoposto a verifica dalla Guardia di finanza e riconosciuto quale “società-cartiera”.

 

La Ctr, confermando, come detto, la decisione di primo grado, riteneva che la notifica di un pvc a un soggetto terzo non costituisse, di per sé, circostanza sufficiente a supportare il concorso all’attività evasiva e la conseguente pretesa impositiva nei confronti del ricorrente, in quanto questi opponeva la tenuta di una contabilità formalmente regolare nonché gli avvenuti pagamenti a favore della società “cartiera”.

In altre parole, pur confermando la legittimità per relationem dell’avviso di rettifica, a parere dell’organo giudicante le presunzioni poste alla base dall’ufficio erano prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

 

Le questioni di merito

La pronuncia della Suprema corte si basa sul principio, oramai consolidato, secondo cui una contabilità apparentemente corretta e la regolare tenuta dei documenti e dei libri prescritti dalla legge non costituiscono tout court elementi tali da ostacolare un accertamento emesso con il metodo induttivo.

Normativamente è prevista la potestà in capo all’ente impositore di procedere alla rettifica della dichiarazione, a prescindere dalla contabilità formalmente regolare e corretta, sulla base di presunzioni, purché assistite dai requisiti previsti dall’articolo 2729 del codice civile “e desunte da fatti certi e da dati di comune esperienza, oltre che da concreti e significativi elementi offerti dalle singole fattispecie”.

 

Nel caso sottoposto al vaglio della Cassazione, non era messa in discussione la legittimità del metodo induttivo bensì la carenza di indizi ed elementi tali da supportare le presunzioni avanzate dall’ufficio.

Diversamente da quanto deciso dai due organi di merito, la Suprema corte ha ritenuto non solo valido il metodo adottato, ma anche sufficientemente supportato da presunzioni semplici.

 

I giudici hanno in primo luogo rilevato il dato, incontestato, dell’esistenza di numerosi rapporti economici tra il soggetto accertato e il terzo verificato dalla Guardia di finanza, risultato totalmente privo di qualsiasi struttura commerciale idonea e necessaria all’esercizio dell’attività dichiarata.

Pertanto, il fatto ignoto, costituito dall’effettività dei rapporti intercorsi con il soggetto terzo, ben poteva essere desunto dal fatto noto, ossia dalla constatazione che il fornitore fosse di fatto un soggetto inesistente, interposto fittiziamente (una “società cartiera”).

 

Infatti, a parere dei giudici, la consequenzialità del rapporto tra fatto noto e fatto ignoto può essere dimostrato anche alla stregua di canoni di ragionevole probabilità, e non avere esclusivamente carattere di necessità; da ciò deriva che l’accertamento dell’esistenza del rapporto può “presentare qualche margine di opinabilità, atteso che il procedimento di deduzione non è quello rigido che è imposto in caso di presunzione legale”.

 

Incombeva, perciò, sul contribuente accertato l’onere di provare adeguatamente l’effettività dei rapporti intrattenuti con il soggetto terzo, non essendo sufficiente la regolarità formale delle scritture e l’esibizione dei documenti contabili, né tantomeno la dimostrazione dell’avvenuto pagamento delle fatture contestate, ben potendo il pagamento essere successivamente e immediatamente retrocesso.

 

 

Fonte: Agenzia Entrate

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