La riduzione delle somme inizialmente concordate tra le parti deve trovare giustificazione, in sostanza, in un'apposita clausola revisionale inserita nel contratto di servizio, la quale a sua volta deve essere valida e applicabile per gli anni presi in considerazione. Solo in questo modo, infatti, è possibile escludere che la riduzione sia il frutto di un accordo tra le parti, quando invece la variazione è consentita entro il termine massimo di un anno.

A chiarirlo è la risoluzione n. 42/E del 17 febbraio 2009, con cui l'agenzia delle Entrate pone l'accento sulle corrette modalità da seguire per ritoccare all'insù o all'ingiù l'imponibile e l'imposta sul valore aggiunto.

Il chiarimento risponde all'interpello presentato da una società che nove anni fa aveva stipulato un contratto con l'assessorato ai Beni culturali e ambientali della Regione Sicilia, fatturando con aliquota Iva ordinaria i propri servizi di custodia, manutenzione e dattilografia. Una specifica clausola contrattuale stabiliva esplicitamente l'adeguamento del corrispettivo pattuito agli eventuali cambiamenti del costo della manodopera legati all'approvazione di nuove leggi o a modifiche degli oneri sociali o dei contratti di lavoro. Una situazione che si è verificata nel 2001, quando l'interpellante, in attesa di ottenere una proroga degli sgravi contributivi previsti da una legge regionale, ha subito un aumento degli oneri sociali e, di conseguenza, del costo della manodopera. Questo ha comportato a suo tempo, proprio in virtù della clausola revisionale inserita nel contratto, un rialzo dei corrispettivi fatturati alla committenza. Successivamente, nel giugno del 2005, la società ha ottenuto dall'assessorato al Lavoro l'autorizzazione retroattiva a beneficiare degli sgravi per il periodo 2001-2004, quando i maggiori corrispettivi erano stati già fatturati e incassati. Un'opportunità da cui deriva, a cascata, la variazione in diminuzione dell'imponibile e dell'imposta senza limiti temporali. In sostanza, stando alla soluzione interpretativa proposta dal contribuente, l'Iva pagata in eccesso può essere portata in detrazione, restituendo contemporaneamente al committente il maggior corrispettivo pagato e a sua volta comprensivo di Iva.

Un parere da cui non si discosta quello espresso dall'Agenzia, che riconosce la sostanziale similitudine tra la riduzione del corrispettivo e la riduzione del prezzo effettuata in applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente. Un presupposto sufficiente per procedere alla variazione in diminuzione senza vincoli di tempo. Questi ultimi, infatti, vanno rispettati soltanto se la riduzione del corrispettivo nasce da un successivo accordo tra le parti o si riscontra un errore nella fatturazione. Due casi che consentono la variazione al massimo entro un anno.

A sostegno della sua tesi l'Agenzia richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione civile e, in particolare, una sentenza secondo cui "le ragioni per le quali un'operazione fatturata viene meno in tutto o in parte o sia ridotta nel suo ammontare imponibile possono essere varie e possono consistere non solo nella nullità, nell'annullamento, nella revoca, nella risoluzione, nella rescissione, ma anche in ragioni cui la legge rinvia per il fatto che esse sono 'simili', ed anche a mancato pagamento, ad abbuoni o sconti previsti contrattualmente".

Vale infine la pena di ricordare che, anche se la variazione può essere effettuata senza limiti di tempo, il diritto alla detrazione dell'Iva può essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto per la variazione stessa. Nello specifico, il presupposto coincide con la data in cui l'interpellante ha ottenuto dall'assessorato al Lavoro siciliano l'autorizzazione a beneficiare degli sgravi contributivi previsti dalla legge. Da questo punto di vista, il momento dell'effettivo pagamento di queste agevolazioni non ha invece alcuna importanza.


Fonte: Agenzia Entrate

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